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autore: Autore: Alessandra Peterzoli

Durante e dopo di noi

Ci sono in Italia circa centomila persone con handicap grave per le quali la rete dei servizi mostra difficoltà a fornire risposte adeguate, soprattutto dirette all’autonomia e alla formazione della persona nella sua età adulta. D’altro canto però sono pressanti, e urgenti, le esigenze delle famiglie, preoccupate per l’annosa questione del dopo di noi: cosa succederà ai loro figli una volta che il naturale corso degli eventi li porterà ad abbandonarli?
Ciascuna persona disabile, di qualsiasi età, ha il diritto a un sistema di aiuto e di supporto che garantisca il massimo sviluppo della sua personalità; il tutto orientato all’inserimento sociale che sia il più attivo e partecipato possibile. Probabilmente è l’età evolutiva quella durante la quale la persona è più seguita, grazie a una strutturazione dei servizi sanitari, educativi e sociali, meglio organizzata.
Più carente invece l’itinerario d’integrazione della persona in età adulta. Si tratta invece di un’età importante: la maggior parte della vita! Ecco allora che la creazione di una vera e propria rete nella quale vanno a confluire gli interventi sanitari, educativi, formativi e sociali, è necessaria. Fondamentale realizzare un processo di lavoro integrato e continuativo, basato sulla definizione del progetto individuale di riabilitazione funzionale e di integrazione sociale della persona.
Va continuamente riaffermata dunque, l’importanza dell’integrazione dei servizi sociali e sanitari che potrà dare uno slancio positivo al completamento dell’iter legislativo di riforma dell’assistenza che, oltre a individuare le diverse responsabilità istituzionali, troverà risorse aggiuntive per rafforzare la rete dei servizi.

Concretamente occorre sempre tenere la persona, prima bambina e poi adulta, come punto di riferimento ultimo di tutte la azioni.
L’uscita dalla scuola dell’obbligo è uno dei passaggi più delicati: importante utilizzare al meglio il Piano Educativo Individuale per valutare le reali potenzialità della persona, ragionando intorno a percorsi di integrazione successivi, quali potrebbero essere il proseguimento degli studi, l’assistenza socio-sanitaria, il mondo del lavoro, l’accompagnamento in centri diurni, ecc. Non si tratta di una fase di abbandono da parte dei servizi riabilitativi ed educativi, quanto piuttosto un passaggio di testimone tra i servizi di riabilitazione per l’età evolutiva e i servizi di riabilitazione per l’età adulta.
Il passaggio alla vita adulta significa per tutti l’inizio di un cammino verso l’acquisizione di una graduale indipendenza e autonomia, sulla quale abbiamo già riflettuto all’interno di questa rubrica nel corso dell’anno. Anche la persona disabile ha il diritto di avere una vita adulta ed è perseguibile educare e stimolare all’autonomia e all’indipendenza. Così gli obiettivi primari diventano il sostegno ai non autosufficienti per raggiungere il massimo grado di autonomia personale, il sostegno alla socializzazione ma anche l’aiuto alla famiglia. Così ai programmi di assistenza si affiancheranno anche percorsi per lo sviluppo dell’autonomia, sempre in una logica di rete nella quale i servizi interagiscono e si completano a vicenda.
Elemento di rilievo rimane sempre la famiglia che è la prima e fondamentale istituzione assistenziale, ma anche educativa e formativa, all’interno della quale la persona si trova a vivere. Probabilmente per molte persone disabili la vita all’interno delle mura domestiche è la soluzione migliore, la più efficace e la più completa dal punto di vista delle esigenze assistenziali. Non per tutti è così, certo. Anzi, per molti è anche vero il contrario. La famiglia, in ogni caso, rimane un soggetto al quale occorre guardare sempre con molta cura. Occorre monitorarne continuamente le esigenze per dare un fattivo supporto, che sia aiuto concreto per non determinare situazioni di svantaggio per tutti.
Una delle questioni pressanti, che spesso rendono difficile il dialogo tra le famiglie e i servizi è proprio l’incertezza del “dopo”: “dopo la nascita del bambino disabile…”, “dopo l’inserimento a scuola…”, “dopo quella riabilitazione…”, “dopo la formazione….”, “dopo la morte dei genitori…”.

La famiglia è presenza costante, figura da rassicurare continuamente circa le tappe esistenziali che il proprio figlio dovrà affrontare: i programmi di accompagnamento della persona devono quindi tenerla continuamente vicina, per attivare proposte di programmi individuali condivisi. L’intero piano d’intervento e, soprattutto, la definizione di ogni modello d’intervento deve essere condiviso e partecipato dalla famiglia.
Sono molte le azioni che vanno in questa direzione e che si differenziano nel corso della vita e della crescita della persona. In questa sede, vogliamo guardare più da vicino quello che accade per il “dopo di noi” e, più in generale, alla questione della residenzailità, legandoci anche all’esperienza riportata dell’Anffas di Cento, Ferrara.
Molto spesso il disabile è costretto a restare con i genitori per diversi motivi: il tipo di disabilità che non permette una vita autonoma, la mancanza di servizi di aiuto personale per superare problemi di non autosufficienza per i disabili socialmente integrati, la non disponibilità di alloggi adeguatamente attrezzati.
La programmazione di un progetto di residenzialità permetterebbe in molti casi l’opportunità, a volte negata, di fare esperienze di socializzazione più completa e di stimolare risorse latenti per collocarsi a un livello di maggiore autonomia personale. Importante è allora progettare, sperimentare e consolidare un sistema di vita extra familiare, individuato come idoneo non solo come risposta ai bisogni assistenziali, ma anche come risposta ai bisogni esistenziali della singola persona; costruendo un sistema di autonomia con i genitori stessi e con l’aiuto dei servizi che hanno la presa in carico, senza dover ricorrere a soluzioni affrettate dettate dall’emergenza.

In quest’ottica si colloca l’esperienza portata avanti dall’associazione Anffas di Cento, Ferrara.
Si tratta della realizzazione di un centro socio-riabilitativo residenziale “Dopo di noi”; una struttura progettata nel volere della Delibera di Giunta Regionale n. 2000/564 del 01/03/2000, direttiva Regionale per l’autorizzazione al funzionamento delle strutture residenziali e semiresidenziali per minori disabili, anziani e malati di AIDS in attuazione della Legge Regionale 12/10/1998 n. 34. Il rispetto di tali direttive si è reso necessario essendo lo scopo dell’Associazione promotrice dell’opera, quello di offrire servizi, rivolti a cittadini che si trovano in difficoltà a maturare, recuperare o mantenere la propria autonomia psico-fisica e razionale, perseguendo la finalità di favorire processi di emancipazione da situazioni di privazioni o esclusione, così come riportato nell’ambito di applicazione della norma regionale citata. Nello specifico, lo scopo del Progetto va oltre l’offerta di servizi a cittadini disabili, per gli interventi socio-assistenziali o socio-sanitari necessari, finalizzando le prestazioni erogate al sostegno della famiglia. Particolarità principale del Centro Residenziale è il “dopo di noi”: sarà infatti prevista in collegamento diretto con il centro residenziale la costruzione di cinque abitazioni, in grado di dare alloggio oltre che all’ospite anche ai propri famigliari, bisognosi di aiuti nel difficile compito educativo del figlio. Il centro intende fornire ospitalità e assistenza a cittadini che necessitano di una assistenza continua e ai genitori che risiedono con i propri ragazzi all’interno della struttura che contribuiranno con la loro presenza al supporto familiare.
Obiettivo che si aggiunge a quello dell’assistenza, è anche quello di attuare interventi volti all’acquisizione della autonomia individuale nelle attività quotidiane, al potenziamento delle capacità cognitive e relazionali, oltre ad attivare strategie per una corretta e positiva integrazione sociale.
L’esperienza di Cento è una tra le tante: uno dei molti tentativi di dare una risposta concreta al bisogno di quanti necessitino di spazi di integrazione e crescita per l’acquisizione di una maggior consapevolezza della propria adultità di persone, poste in un contesto più allargato del quale fanno pienamente parte.