Laboratorio 1
La quarta sessione del nostro percorso laboratoriale ha messo al centro l’idea dei confini personali e delle modalità più intime attraverso le quali costruiamo relazioni con le persone. Nel primo laboratorio queste idee chiave hanno preso la forma di connessioni e/o legami. Abbiamo iniziato con un resoconto del seminario a Berlino e abbiamo tratto ispirazione dall’installazione collettiva che abbiamo costruito insieme al Raum 29, sede del gruppo berlinese, dove abbiamo riempito in forma tridimensionale la stanza tessendo una rete di fili colorati con gomitoli di lana che venivano lanciati e passati da una persona all’altra. Lo abbiamo considerato come una rappresentazione del processo che viviamo e mettiamo in atto ogni volta che ci avviciniamo alle persone e ci siamo chiesti: qual è il nostro modo specifico e personale di costruire relazioni? Indubbiamente ciò è sempre diverso, perché dipende da fattori come la propria personalità, le emozioni interiori e il linguaggio del corpo. Inoltre, quando stiamo creando relazioni, il nostro comportamento è uno specchio della nostra identità “con” e “per” gli altri. Possiamo rappresentare questi processi a livello visivo?
Ci siamo fatti suggestionare da una vecchia mappa dell’apparato circolatorio umano, che ci sembrava simile a uno strano corpo tutto fatto di strade, passaggi e vicoli o di fili, nodi e corde. Ogni partecipante ha ricevuto due copie di tale mappa, che si dovevano unire per creare un solo grande foglio di carta. Una mappa simbolizzava il sé, mentre la seconda rappresentava l’altro. A quel punto è stato chiesto a tutti di rendere visibile il proprio personale modo di avvicinarsi alle persone collegando insieme le due mappe con segni, colori e scarabocchi. Ognuno doveva scegliere un punto di partenza – cervello, braccia, stomaco, ecc. – un tipo di percorso – diretto, complesso o instabile – e un punto di arrivo sulla seconda mappa. Il risultato finale era una rappresentazione grafica dei tentativi personali di creare relazioni. Tutto è stato scelto da un punto di vista fisico ed emotivo. Il secondo stadio del laboratorio è consistito nel trasformare i legami rappresentati bidimensionalmente sul foglio, in relazioni tridimensionali, usando lana, cotone, fili di plastica e altri materiali simili. Nella fase finale i partecipanti hanno realizzato una specie di tableaux vivants al fine di rappresentare fisicamente i loro legami con gli altri. Per compiere questo lavoro hanno posato per alcune foto insieme a un compagno, utilizzando il legame tridimensionale creato in precedenza, del tutto simile a quello rappresentato nelle mappe bidimensionali. Abbiamo preso in considerazione soltanto la persona che cerca di avvicinarsi all’altra e non la persona che viene avvicinata. Ciò perché questa attività è stata un allenamento per il secondo laboratorio e ha portato il gruppo a pensare alle relazioni come percorsi sconosciuti i cui territori sono costruiti dalle connessioni di due ‒ o più ‒ identità differenti.
Esperienze
Il laboratorio del MAMbo si è svolto in questo modo: ci hanno consegnato due fogli in cui erano raffigurate le sagome di corpi con i centri nervosi. Noi dovevamo collegare un foglio con l’altro partendo dall’organo con cui, principalmente, ci relazioniamo con gli altri. Io ho scelto il cuore e l’ho collegato con il cuore dell’altro perché è la parte che mi rappresenta di più, perché mi relaziono con gli altri soprattutto attraverso il sentimento. Per questo ho fatto una linea col pastello rosso dal mio cuore al cuore dell’altra persona.
Per la rappresentazione della relazione con l’altro dovevamo scegliere una persona a caso e alcuni materiali tra carta, filo, nastri, carta d’alluminio, corda, ecc. Cioè dovevamo rappresentare quello che avevamo disegnato. Poi ci hanno fotografato e dovevamo così spiegare la nostra scelta del materiale, del colore, dell’organo, ecc.
Io ho scelto il filo rosso perché il rosso è il colore della passione e perché, quando conosco delle persone, non è scontato entrare subito in sintonia e quindi il rosso è anche il colore del sentimento che può nascere, se nasce, col tempo e che nasce se anche l’altro vuole entrare in relazione.
Stefania Mimmi, animatrice disabile del Progetto Calamaio
Io invece ho rappresentato il mio segno con vari fili di lana di colore rosso che esprimono il mio affetto quando incontro gli altri. A volte è ingarbugliato, ciò rappresenta il mio sentimento ma anche la mia paura perché non tutti gli incontri sono uguali. Il mio filo partiva dal mio stomaco e arrivava a quello dell’altro perché a me le emozioni sia positive che negative arrivano allo stomaco. Un’altra cosa che mi è piaciuta è stato fare la regista del mio lavoro e nel finale, lavorare insieme a Robby mi è piaciuto.
Tiziana Ronchetti, animatrice disabile del Progetto Calamaio
Ricordo il laboratorio sulla relazione con l’altro. Sceglievamo una parte del corpo che utilizziamo per relazionarci con gli altri. Abbiamo lavorato a coppia e utilizzato dei materiali che ci collegavano. Io ho fatto questo laboratorio con Tatiana e ho legato la mia mano sinistra con la sua, utilizzando un filo rosso, perché è una parte del corpo che utilizzo bene e credo che le mani siano importanti per relazionarci con gli altri.
Lorella Picconi, animatrice disabile del Progetto Calamaio
Io invece ho scelto gli occhi perché la mia relazione con l’altro parte dallo sguardo.
Diego Centinaro, animatore disabile del Progetto Calamaio
Laboratorio 2
Il secondo laboratorio è stato ispirato dalle opere di Matthew Barney, in particolare Drawing Restraint [“Disegnare con limiti”, ndt]. In quest’opera ‒ ancora in corso ‒ l’artista esplora i limiti e le nuove possibilità dell’atto di disegnare dandosi dei vincoli. La parte interessante di questi video è vedere come Barney provi a superare le difficoltà e come i suoi disegni siano il risultato del rapporto tra segni e confini.
Abbiamo provato a “importare” queste idee nel complesso campo della relazione con le persone. Questo argomento è cruciale per il nostro gruppo perché l’incontro con l’altro ‒ in modo particolare con persone disabili ‒ spesso abbandona le convenzioni e ti porta in una terra sconosciuta. Inizialmente può apparire come un’esperienza dura o difficile e l’imbarazzo è una delle conseguenze più comuni. Avvicinarsi a una persona con disabilità ‒ ma non solo ‒ provoca questo sentimento perché la diversità in generale ci costringe a uscire da noi stessi, oltre i nostri confini, per confrontarci con l’alterità. Questo movimento verso l’esterno viene sentito come una perdita di parte della nostra identità. Considerando questo tipo di ostacoli, possiamo scegliere tra mantenere un atteggiamento di paura e diffidenza o trasformarlo in curiosità e creatività. Se supereremo queste difficoltà, constateremo che è possibile sperimentarci in questo territorio sconosciuto, scoprendo altri modi di comunicazione e contatto. In questo modo possiamo creare una relazione, sempre rispettando i limiti reciproci, con la soddisfazione di averli superati insieme.
Queste considerazioni sono state il punto di partenza del laboratorio. I partecipanti sono stati coinvolti in una performance allo scopo di rappresentare i limiti o le possibilità che una relazione con le altre persone può darci. Abbiamo appeso su un muro una lunga striscia di carta bianca. Il gruppo è stato diviso in coppie, tutte composte da una persona normodotata e da una con disabilità. I due soggetti di ogni coppia dovevano scegliere il loro ruolo. Uno di loro avrebbe dovuto essere “il disegnatore”, mentre l’altro avrebbe dovuto impersonare il ruolo del “limite”. “Il disegnatore” doveva dichiarare un semplice obiettivo come, per esempio, disegnare una linea retta o piccoli cerchi tutti della stessa dimensione. “Il limite”, invece, doveva scegliere in segreto tra essere un ostacolo oppure un aiuto. La prima persona ha iniziato a disegnare sulla striscia di carta, cercando di raggiungere il proprio obiettivo, mentre la seconda ha rivelato il proprio scopo attraverso il proprio comportamento. La relazione tra di loro cominciava dall’interazione perché “il disegnatore” era costretto a considerare la presenza dell’altra persona e a reagire evitandola o trasformandola in un elemento utile. “Il limite” poteva anche decidere di cambiare il proprio ruolo durante la performance, da un ostacolo a un aiuto e viceversa. Nessuno poteva prevedere cosa sarebbe avvenuto. Tutto era nelle mani della coppia che si stava esibendo. Con questo laboratorio abbiamo cercato di concentrarci sul costruire o cambiare una relazione, mostrando il suo processo ‒ con le varie performance ‒ e i suoi “percorsi” descritti in forma di segni, limiti e scarabocchi.
Esperienze
Restraint è una parola inglese.
Tradotta nella nostra lingua indica un vincolo, un trattenimento, un freno.
Utilizzando il vocabolo in ambito giuridico-legale può addirittura significare un confinamento, una reclusione, una segregazione.
Il termine restraint, dunque, indica certamente un limite, che sia questo fisico, psicologico o spaziale.
Risalendo etimologicamente dal lemma “limite” arriviamo al latino: limes, ovvero confine, frontiera.
I limiti, i confini, le barriere rappresentano degli ostacoli. Ostacoli quotidiani con i quali metterci alla prova, confrontarci.
Era una mattina di luglio dello scorso anno quando le ragazze del dipartimento educativo del MAMbo ci hanno proposto un laboratorio sulla sfida al nostro limite, alle nostre difficoltà, oggettive o autoimposte.
Il workshop era ispirato da una parte della serie dell’opera di un artista statunitense, Matthew Barney, chiamata appunto Drawing Restraint.
Il nome dell’opera non mi era nuovo, essendo il titolo di un disco di Bjork che possedevo da alcuni anni. Quel giorno venni a conoscenza che non era altro che la colonna sonora dell’omonimo film sperimentale diretto dallo stesso Barney, compagno della cantautrice islandese.
In questo lavoro l’artista esplora i confini e le possibilità dell’atto del disegnare, imponendosi alcune difficoltà, alcuni ostacoli: restraints, appunto.
Il lavoro di Barney è un’unione tra segni e limiti.
Le educatrici del MAMbo hanno cercato di trasportare queste idee nell’ambito della relazione tra persone. Il discorso relazionale e della consapevolezza dei proprio limiti è fondamentale per chi come noi si confronta quotidianamente con la disabilità.
Siamo stati coinvolti in una performance artistica che è diventata una meravigliosa metafora di come la relazione con l’altro possa darci nuove prospettive e possibilità.
L’incontro quotidiano con la disabilità ci “costringe” a forti sensazioni emotive, a non sottovalutare mai l’aspetto relazionale, a osservare le nostre frontiere e a confrontarci con esse.
Ispirati dalla “follia artistica” di Barney ci siamo di nuovo resi conto del potenziale presente nella relazione e di come il limite, qualsiasi limite, può comunque essere sfidato. D’altra parte, pur vivendo in un momento storicamente controverso, la sfida per iniziare ad abbattere alcuni restraints/limiti/frontiere è già stata avviata, almeno a livello politico e geografico, come mostrano gli accordi di Schengen.
La battaglia è culturale, non solo politica. Noi del Calamaio, aiutati dalle educatrici del MAMbo e da Matthew Barney, giocando con i nostri limiti li abbiamo rimessi in discussione.
Luca Cenci, educatore del Progetto Calamaio
Io ho aiutato Laura, che era in coppia con me, a disegnare. All’inizio non ci riuscivo ma con un po’ di aiuto ce l’ho fatta e sono rimasta anche contenta di vedere il risultato che è venuto fuori.
Stefania Mimmi, animatrice disabile del Progetto Calamaio
Un altro laboratorio che ricordo è quello sulla relazione e sull’aiuto. Anche qui lavoravamo a coppie, mentre uno dei due disegnava l’altro poteva scegliere se aiutarlo o essergli di ostacolo. Io ho scelto di ostacolare Patrizia, le tiravo il braccio e le facevo i dispetti!
Stefania Baiesi, animatrice disabile del Progetto Calamaio
Ci caliamo nel calamaio
Il laboratorio ci ha offerto l’occasione di lavorare sul nostro modo di entrare in relazione con l’altro, ed è stato certamente fra i più emotivi. Ci ha richiesto un passaggio ulteriore rispetto ai precedenti perché, dopo avere contattato molte parti della nostra identità personale – ognuno di noi secondo la propria capacità e disponibilità ad andare negli strati più profondi di sé – abbiamo potuto uscire dall’Io per andare verso l’altro. Abbiamo così individuato e riconosciuto il personale modo di ognuno di partire dal dentro per cercare l’altro, il diverso, il nuovo.
Le attività ci hanno permesso di ascoltarci nel contatto diretto fra i corpi o attraverso strumenti di mediazione che rappresentavano simbolicamente, ma in modo molto riconoscibile, il legame, la ricerca, le vicinanze e le distanze.
La sperimentazione dei punti di contatto e dei limiti ha ancora una volta permesso di condividere sensazioni dense di significato emotivo attraverso gesti e segnali non convenzionali. E ancora una volta la potenza del gruppo, che accoglie e contiene, ha autorizzato espressioni forti quali la provocazione del limite, che può essere della persona con disabilità ma che il disabile stesso può anche trasformare in risorsa.
Continua a leggere:
- Il postino suona sempre due volte
- 1. Introduzione
- 2. Il progetto Postmarks
- 3. Un incontro inaspettato
- 4. Una lunga tavola apparecchiata
- 5. Accesso all’arte e l’arte come accesso
- 6. “Scusa, non riesco a seguirti, puoi parlare più lentamente?”
- 7. I laboratori: Sessione 1 - Il corpo è presente
- 8. I laboratori: Sessione 2 - Lo spazio per noi
- 9. I laboratori: Sessione 3 - Disegnare suoni e suonare disegni
- 10. I laboratori: Sessione 4 - Confini e relazioni (Pagina attuale)
- 11. I laboratori: Sessione 5 - Identità provvisorie
- 12. I laboratori: Sessione 6 - L’anatomia della memoria
- 13. L’ultimo laboratorio