La biblioteca degli handicappati
Da otto anni ormai esiste il centro di documentazione sull’handicap del-l’aias, la redazione di accaparlante, quella di rassegna stampa handicap. Andrea Pancaldi, coordinatore del centro, cerca di fare il punto della situazione. Già lo aveva fatto alcuni anni fa e lo aveva intitolato “all’handicappato basti un solo assessorato”. Siamo solo al secondo atto..
"Quanti ragazzi frequentano qui da voi?", "…siete dell’Aias?Dovete andare dall’Assessore ai servizi sociali!", "…ah, tei lavoraalla biblioteca degli handicappati!?", "…là, alla Lunetta statemeglio, con tutto quel verde d’estate li potete mettere fuori i ragazzi!","…ci sarebbero degli spagnoli in visita a Bologna, …dei russi…".
In queste frasi, prese dal repertorio delle tante che ci siamo sentiti dire inquesti anni di lavoro, c’è un po’ il riassunto delle difficoltà a capire, eparimenti a spiegare, quello che è il senso del lavoro che il Centro diDocumentazione sull’Handicap dell’AIAS (CDH) porta avanti da otto anni. E forsenon si tratta solo di difficoltà nello spiegare/capire il lavoro concreto delCentro, ma probabilmente le esperienze, le "categorie" mentali che nesono sottese e i conseguenti schemi di lavoro. Il Centro è stato per anni, dinome e di fatto, una struttura anomab nel panorama dell’handicap; di fatto lo èancora, mentre di nome molto meno in quanto, il modello "Centro didocumentazione", per svariate ragioni, sta sempre più prendendo piede, sianella realtà locale che in altre parti d’Italia. Una struttura anomala, proprioperché tale, è una medaglia a due facce. Da una parte la grande possibilitàdi movimento, di ricerca, di fiducia nella ricchezza immediata delle idee, direale integrazione delle differenze che vi sono al suo interno (di potere,sessuali, fisiche, esperenziali). Dall’altra i rischi dell’isolamento, delcrogiolarsi nella propria specificità, dei tempi di verifica più lunghi per lamancanza di punti di riferimento esterni analoghi, di difficoltà
di intreccio con la rete delle strutture che operano in quell’ambito socialesecondo schemi diversi, più consolidati e riconosciuti. Paradossalmente, peruna strutturale vuoi fare "uscire l’handicap dalla riserva", ilrischio maggiore è quello di rimanere emarginata proprio dalla stessadiversità di cui ci si è dotati per uscirne. Ragionare allora intomo al nodo"CDH di nome/CDH di fatto" significa forse parlando dell’unocontribuire a chiarire anche l’altro e riconoscere un terreno in cui laspecificità di una esperienza non rimanga intrappolata nei rischi, pur reali econcreti, di una emarginazione o autoemarginazione, ma che sottolinei comequesta specificità, e le ricchezze ad essa sottese, sono in divenire continuocon continue possibilità di condividere percorsi e inventarne dei nuovi.
IL CENTRO DI DOCUMENTAZIONE DI FATTO (LA SPECIFICITÀ’)
Si può dire, parlando in termini "culinari", che gli ingredienti delCentro sono gli stessi delle altre strutture del settore, cambia inveceradicalmente il dosaggio, e la quantità di ingredienti presenti in una unicaricetta. Procediamo per punti:
– nel mondo dell’handicap troviamo gruppi sociali quasi sempre rigidamenteseparati: gli operatori, i genitori, le persone handicappate, i volontari. Nellarealtà del CDH queste diverse-esperienze e formazioni si sovrappongono e simescolano all’interno delle singole individualità.
– le attività del CDH sono ideate e gestite da un gruppo di persone in cui èestremamente significativa (40%) la presenza di persone handicappate.
– sono presènti all’interno del CDH molte e diverse professionalità(psicologo, medico, pedagogista, terapista della riabilitazione, giornalista,diploma ISEF, grafico, educatore, laurea Dams, laurea filosofia, laurea scienzepolitiche); le professionalità sono ripartite tra maschi e femmine in manierasignificativa (60/40) e sono ugualmente ripartite in
maniera significativa tra "sani" e "handicappati" (60/40).In pratica c’è una singolare e casuale integrazione delle competenze viste conocchi maschili e femminili e con occhi "sani" e"handicappati".
– nel Centro operano persone handicappate a cui non corrispondono però deglioperatori e viceversa agli operatori non corrispondono degli utenti handicappatiné, quindi, responsabilità educative, riabilitative, assistenziali. Le personehandicappate operano al CDH come scelta personale (culturale e professionale) enon in quanto "mandati" o "segnalati" dai servizi delterritorio. E così sono destinate a cadere nel vuoto le domande dell’assistentesociale su "…quanti ragazzi frequentano qui da voi?" (Ass. Soc. deiservizi del territorio, 1988) o a non realizzarsi gli auguri affettuosi deglioperatori dei servizi di assistenza domiciliare secondo i quali "…allaLunetta (via degli Orti, ndr) è meglio perché con tutto quel verde d’esta-
te potete mettere fuori i ragazzi" (Ass. domiciliare USL 29,1988). – il CDHsvolge un lavoro di tipo culturale ed ha una targa "handicap". Questolo colloca spesso in un terra di nessuno, sospesa tra assistenza e cultura.Causa la targa viene ricondotto agli schemi e strutture classiche, oweroassistenziali e riabilitative ("…siete dell’Aias? Per il patrocinio allapresentazione del libro dovete rivolgervi all’Assessore ai servizi sociali, sonoloro che si occupano di handicap." (Ass. alla cultura ente locale, 1983).Le strutture dell’handicap si accorgono però che non fai assistenza, nériabilitazione, né educazione, né formazione, e quindi pur sorelle di targa,non sanno come collocarti. La cultura, puravendo noi nel nostro"campionario" termini come libri, ricerca, convegno, riviste, non èabituata a vedere transitare carrozzelle e quindi anch’essa non sa comecollocarti. E così la biblioteca sull’handicap diventa la biblioteca"degli handicappati" ("…fare una biblioteca per l’handicap significa creare un nuovo ghetto" ConsigliereQ.re Colli, 1981 ) e i responsabili dei servizi, pur da anni sulla piazza,intuiscono che, sì, fai anche un lavoro interessante, ma la loro fantasia intermini di contatti per collaborazioni non va al di là di spedire regolarmentein visita al CDH tutti gli stranieri di passaggio a Bologna. Il CDH produceprodotti (riviste, convegni, ricerche) che fuoriescono anche dagli schemiabituali di "incontro" con tutte quelle strutture che pur non essendodel settore hanno comunque intrecci con l’handicap (Ass.ni di categoria, entipubblici, confederazioni varie, ecc.). Incontri sono quindi per noi impossibilisui sentieri della beneficienza disponibile a pagare carrozzine o ad intervenireverso la "sofferenza" delle persone, ma non verso i loro desideri ostimoli culturali o politici. Difficili anche i rapporti con eventualivo-lontari interessati soprattutto a rapporti diretti e personali con personeriandicappate e a dimensioni comunque più legate alla logica del "servizio"alla persona.
L’HANDICAP FUORI DALLA RISERVA
Altro elemento di specificità dell’iniziativa è il rapporto con l’Associazionedi cui è parte. Ancor meglio si potrebbe definirlo il collocarsi del CDH nelpanorama e nell’evolversi dell’associazionismo e del volontariato. Il carattereapparentemente così poco "associativo" del CDH, owero il non essereun servizio di immediata e pratica utilità per i soci dell’Ass..ne è statoreso possibile da più ampie scelte della Associazione stessa che hanno permessol’awio di progetti sovraassociativi, rivolti all’intero settore handicapcittadino e, come nel caso del CDH o dell’Ausilioteca, con una rilevanzaextraterritoriale. Questo differenzia l’Aias dalle altre associazioni cittadineed è il terreno dove sono potute maturare scelte e strategie per un "handicap ‘ fuori dalla riserva" conprogettualità, vedi Accaparlante, che vedono una "associazione storica perinvalidi", spendere soldi per trattare temi che apparentemente non le’sonopropri e che comunque stravolgono le abitudini al corporativismo.
Alle caratteristiche del mondo dell’associazionismo sono anche da ricollegarealcune delle difficoltà nello "spiegarsi" che il CDH incontra,correlate, fino ad ora, allo scarso peso e alla nostra assenza dai luoghiufficiali della rappresentatività politica delle associazioni (Coordinamentoprovinciale, comitati regionali, commissioni sicurezza sociale dei quartieri).
Più in generale va ricordato lo scarso, o in gran parte scoordinato, pesopolitico dell’associazionismo italiano che, salvo rare eccezioni (Torino) non èun interlocutore, con una propria forte e.autono-ma identità. Elementocaratterizzante è stata la
scelta dei temi di interesse del CDH che si sono rivelati quantomai attuali eche spesso hanno trovato anche adeguati "veicoli" per la loropromozione (Progetto Calamaio nelle scuole, le riviste Rassegna Stampa Handicape Accaparlante, l’attività degli Sportivi a Quattro Ruote). In questo senso nonsi può far altro che riconoscere che l’incontro tra le nostre esperienze divolontariato, i nostri studi, la realtà bolognese complessiva, ha certamenterappresentato la "batteria" dei presupposti a queste iniziative escelte.
Per ultima, ma non ultima, sottolineiamo come l’area di finanziamento del CDH siè assestata, negli ultimi anni, per più del 50% nel "mercato" e ilrimanente, per il 15% nella cultura e il 35% nell’assistenza, concretando l’ideache una struttura, pur targata handicap, può trovare interlocutori in ambitidiversi, anche se i livelli economici sono ancora di pura sopravvivenza.