Skip to main content

autore: Autore: Andrea Pancaldi

La biblioteca degli handicappati

Da otto anni ormai esiste il centro di documentazione sull’handicap del-l’aias, la redazione di accaparlante, quella di rassegna stampa handicap. Andrea Pancaldi, coordinatore del centro, cerca di fare il punto della situazione. Già lo aveva fatto alcuni anni fa e lo aveva intitolato “all’handicappato basti un solo assessorato”. Siamo solo al secondo atto..
"Quanti ragazzi frequentano qui da voi?", "…siete dell’Aias?Dovete andare dall’Assessore ai servizi sociali!", "…ah, tei lavoraalla biblioteca degli handicappati!?", "…là, alla Lunetta statemeglio, con tutto quel verde d’estate li potete mettere fuori i ragazzi!","…ci sarebbero degli spagnoli in visita a Bologna, …dei russi…".
In queste frasi, prese dal repertorio delle tante che ci siamo sentiti dire inquesti anni di lavoro, c’è un po’ il riassunto delle difficoltà a capire, eparimenti a spiegare, quello che è il senso del lavoro che il Centro diDocumentazione sull’Handicap dell’AIAS (CDH) porta avanti da otto anni. E forsenon si tratta solo di difficoltà nello spiegare/capire il lavoro concreto delCentro, ma probabilmente le esperienze, le "categorie" mentali che nesono sottese e i conseguenti schemi di lavoro. Il Centro è stato per anni, dinome e di fatto, una struttura anomab nel panorama dell’handicap; di fatto lo èancora, mentre di nome molto meno in quanto, il modello "Centro didocumentazione", per svariate ragioni, sta sempre più prendendo piede, sianella realtà locale che in altre parti d’Italia. Una struttura anomala, proprioperché tale, è una medaglia a due facce. Da una parte la grande possibilitàdi movimento, di ricerca, di fiducia nella ricchezza immediata delle idee, direale integrazione delle differenze che vi sono al suo interno (di potere,sessuali, fisiche, esperenziali). Dall’altra i rischi dell’isolamento, delcrogiolarsi nella propria specificità, dei tempi di verifica più lunghi per lamancanza di punti di riferimento esterni analoghi, di difficoltà
di intreccio con la rete delle strutture che operano in quell’ambito socialesecondo schemi diversi, più consolidati e riconosciuti. Paradossalmente, peruna strutturale vuoi fare "uscire l’handicap dalla riserva", ilrischio maggiore è quello di rimanere emarginata proprio dalla stessadiversità di cui ci si è dotati per uscirne. Ragionare allora intomo al nodo"CDH di nome/CDH di fatto" significa forse parlando dell’unocontribuire a chiarire anche l’altro e riconoscere un terreno in cui laspecificità di una esperienza non rimanga intrappolata nei rischi, pur reali econcreti, di una emarginazione o autoemarginazione, ma che sottolinei comequesta specificità, e le ricchezze ad essa sottese, sono in divenire continuocon continue possibilità di condividere percorsi e inventarne dei nuovi.

IL CENTRO DI DOCUMENTAZIONE DI FATTO (LA SPECIFICITÀ’)

Si può dire, parlando in termini "culinari", che gli ingredienti delCentro sono gli stessi delle altre strutture del settore, cambia inveceradicalmente il dosaggio, e la quantità di ingredienti presenti in una unicaricetta. Procediamo per punti:
– nel mondo dell’handicap troviamo gruppi sociali quasi sempre rigidamenteseparati: gli operatori, i genitori, le persone handicappate, i volontari. Nellarealtà del CDH queste diverse-esperienze e formazioni si sovrappongono e simescolano all’interno delle singole individualità.
– le attività del CDH sono ideate e gestite da un gruppo di persone in cui èestremamente significativa (40%) la presenza di persone handicappate.
– sono presènti all’interno del CDH molte e diverse professionalità(psicologo, medico, pedagogista, terapista della riabilitazione, giornalista,diploma ISEF, grafico, educatore, laurea Dams, laurea filosofia, laurea scienzepolitiche); le professionalità sono ripartite tra maschi e femmine in manierasignificativa (60/40) e sono ugualmente ripartite in
maniera significativa tra "sani" e "handicappati" (60/40).In pratica c’è una singolare e casuale integrazione delle competenze viste conocchi maschili e femminili e con occhi "sani" e"handicappati".
– nel Centro operano persone handicappate a cui non corrispondono però deglioperatori e viceversa agli operatori non corrispondono degli utenti handicappatiné, quindi, responsabilità educative, riabilitative, assistenziali. Le personehandicappate operano al CDH come scelta personale (culturale e professionale) enon in quanto "mandati" o "segnalati" dai servizi delterritorio. E così sono destinate a cadere nel vuoto le domande dell’assistentesociale su "…quanti ragazzi frequentano qui da voi?" (Ass. Soc. deiservizi del territorio, 1988) o a non realizzarsi gli auguri affettuosi deglioperatori dei servizi di assistenza domiciliare secondo i quali "…allaLunetta (via degli Orti, ndr) è meglio perché con tutto quel verde d’esta-
te potete mettere fuori i ragazzi" (Ass. domiciliare USL 29,1988). – il CDHsvolge un lavoro di tipo culturale ed ha una targa "handicap". Questolo colloca spesso in un terra di nessuno, sospesa tra assistenza e cultura.Causa la targa viene ricondotto agli schemi e strutture classiche, oweroassistenziali e riabilitative ("…siete dell’Aias? Per il patrocinio allapresentazione del libro dovete rivolgervi all’Assessore ai servizi sociali, sonoloro che si occupano di handicap." (Ass. alla cultura ente locale, 1983).Le strutture dell’handicap si accorgono però che non fai assistenza, nériabilitazione, né educazione, né formazione, e quindi pur sorelle di targa,non sanno come collocarti. La cultura, puravendo noi nel nostro"campionario" termini come libri, ricerca, convegno, riviste, non èabituata a vedere transitare carrozzelle e quindi anch’essa non sa comecollocarti. E così la biblioteca sull’handicap diventa la biblioteca"degli handicappati" ("…fare una biblioteca per l’handicap significa creare un nuovo ghetto" ConsigliereQ.re Colli, 1981 ) e i responsabili dei servizi, pur da anni sulla piazza,intuiscono che, sì, fai anche un lavoro interessante, ma la loro fantasia intermini di contatti per collaborazioni non va al di là di spedire regolarmentein visita al CDH tutti gli stranieri di passaggio a Bologna. Il CDH produceprodotti (riviste, convegni, ricerche) che fuoriescono anche dagli schemiabituali di "incontro" con tutte quelle strutture che pur non essendodel settore hanno comunque intrecci con l’handicap (Ass.ni di categoria, entipubblici, confederazioni varie, ecc.). Incontri sono quindi per noi impossibilisui sentieri della beneficienza disponibile a pagare carrozzine o ad intervenireverso la "sofferenza" delle persone, ma non verso i loro desideri ostimoli culturali o politici. Difficili anche i rapporti con eventualivo-lontari interessati soprattutto a rapporti diretti e personali con personeriandicappate e a dimensioni comunque più legate alla logica del "servizio"alla persona.

L’HANDICAP FUORI DALLA RISERVA

Altro elemento di specificità dell’iniziativa è il rapporto con l’Associazionedi cui è parte. Ancor meglio si potrebbe definirlo il collocarsi del CDH nelpanorama e nell’evolversi dell’associazionismo e del volontariato. Il carattereapparentemente così poco "associativo" del CDH, owero il non essereun servizio di immediata e pratica utilità per i soci dell’Ass..ne è statoreso possibile da più ampie scelte della Associazione stessa che hanno permessol’awio di progetti sovraassociativi, rivolti all’intero settore handicapcittadino e, come nel caso del CDH o dell’Ausilioteca, con una rilevanzaextraterritoriale. Questo differenzia l’Aias dalle altre associazioni cittadineed è il terreno dove sono potute maturare scelte e strategie per un "handicap ‘ fuori dalla riserva" conprogettualità, vedi Accaparlante, che vedono una "associazione storica perinvalidi", spendere soldi per trattare temi che apparentemente non le’sonopropri e che comunque stravolgono le abitudini al corporativismo.
Alle caratteristiche del mondo dell’associazionismo sono anche da ricollegarealcune delle difficoltà nello "spiegarsi" che il CDH incontra,correlate, fino ad ora, allo scarso peso e alla nostra assenza dai luoghiufficiali della rappresentatività politica delle associazioni (Coordinamentoprovinciale, comitati regionali, commissioni sicurezza sociale dei quartieri).
Più in generale va ricordato lo scarso, o in gran parte scoordinato, pesopolitico dell’associazionismo italiano che, salvo rare eccezioni (Torino) non èun interlocutore, con una propria forte e.autono-ma identità. Elementocaratterizzante è stata la
scelta dei temi di interesse del CDH che si sono rivelati quantomai attuali eche spesso hanno trovato anche adeguati "veicoli" per la loropromozione (Progetto Calamaio nelle scuole, le riviste Rassegna Stampa Handicape Accaparlante, l’attività degli Sportivi a Quattro Ruote). In questo senso nonsi può far altro che riconoscere che l’incontro tra le nostre esperienze divolontariato, i nostri studi, la realtà bolognese complessiva, ha certamenterappresentato la "batteria" dei presupposti a queste iniziative escelte.
Per ultima, ma non ultima, sottolineiamo come l’area di finanziamento del CDH siè assestata, negli ultimi anni, per più del 50% nel "mercato" e ilrimanente, per il 15% nella cultura e il 35% nell’assistenza, concretando l’ideache una struttura, pur targata handicap, può trovare interlocutori in ambitidiversi, anche se i livelli economici sono ancora di pura sopravvivenza.

Informahandicap: i servizi erogabili

Premesse per un Informahandicap
L’universo dell’handicap, in quanto tale, è composto da persone ed organizzazioni molto differenti tra loro in termini di identità, bisogni, linguaggi e culture espresse. Questo in particolare nella città di Bologna dove negli ultimi tre decenni c’è stato un ampio sviluppo dei servizi e delle iniziative nel campo della disabilità.
Nella costruzione del CRH si quindi dovuto tenere conto di queste premesse di fondo: ovviamente in questo si è stati favoriti dalle esperienze già accumulate negli anni dalla Associazione CDH che gestisce il servizio.
Riassumendo:
– da una parte persone con esigenze diverse: persone disabili, genitori di persone disabili, operatori dei servizi dell’ente locale operanti nelle più svariate aree, funzionari di enti locali, volontari, soci e quadri dell’associazionismo di categoria;
– dall’altra molte realtà sociali territoriali “forti” sui temi della disabilità (Comune, Provincia, regione, Azienda USL, associazioni, cooperazione sociale, sindacato, Università) con le quali cercare di interloquire non in maniera standardizzata.
La diversificazione quindi della offerta informativa (e documentativi) emerge come uno dei cardini delle attività.
Un altro dei cardini dell’impostazione è stato quello di facilitare al massimo il contatto tra utente (reale e potenziale) e informazione, non limitandosi quindi alla sola attività di sportello (aperto al pubblico, telefonico e mail), che in un certo senso è unidirezionale, ma producendo iniziative di carattere informativo che raggiungono direttamente a casa o sul luogo di lavoro l’utenza. Questo processo ovviamente fa aumentare nel tempo l’utenza, stimolando nuove idee e domande. A questo si affianca anche il tentativo di forme di raccordo e scambio con le altre risorse italiane similari (da cui questo convegno) impegnate nel terreno dell’informazione sull’handicap.
Sempre in sede progettuale, una ulteriore considerazione ha riguardato lo stato di relativa separazione organizzativa e culturale che persiste ancora tra la cultura ed i servizi attivati per i bambini e le bambine disabili e quelli invece riservati all’area degli adulti. Poteva una adeguata azione informativa incidere positivamente? Su questo i “lavori” sono ancora ampiamente in corso, dato che non è ancora decollata una reale collaborazione tra i diversi enti per una sorta di consulenza e monitoraggio di gruppo sulle attività del CRH.
Una ultima osservazione riguarda la modalità di monitorare l’utenza del CRH complessivamente inteso, ovvero l’andare al di là del semplice dato dell’utenza allo sportello (l’elemento di oggettiva visibilità dell’utenza), ma il cercare di evidenziare l’insieme delle relazioni, dei contatti, che ruotano attorno alle attività del CRH; considerare cioè, passateci il paragone, anche tutto l’indotto.
Un Informahandicap, come molte delle strutture informative e di document-azione, è un po’ come un iceberg: una parte più limitata emerge, ma molto resta nascosto, apparentemente invisibile.
È questo il terreno che sta sospeso tra due dati: i circa 600 utenti che hanno avuto accesso allo sportello finora nel 2002 e i circa 35.700 “contatti” (ogni volta che una persona entra per scelta in contatto con uno qualsiasi dei servizi/iniziative del CRH) realizzati dal CRH nel 2002.

Iniziative e servizi
Le considerazioni sopra esposte, e forse anche altre derivanti dalla nostra esperienza e che qui, per ragioni di tempo, non riportiamo, sono state quelle che ci hanno spinto ad attivare le iniziative/servizi che sinteticamente illustriamo.

1. Sportello informativo aperto al pubblico
Risulta persino banale parlarne data la sua ovvietà. È aperto al pubblico per nove ore settimanali suddivise su tre giornate ed è integrato da altre due giornate di solo sportello telefonico. Via mail è ovviamente sempre in funzione.
La gran parte dell’utenza accede per via telefonica (50%) e via mail in seconda istanza (36%). Lo sportello aperto al pubblico, come era nostra intenzione, si sta sempre più caratterizzando come sportello su appuntamento per le richieste più complesse o che necessitano di ricerca di informazioni e documentazioni.
L’utenza, circa 600 persone nel 2002, è formata prevalentemente da persone disabili e familiari. Seguono distanziati operatori dei servizi territoriali, funzionari degli stessi, e operatori del privato sociale.
I temi più richiesti sono l’accesso a fonti di informazione e documentazione (dato molto positivo per noi, perché definisce lo sportello del CRH come un pezzo di un sistema), i servizi socioassistenziali, i trasporti, turismo e cultura, lavoro e formazione, ausili e tecnologie.
Per ora l’andamento delle richieste è costantemente in fase crescente rispetto a tutte le iniziative/servizi

2. Servizio di informazione via mail
Recapita agli indirizzi mail segnalatici notizie sull’handicap riferite alla realtà locale, regionale, nazionale. Ha prodotto fino ad ora 570 notizie distribuite ad oltre 300 indirizzi.
Vengono fatti mediamente 1-2 invii settimanali per un totale di circa 50/60 notizie al mese.
È il servizio che apparentemente viene apprezzato di più; c’è da sottolineare tuttavia che il target è di persone che già hanno un discreto livello di informazione.
Vengono utilizzate informazioni da siti, mailing list, agenzie stampa e autoprodotte notizie tramite lo spoglio di riviste e da documenti o altre fonti di informazione. Le notizie riguardano tutte le aree dell’handicap.

3. Newsletter trimestrale Metropoli
Il notiziario cartaceo ha lo scopo di raggiungere l’utenza non dotata di posta elettronica, di rappresentare un elemento di visibilità del CRH e di permettere piccole inchieste ed approfondimenti non gestibili tramite la mailing list.
Ha un indirizzario di circa 600 nominativi e viene prodotto trimestralmente. Solitamente è composto da un editoriale, che fa il punto sul CRH, una selezione di notizie dalla lista mail (le più importanti o ancora attuali), una inchiesta relativa alla realtà bolognese (i trasporti, lo sport) e una parte dedicata ai temi di taglio relazionale.
Una sottolineatura merita questa ultima annotazione; ci siamo chiesti se anche su questi temi (le dinamiche familiari, la prima informazione, il vissuto della disabilità, la sessualità, il tema del cosiddetto “dopo di noi”, il rapporto tra famiglie e servizi….) fosse possibile fare una informazione con continuità senza cadere nello specialismo (Metropoli non è una rivista) ma senza nemmeno fare finta di niente di fronte ad un dato che dice che l’informazione sulla disabilità è al 90% su questioni “oggettive” (leggi, progetti, convegni, servizi…), mentre è ovvio, soprattutto per le famiglie e le persone disabili, che i nodi centrali (spesso i più dolorosi) di questa condizione sono di natura relazionale e culturale. Per ora abbiamo scelto la formula dell’invito alla lettura e di una introduzione generale al tema, ma la cosa è ampiamente sperimentale e necessiterebbe di molte più riflessioni.

4. Rassegna stampa dalle riviste di settore
Viene prodotta trimestralmente per le sole associazioni del territorio. Vuole cercare di delineare sfondi informativi rispetto a temi di cui si è data informazione, ma che necessitano di approfondimenti (un esempio evidente è il tema della nuova classificazione ICF della OMS che è fatto tecnico e culturale al tempo stesso), e di continuare ed ampliare il dibattito sui temi relazionali di cui si è accennato parlando di Metropoli.

5. Sportello Biblioteca handicap del CDH
Presso la sede del CRH del Comune si è attivato anche uno sportello decentrato della Biblioteca specializzata sull’handicap del CDH. È possibile consultare l’archivio bibliografico informatizzato e prenotare gratuitamente il prestito dei libri e/o materiale di documentazione da altre fonti (riviste, letteratura grigia). Lo scopo è evidentemente quello di corredare le domande dell’utenza con la possibilità di effettuare approfondimenti e confronti con altre esperienze.
Lo sportello produce anche dispense di documentazione ad hoc in occasione di eventi o notizie che si decide vengano approfondite (vedi ancora una volta ICF) di cui si dà notizia nella lista mail.
Produce anche un aggiornamento bibliografico trimestrale ed un notiziario sulle proposte di legge a Camera e Senato sui temi dell’handicap che vengono ricompresi nella lista mail.
Data l’ubicazione dello sportello e le altre specializzazioni della Biblioteca del CDH (emarginazione, politiche sociali, volontariato, terzo settore, minori) si pensa di attivare anche iniziative (da cui lo scrivere document-azione) per il personale del Settore servizi sociali del Comune che opera in altre aree.

6. Sito Internet
Non serve ovviamente ricordare quanto le tecnologie abbiamo aumentato le possibilità di “contatti” e visibilità per una struttura, ancor più se questa è una struttura informativa.
Sono oltre 1.000 le persone che hanno conosciuto il CRH tramite il sito, che conta, dopo sette mesi di vita, su circa 6-700 contatti mensili, contatti che si impennano ogni volta il CRH fa una qualche iniziativa o informa degli aggiornamenti del sito.
Tre sostanzialmente le aree principali di lavoro del sito:
– la parte istituzionale (chi siamo, orari, indirizzi, schede sulle iniziative….)
– la parte delle altre risorse di informazione e documentazione a Bologna e in Italia (siti, riviste, centri documentazione, servizi Informahandicap)
– la parte dei servizi per l’utenza. Saranno disponibili on line tutti i servizi del CRH (lista mail, Metropoli, aggiornamenti legislativi e bibliografici) e a breve anche la guida, divisa per “capitoli” sulle risorse, i servizi e le opportunità per l’handicap (assistenza, barriere, trasporti, lavoro, sport, fisco….)
Nel sito è interessante l’evoluzione del rapporto tra contatti e pagine lette, che all’inizio coincideva (le persone di fermavano alla home page) ed ora evolve sempre più in termini positivi.

Come ricordato già in precedenza, tutto questo significa circa 35.700 “contatti” in un anno, con una media giornaliera di circa 100 e un bacino di utenza di circa 3.000 persone che accedono una o più volte ai vari servizi del CRH.
Un CRH quindi che dia risposte (domande e risposte allo sportello con gli utenti), in linea con l’aspetto più evidente della sua funzione, ma anche come uno degli elementi di produzione e circolazione delle informazioni in un territorio, per innescare nuove domande, idee, progetti.
E domande, idee, progetti ci paiono termini che hanno a che fare con la costruzione e difesa dei diritti, e doveri, delle persone disabili e delle loro famiglie.

Né un eroe, né un vinto

Soggiorno elioterapico, Colonia marina SS. Apostoli Pietro e Paolo, Patronato di…”.
La targa faceva bella mostra di sé su una delle colonne del cancello esterno, una spiaggia qualsiasi della riviera romagnola, giugno (bassa stagione, ovviamente) dei primi anni ’60.
Circolavano le 600D e le 600 multiple, e gli altoparlanti in spiaggia diffondevano Maria Elena dei Marcellos Ferial.
Cappellini da marinaio blu, canottiere bianche, braccia magre, occhiate strabiche, ragazzi, uomini e donne per lo più con gravi disabilità motorie allineati nel cortile tra il blu e cromature delle carrozzelle.
Nell’aria il classico odore di minestrina in brodo che sarebbe arrivata puntualmente alle 19,30.
Passando dal bianco e nero al colore svanisce anche l’immagine dalla memoria. Di acqua ne è passata sotto i ponti e se prendiamo le vacanze come metro di paragone si può ben dire che la situazione si è capovolta, da “tanti in pochi posti” (l’Istituto che si trasferiva al mare) a “pochi in tanti posti”. Persone disabili che vanno in ferie da soli, con moglie e figli, con amici, con gruppi di volontariato, in vacanze organizzate dai Comuni e dalle associazioni per piccoli gruppi: dieci a Rimini, otto sulle Dolomiti, tre in Inghilterra…
Il Centro Fandango si è fatto in cinque anni Londra, Praga, Dublino, Lisbona e Copenaghen, all’estero, lontani da mamma e papà, a letto tutte le sere alle tre, anche un paio di sigarette e una birra di troppo. A sedici anni trasgredire è d’obbligo, dipende se oltre che disabile ti riconoscono anche come adolescente e te lo lasciano fare/vivere/essere.
Cambiano le vacanze sull’asse tanti/pochi, ma cambia anche il senso della vacanza che diventa come per tutti svago, divertimento, cambio di ritmi e si svincola da ogni orpello terapeutico o paraeducativo e soprattutto viene pensata e vissuta nei luoghi di tutti.
Tra luci e ombre
Tralasciamo un attimo la riflessione sulle vacanze, che ci ha permesso di introdurre il tema di questo articolo, e occupiamoci della riflessione che sta alle spalle delle vacanze, del tempo libero, dei viaggi, della vita sociale: la quotidianità.
È importante questo termine, per certi versi paradossalmente rivoluzionario se associato alla dimensione dell’handicap che spesso siamo culturalmente abituati invece a collocare o a veder collocata più nell’alveo della tragicità o della eccezionalità (il disabile come vinto o come eroe), quindi in categorie che in parte faticano a far rima con quotidianità.
Che si ragioni attorno a questo termine, come la birra di troppo a Copenaghen, è un altro segno di tempi che aprono spazi di “normalità” alle persone disabili. E non è un caso che normalità invece che in corsivo lo abbia scritto tra virgolette, appeso tra virgolette, segno che la strutturale ambiguità della dimensione della disabilità, ogni volta che si fa un passo in avanti, apre comunque nuove riflessioni, nuovi interrogativi; una “normalità” non come approdo, ma come per tutti itinerario che non finisce mai.
Disabilità e quotidianità non solo come evoluzione culturale dovuta al trentennale percorso di integrazione tra handicap e società, ma anche come prodotto dell’affacciarsi alla ribalta e nel mercato sociale da una quindicina di anni a questa parte di una nuova figura, il cosiddetto “disabile adulto” che ha terminato il suo ciclo vitale nel mondo dei servizi (la diagnosi, la riabilitazione, l’inserimento a scuola, l’eventuale percorso nella formazione professionale), che perde le tutele dell’essere bambino e le speranze di guarigione e si affaccia all’età adulta.
Una età adulta contrassegnata dalla drastica riduzione della offerta in termini di servizi socio-assistenziali, da una elaborazione culturale avvenuta in larga misura non più nella rete dei servizi pubblici (enti locali, scuola, aziende sanitarie), ma nel mondo associativo, da una famiglia che, paradossalmente, vive insieme una dimensione di nascita e morte al tempo stesso. Una nuova nascita perché, persi la terapista e l’insegnante di appoggio, è di nuovo la famiglia a farsi carico delle esigenze quotidiane di cura e assistenza tipiche dell’età infantile.
Morte perché l’adolescenza dei figli fa percepire ai genitori lo scorrere del tempo, il passare delle generazioni e quindi pone prepotentemente quello che comunemente viene definito il tema del “dopo di noi”. Ovvero cosa sarà di nostro figlio dopo che noi non ci saremo più?
Ricerca di autonomia
All’interno del tema “disabile adulto” e alla costruzione quindi di una dimensione di quotidianità, è necessario poi ricordare che le realtà della disabilità fisica e di quella intellettiva pongono ovviamente prospettive e interrogativi diversi tra loro, là dove la costruzione e la ricerca di quotidianità va di pari passo con la costruzione e ricerca di autonomia, non solo fisica, ma anche relazionale, emotiva, economica. E anche all’interno della disabilità fisica ovviamente alcune tipologie di deficit ad andamento evolutivo e a esito spesso infausto in età giovanile costringono a interrogarsi prepotentemente nel momento in cui si pensa a un progetto di vita, e ancora si può accennare alle disabilità acquisite in età giovanile o adulta come, ad esempio, le lesioni midollari da trauma stradale.
Un ultimo sintetico, e quindi inevitabilmente demagogico, accenno infine alle due grandi porte verso l’età adulta che sono la sessualità e il lavoro con i relativi percorsi che le sostengono. Molta è ancora la strada che in termini culturali deve essere fatta su questi terreni correlati alla disabilità; la cultura delle veline da una parte e i recenti propositi governativi di voler confinare il lavoro delle persone disabili soltanto nelle cooperative sociali dall’altra, ci fanno capire quanto le maniche le si debba tenere sempre rimboccate.
Se trent’anni di integrazione in Italia ci restituiscono anche le difficoltà e le contraddizioni appena citate è anche vero che ci restituiscono un’enorme evoluzione culturale e l’apertura di spazi e opportunità insperati una volta.
Il percorso da handicappato/malato/infermo/paziente/utente a persona disabile/cittadino è ampiamente in corso e non è un caso che i termini che il vocabolario dell’handicap ci restituisce in questi anni parlino di autonomia, vita indipendente, ausili e tecnologie, turismo, sport… e facciano evolvere, pur con alcuni aspetti di ambiguità, anche la stessa terminologia che non ci racconta solo di handicappati o disabili, ma anche di diversamente abili.
Non solo i velocisti
L’handicap come battaglia, come sfida ai limiti imposti da una natura matrigna, come attenzione ai disabili che sanno “scattare”. Il rischio è che, come nel ciclismo, il gruppo si sgrani e che le telecamere della politica e dell’informazione inquadrino solo i velocisti in testa, mentre il gruppo si allunga e rallenta sempre più.
Fondamentale quindi costruire una cultura delle diverse abilità che non finisca per negare il limite e il dolore che lo accompagna, e che privilegi le diverse abilità per una silenziosa quotidianità fatta di banalità ed eccezionalità al tempo stesso.
Non si può poi dimenticare che esistono tante persone con gravi e gravissime disabilità per le quali forse non è possibile individuare “diverse abilità” (… e forse non ha nemmeno senso cercarle) e che comunque hanno diritto di essere incluse come bisognose di cure e attenzioni all’interno di una quotidianità che sia il più possibile vissuta insieme agli altri. Questo non solo per il benessere delle persone a cui stiamo accennando, ma anche come antidoto a una quotidiana normalità in cui sempre più spesso si cerca illusoriamente di cancellare il dolore, la morte, tutto ciò che non è guaribile o vincente.
Tornando all’esempio della gara ciclistica sarebbe bello che le telecamere finissero per aspettare invano e si scoprisse che tutto il gruppo ha cambiato strada per passare il traguardo da un’altra parte, classificandosi tutti, primi e ultimi, come ci dicono i telecronisti, con lo stesso tempo.
Nuove soluzioni
Abbiamo già introdotto prima il tema del lavoro e di una sfera affettiva e sessuale autonoma; il tempo libero è quindi una ennesima categoria che si tinge di paradossale per tanta parte del mondo dell’handicap che parrebbe, al tempo stesso, avere sempre e mai tempo libero. Eppure, nonostante i (… anzi, meglio, grazie ai) paradossi e pur in una cultura delle persone disabili adulte in cui è necessario per larghi tratti navigare a vista, la riflessione su questi temi ci permette di cogliere nuovi aspetti delle realtà di vita delle persone disabili e delle loro famiglie.
Proviamo a enuclearne alcuni. Una prima riflessione salda il tema del tempo libero a quello delle adolescenze delle persone disabili. Un’età segnata dall’inizio di percorsi di separazione, fisica ed emotiva, dalla famiglia di origine e dalla coppia genitoriale e che invece per le persone disabili assume un segno spesso diametralmente opposto. Ne abbiamo già accennato e non ci ripetiamo.
Gli adulti devono essere estremamente attenti e capaci affinché i ragazzi e le ragazze disabili non si ritrovino, generalmente con la fine della scuola, in situazioni di isolamento e di traumatica separazione dal gruppo dei pari. Non possiamo né dobbiamo chiedere questa attenzione e capacità a ragazzini di 14 o 15 anni che vanno per la loro strada “dimenticandosi” del compagno di classe disabile. Peggio ancora sarebbe vincolare la vita di fratelli o parenti a un destino di accudimento.
Il tempo libero quindi come luogo privilegiato per ridefinire legami di amicizia e complicità; in questo le purtroppo poche “agenzie educative” tipiche dell’età (gruppi di volontariato territoriali, gruppi scout, progetti di tempo libero delle associazioni, gruppi parrocchiali) svolgono un ruolo insostituibile operando una mediazione tra le esigenze di chi ha e di chi non ha un deficit, non negando le legittime esigenze di separazione e favorendo le occasioni di incontro e di sviluppo di solidarietà.
Una seconda riflessione non può che sottolineare la positività delle tante iniziative per rendere il turismo e la vacanza accessibile anche alle famiglie con persone disabili. Un contesto, quello della vacanza, in cui sempre più la famiglia può optare tra varie soluzioni e affrontarle senza la mediazione dei servizi e delle associazioni, ma da sola, sperimentando una capacità autonoma di affrontare le eventuali situazioni di difficoltà in un contesto facilitante come quello estivo. Una spinta quindi a cercare soluzioni divertenti e appaganti per tutti, a progettare soprattutto, e non limitarsi a prospettive a corto raggio relative “al solito posto, che ci conoscono e non ci sono barriere”.
Ricordo personalmente di una famiglia che ringraziava per la guida turistica relativa ai sentieri accessibili nella zona di Cortina d’Ampezzo prodotta dal CDH di Bologna nel 1997 (Viviana Bussadori, Dolomiti per tutti, a cura di CDH Bologna e Coloplast, 1997; la guida segnala diversi itinerari accessibili anche in carrozzella) e che ci raccontava come per loro la montagna avesse sempre fatto rima con difficoltà, inaccessibilità e che quindi, automaticamente, avessero sempre escluso le montagne dalle loro mete di vacanza.
Una terza considerazione sottolinea il rapporto tra quotidianità e ausili, ovvero tutti quegli accorgimenti che possono facilitare la vita di tutti i giorni e rendere più indipendente la persona disabile nella cura di sé, nelle attività domestiche e di comunicazione. Dalla legge quadro sull’handicap n. 104 del 1992 molti passi si sono fatti su questo terreno, per favorire le persone disabili all’interno dei loro contesti quotidiani di vita.
Molte leggi regionali prevedono finanziamenti (www.handylex.org) per l’acquisto di tecnologie per il controllo ambientale o per la modifica di mobili o altro all’interno della casa, anche se esiste ancora una scarsa informazione di cosa offra il mercato e quindi l’utenza che accede a queste facilitazioni è ancora limitata.
Un’ultima annotazione infine a un altro evento correlato al tema della quotidianità. È di questi giorni l’iniziativa della Federazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish) di promuovere l’“adozione” di alcune famiglie con un congiunto disabile da parte del presidente della Regione Emilia Romagna e dell’assessore alle politiche sociali. Un’adozione per condividere nel corso dell’anno alcuni momenti di quotidianità e di vita familiare, per “non perdersi di vista”, soprattutto tra persone, e avere un’angolatura diversa da cui guardare l’handicap, i suoi attori e le relazioni che in questo mondo si strutturano.
Si tratta di un altro piccolo segnale, sempre navigando rigorosamente a vista come i tempi ci consentono, per quella quotidianità anonima ed eccezionale al tempo stesso che possiamo ricercare sfuggendo alle sirene dell’eroe o del vinto.

  • 1
  • 2