Skip to main content

autore: Autore: Andrea Tinti e Angela De Marinis

Handicap al Sud

Intervistiamo Nunzia Copedè, autrice del libro autobiografico, Al di là dei girasoli, e responsabile del Centro studi informazione e tutela dei diritti dei disabili di lamezia terme, sulla situazione in generale dei disabili nel sud Italia.

Qual’è nel mezzogiorno, la situazione dei servizi sociosanitari riguardanti l’handicap?
Al sud vi è stato un boom del volontariato che ha contribuito molto a migliorrare la situazione. Da pochi anni si sono sviluppati deibuoni servizi soprattutto nelle scuole di Lamezia Terme, Reggio Calabria e nella provincia di Cosenza per mezzo delle associazioni di genitori. Ma per il resto la situazione è ancora critica: per fare fisioterapia i disabili sono costretti ancora ad andare a nord.

In passato l’handicap era considerato dalle famiglie come una vergogna, qualcosa da nascondere. Nel mezzogiorno esiste ancora questo retaggio culturale?
Poco, per fortuna al sud la mentalità, per mezzo dei privati, è cambiata ed anche i disabili possono uscire e possono essere anche protagonisti. Ci sono ancora pochi casi, come del resto in tutto il paese, di disabili che vengono "nascosti". C’è una gran voglia di uscire fuori, lottare e pretendere.

Quali sono le prospettive del disabile meridionale relativamente al "dopo famiglia"?
L’istituto soprattutto. Come alternativa le comunità: poi ci sono le RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) e i centri residenziali che non sono come le comunità e dove possono risiedere anche le famiglie.

Nel caso in cui un disabile voglia vivere per conto proprio, i servizi locali, quali aiuti forniscono?
Ci sono pochi casi di disabili con gravi problemi fisici che vanno a vivere da soli; rischiano molto, sono poco sostenuti anche essendo non autosufficienti
La comunità non è sempre una soluzione perché non riesce a risolvere i problemi di tutti. Il loro obbiettivo è quello di fare assistenza alle persone che vivono sole.
Un mio conoscente, con un deficit molto grave, ha scelto di vivere per conto suo; dalle comunità moltissime persone sono uscite per andare ad abitare per conto proprio. Questo è un fatto positivo.
Le persone che sono passate dalla comunità e che poi sono diventate autonome, hanno avuto modo di fare un’esperienza molto importante, che le ha aiutate nel passaggio verso l’autonomia.

E per quanto riguarda i servizi di assistenza alla persona, come funzionano?
L’assistenza alla persona: da noi è ancora un’utopia anche l’assistenza domiciliare.
Ci sono pochissimi che la fanno. Esiste soprattutto per gli anziani, ma per i disabili proprio molto poco e per pochissime ore al giorno.
Le amministrazioni non la finanziano perché non hanno soldi. L’hanno fatta per gli anziani; magari, se all’interno di una cooperativa di servizi per gli anziani c’è un disabile che la richiede, gliela fanno anche. Però poi deve stare a quegli orari. Non c’è un’assistenza che copre grandi fascie d’orari. Sta emergendo adesso una cultura dei servizi di assistenza che favoriscono l’inserimento della persona mantenendola in famiglia o in una struttura propria. Fin’ora c’è sempre stato più il discorso dell’inserimento nell’istituto o nella famiglia a carico comunque della famiglia. Il tema del "Dopo di noi" al sud sta scoppiando adesso molto forte, legato alla consapevolezza che disabili e associazioni hanno maturato in questo periodo.
C’è da dire anche che nel sud vi sono sacche di profonda povertà. Questo influisce in modo forte, nel senso che la famiglia, avendo grossi problemi economici, ha teso a tenersi la persona disabile in casa perché comunque portava una fonte economica sicura: la pensione e l’indennità d’accompagnamento. Questo ha creato grosse resistenze da parte delle famiglie a "liberare" i disabili; ancora adesso. Sinceramente mi lascia molto perplessa la proposta che per l’assistenza alla persona vengano dati soldi alle famiglie. Se la persona vive in famiglia si corre il rischio che l’assistenza venga fatta dalla famiglia stessa e non cambi niente per il disabile.

A tuo parere la ventilata trasformazione dello Stato in senso federale potrà migliorare il livello dei servizi alla persona ed in particolare a quella disabile?
Per quanto riguarda l’handicap, non possiamo dire che la regione Calabria non ha soldi per "attuare". Capita addirittura che i soldi tornino indietro allo Stato. Non vengono spesi perché non vengono fatti progetti. Per cui da una parte potrebbe essere un grosso stimolo se la Regione imparasse a collaborare bene con la associazioni sul territorio: potrebbe uscir fuori anche qualcosa di buono, ma se questo non avviene, allora credo che siamo messi molto male.

Telematica sociale e pacifista

Alessandro Marescotti, assieme a Carlo Gubitosa ed Enrico Mercandalli è l’autore di "Telematica per la pace", edizioni Apogeo, MI, 1996, un testo che introduce all’uso della telematica concepita come risorsa indispensabile per l’affermazione della democrazia e della pace; un modo anche per conoscere le reti telematiche al di là delle mode. Lo abbiamo intervistato per sfatare alcuni luoghi comuni e per conoscere le potenzialità sociali delle nuove tecnologie.

Cosa intendi per telematica per la pace?

La telematica si è diffusa in Italia in un periodo (quello successivo alla Guerra del Golfo) in cui il più forte e diffuso movimento di base in Italia era quello pacifista; era molto sentito il bisogno di scambiare informazioni in modo tempestivo e socializzante. E’ nata perciò l’esigenza di una telematica che fosse utile non solo ai tecnici o alle aziende ma alla gente, agli ideali di pace e solidarietà. Oggi la "telematica per la pace" è una dimensione che abbraccia le questioni planetarie, dello sfruttamento del Sud del mondo e tocca tutti gli aspetti di un’etica di volontariato e di solidarietà. La telematica costituisce uno strumento di "rete" e di dibattito per i soggetti di questo arcipelago della solidarietà e della pace.

Quale può essere l’uso della telematica al di là della moda attuale, oltre Internet?

La "comunicazione molti-a-molti (tramite le computer conference, le mailing list, i newsgroup) è a mio parere lo strumento più rivoluzionario che la telematica pone nelle nostre mani. Invece l’attuale moda di Internet privilegia il Web (comunicazione uno-a-molti) e trasforma la telematica in una sorta di grande biblioteca in cui cercare le informazioni. La differenza non è da poco: così si addomestica la telematica. Anzichè utilizzarla come assemblea di dibattito e movimento la si rende innocua trasformandola in un salotto per letture. Ci sono comunque interessanti tentativi di creare all’interno di Internet e del Web – degli ambienti cooperativi e di comunicazione "molti-a-molti". E questa è la strada a mio parere da battere maggiormente in futuro.

Nel tuo libro, sottolinei il "business" di cui Internet è portatore. Ritieni che l’ipotesi di unificare sotto un’inica rete i servizi di telematica di tipo "no profit", alternativi ad Internet e rimasti marginali, perché non sopportati dai grossi interessi economici, politici,… possa facilitare la loro diffusione e garantire un allargamento dell’accessibilità?

Sì, è bene che la l’"altra telematica" (quella ecopacifista, solidale, del volontariato) non si disperda in mille rivoli e non fallisca la grande occasione di creare un circuito comune, un villaggio globale per promuovere iniziative coordinate. Questo non vuole dire che debba esistere una sola rete no profit: l’importante è coordinare i flussi informativi e la telematica è nata per questo.

Come sono diffuse e come utilizzano le reti telematiche le persone che vivono nei paesi in via di sviluppo e in quelli sottosviluppati?

In molte zone dell’Africa Internet è un sogno, nel senso che non arriva.
Ci arriva invece la "telematica povera", quella dei BBS (Bullettin Board System). In molte parti del mondo le fibre ottiche o i flussi satellitari non arriveranno nei prossimi anni e chissà quando e se arriveranno: arriveranno invece le connessioni telematiche a basso costo, quelle appunto dei BBS (basta un personal computer, un telefono e un modem per realizzare un nodo per lo smistamento della posta elettronica). Questo dato lo evidenziamo con forza in "Telematica per la pace" ed è ulteriormente sviluppato in un recente libro di Carlo Gubitosa ("Oltre Internet"). Pertanto oggi – se puntiamo sulle prestazioni prodigiose della multimedialità – rischiamo di creare una "Internet troppo veloce" a cui il Sud del mondo non potrà accedere. Perchè escludere i più lenti imponendo tecnologie e standard troppo veloci, funzionali prevalentemente agli interessi commerciali di chi vuole immettere sul mercato computer sempre più potenti e costosi?

Cosa può, rappresentare per le persone che vivono in situazione di svantaggio, l’uso della telematica?

La sintesi vocale consente di dare accesso alla rete ai non vedenti, per chi ha problemi di udito la comunicazione scritta è ovviamente un vantaggio, chi ha problemi di mobilità sa di poter rimanere in contatto con tante altre persone tramite "computer conference". Io ho cominciato a fare telematica quando è nato mio figlio e ho deciso di non spostarmi da Taranto per dedicarmi a lui. Ho fatto una rinuncia "fisica" ma virtualmente ho mantenuto i contatti con tante persone sparse in altre città, come se viaggiassi. La mia non era una disabilità, era una scelta. Ma per chi è disabile… è intuibile il vantaggio di rimanere in contatto con gli altri tramite la rete, di non perdere la propria socialità, di allargare gli orizzonti.

Secondo te come si parla di video-dipendenza, si può parlare di Internet dipendenza con effetti negativi ancora maggiori rispetto alla prima?

Sì, a mio parere c’è un forte rischio di dipendenza; non so se dà una peggiore dipendenza la TV o la telematica. Per alcuni ragazzi dalla personalità fragile Internet può dare un senso di onnipotenza che la TV non offre ed essere ancora più pericolosa.
Il termine "alienazione" si addice: si evade dalla realtà per entrare in una realtà "altra" in cui proiettiamo quei desideri che la vita frustra.

Quali a tuo parere potrebbero essere alcune misure da adottare per scongiurare il "pericolo" sempre più emergente di una dipendenza psicologica da Internet, con conseguenze di impoverimento qualitativo e sopratutto relazionale della vita dell’individuo?

E’ bene associare alla telematica una sua finalizzazione sociale e umana che faccia rientrare nella vita i flussi informativi: dalla vita al cyberspazio e… ritorno.

Secondo la tua opinione Internet può diventare il "Grande Fratello" e in caso di risposta affermativa, come ci si può difendere da questo pericolo, senza annullare i benefici della telematica?

Il rischio per Internet non sta in una sorta di malefica struttura della tecnologia (anzi Internet non è strutturalmente centralizzata, tende ad essere "libertaria" ed anarchica); il rischio non sta nella tecnologia ma nei tentativi in atto di commercializzare e controllare economicamente la rete creando situazioni di monopolio di fatto; L’altro rischio è che i governi impongano leggi-bavaglio a questa grande fonte di libertà della comunicazione.

Negli anni 60 e 70 alcune correnti di pensiero legate alla estrema sinistra demonizzavano lo strumento televisivo in quanto oggettivo portatore di sub-cultura; non pensa nel suo libro, che la telematica in generale e in particolare Internet possa far correre il medesimo rischio?

Quando ho cominciato a scrivere questo libro con Enrico Marcandali e Carlo Gubitosa (lo abbiamo scritto "in rete" pur abitando a centinaia di chilometri di distanza) ci siamo trovati d’accordo subito su alcuni punti: la TV è centralizzata, è un mezzo di comunicazione uno-a-molti e richiede forti investimenti. La telematica rappresenta un ribaltamento di questa logica se privilegiamo le strutture che consentono la comunicazione molti-a-molti e quelle a basso costo. Le forme di sub-cultura che permeano la TV permeano anche la telematica, che rischia di diventare un megabar virtuale dove ci si parla addosso a ruota libera, un chiacchierificio mondiale (e per questo alcuni sono diffidenti rispetto alla comunicazione molti-a-molti e vedono il rischio di uno scadimento di tono, fino all’insulto collettivo e al caos della comunicazione). Ma questi sono i rischi delle democrazie e dei sistemi aperti. Spetta a noi cogliere le potenzialità e non lasciarcele sfuggire: perchè da qui al Duemila gli utenti telematici saranno diventati cento milioni. E dobbiamo lavorare perchè i gap fra "avvantaggiati" e "svantaggiati" non aumenti, come purtroppo sta avvenendo.