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autore: Autore: di Mauro Sarti

Quale università per gli handicappati

Oggi è il direi tore del dipartimento di scienze dell’educazione dell’università
di Bologna ma per molti è rimasto ancora l’amico a cui chiedere un consiglio, a
cui chiedere quell’informazione che l’assistente sociale non è riuscita a
recuperare. Andrea Canevaro, docente di pedagogia speciale – una delle tre
cattedre esistenti in Italia, e sono poche ci ha detto – ha risposto volentieri
alla nostra richiesta di intervista per la rubrica: 900 anni di
emarginazione?

Tantissime pubblicazioni sull’handicap alle spalle, un manuale per i suoi studenti, ma soprattutto una lunghissima esperienza di lavoro con gli studenti,al fianco delle persone handicappate e delle loro famiglie. Con le associazionicome l’Aias e l’Anffas, con gli Enti Locali e in giro un po’ dappertutto. ;
Probabilmente è stato un attacco un po’ troppo formale. Con Andrea, in fondo,ci si conosce già da un po’ anche se il tempo per fare due chiacchiere non èmai troppo. Terminato l’anno accademico 87/88 ci serviva però un interventosignificativo che soprattutto fosse in grado di dare delle indicazioni chiareper il futuro, che facesse opinione anche nel mondo universitario. Il"referente per l’handicap" dell’ateneo bolognese – ma attenzione allaghettizzazione!, ha continuato Canevaro – ci è sembrata la persona più adattaad assolvere questo compito.
D.: Partiamo con un esempio. All’estero come si sta? 
R.: Non mi sembra che dalpunto di vista dell’integrazione delle persone handicappate nel mondouniversitario ci siano delle situazioni particolarmente brillanti altrove…Certo ci sono paesi che hanno più ordine, per cui la stessa immagine dell’Università in un campus, con i viali, i prati, lebiblioteche… è diversa.
Noi abbiamo delle Università diverse, mescolate alle città, disordinate, ma èsedimentazione storica. Certe Università molto recenti hanno i bagni miglioridi quelle più vecchie, sono costruite tenendo presente i problemidell’accessibilità, e questo soprattutto nei paesi dove le tecnologie sono piùavanti. La questione delle barriere architettoniche però è utile ma non èspecifica dell’Università, la didattica invece se non la facciamo noi non la fanessuno.
D.: Quindi metteresti la didattica al primo posto al fine di una realeintegrazione nell’Università?
 R.: Si riflette troppo poco sulle questioni cheriguardano la didattica. Gatullo dice spesso: se noi dovessimo indicare ad uncollega straniero tre pubblicazioni di rispetto, di un certo calibro, sulladidattica universitaria in Italia, faremmo fatica a trovarle. Manca unariflessione di metodologia che vada al di là di una didattica molto ora-listica,la lezione, mentre il laboratorio è riservato ad alcune situazioni tecniche. Siconsidera che le materie uma-nistiche non debbano avere laboratori e questopenalizza soprattutto chi è handicappato. Questi studenti avrebbero bisogno diuna "articolazione della didattica", invece si riporta nellasituazione universitaria la condizione per cui l’integrazione, quando c’èstata, si è realizzata nella scuola di base, con la possibilità di utilizzareuna serie di strumenti di mediazione, con una didattica multimedia. La stessacosa vale per le ricerche, per quelle "partecipate" dove glihandicappati non sono oggetto di ricerca ma sono dei collaboratori. Sarebberomolto importanti per affrontare ad esempio le questioni lavorative, sociali,famigliari, sessuali… Varrebbe la pena pensare che una fetta di queste debbano farsi doverosamente, per una convinzionescientifica ed etica, con un modello di ricerca partecipata, favorendo laricerca-azione.
D.: E i finanziamenti? Il nuovo corso dell’Università prevede uno strettorapporto di collaborazione con il mondo dell’industria. Chi sarebbe disposto afinanziare ricerche sull’handicap? 
R.: L’handicap non deve essere visto allastregua di una industria! È la novità di questi anni pensare che l’Universitàpossa essere gestita come un’impresa che abbia rapporti con altre impreseoffrendo dei servizi, tra cui ia ricerca. Non è tanto possibile individuarel’industria disposta a finanziare ricerche in questo settore, potrebbero esserele Ferrovie dello Stato per i trasporti, ma ci potrebbero essere anche moltealtre cose… Bisogna allora pensare che la ricerca sull’handicap è un settoreal quale devono essere date delle garanzie istituzionali anche dall’internostesso dell’Università, e anche per quanto riguarda l’erogazione di fondi.
D.: Torniamo alle barriere architettoniche. Entro l’anno partiranno i lavori perla loro eliminazione, a quali problemi si andrà incontro? 
R.: Ci sarannosicuramente delle questioni da raccordare, problemi con la Sovrintendenza aimonumenti; bisognerà continuare a fare lezione anche in quelle aule dove saranno in corso ilavori. Ma l’importante è che nella commissione che presiederà ai lavori cisia la presenza di persone handicappate; per non commettere degli errori.
D.: Ci sono differenze tra le diverse facoltà? Disponibilità? Tolleranza?Qual’è la situazione del punto di vista dei docenti?
R.: Credo che ci sia una parte di noi docenti – che però non vorreicolpevolizzare – che adotta un certo pietismo. Sempre meglio che essere spieiatima… è sbagliato considerare la persona che ha delle difficoltà dicomunicazione come una persona che farà un esame un pò tirato via. Qualcunonon darà il voto massimo ma c’è comunque una certa disponibilità. Poi ci sonole facoltà che ti fanno subito capire che quello non è il tuo posto, che devidimissionare dalle aspirazioni che avevi, si dividono in fondo in due categorie:quelle dove c’è tolleranza, disponibilità ma talvolta non proprio fino infondo; e quelle dove invece non ci si iscrive neanche, oppure si rimedia nonfacendosi più vedere. D.: Hai in mente un esempio di uno studente condifficoltà che abbia superato con successo il suo rapporto con l’Università? Econ quali costi?
R.: Maurizio Cocchi (oggi presidente della Spep coop di Bologna, ndr) ha avutosicuramente il vantaggio, e lo dico paradossalmente, di essere presenteall’Università in una stagione di grandi assemblee, di grande movimento, e diavere un carattere che voleva imporsi. La miscela di questi due elementi gli hafatto fare un esercizio di "logoterapia" che forse non aveva mai fattoin vita sua. L’assemblea doveva rispettare i tempi di Maurizio che sono andatipoi accelerandosi, ha migliorato la sua organizzazione non solo di oratore maanche l’articolazione, il non-incepparsi… ha imposto uno stile. Le difficoltàche ha avuto le ha vissute come tutti gli altri che hanno delle difficoltà. Nonha richiamato su di sé un’attenzione da "poverino!", erano lenecessità anche degli altri: di avere degli esami in calendario piùaccettabili, degli accessi migliori, le aule, gli spazi…
Sta arrivando gente. Devono parlare con Canevaro di un corso di formazione sullasessualità per una USI di Ravenna e sono costretto ad interromperel’intervista. Riesco però ad avere un’ultima informazione: Canevaro èfiducioso che possa andare a statuto una nuova disciplina per l’Università,"handicap e nuove tecnologie".