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autore: Autore: Enrico Morganti

L’altra faccia del non profit

Che la revisione (non riforma!) del sistema di Welfare State (WS) italianosia iniziata, non ci sono dubbi: i vari tentativi di tagli della spesa sociale(in qualche caso realizzati) e l’emergere di ricorrenti spinte verso laprivatizzazione ne sono la prova.
Prende ogni giorno sempre più forma una mercato sociale (assistenza, formazioneprofessionale, ecc.) che vede decrescere i finanziamenti statali ed aumentareforme di competizione tra agenzie pubbliche, imprese private e organizzazioninoprofit.
Alcune scuole di pensiero e teorie economiche enfatizzano "lanovità": in alternativa tra intervento pubblico e privato si è trovata laterza via.
Per correttezza storica va detto che non siamo di fronte ad una novità. Damolti anni finanziamenti statali o regionali sono gestiti da enti che svolgonofunzioni di pubblica utilità. E’ il caso della formazione professionale. Lanovità semmai sta nella attenzione che da un po’ di tempo a questa parte siriconosce a queste entità: non solo partner dello Stato nella fornitura diservizi di pubblica utilità, ma anche soggetto autonomo dello sviluppoeconomico e sociale del paese.
Val la pena di soffermarsi sulle teorie che, pur riconoscendo dei limiti,enfatizzano i vantaggi del terzo settore, affermando che le noprofit sono"naturalmente" superiori in efficienza ed efficacia ai settoripubblico e privato. La riflessione ci deve aiutare ad evitare il rischio dilegittimare scientificamente lo smantellamento del sistema pubblico di WelfareState, favorendo privatizzazioni selvagge.

Limiti e vantaggi delle organizzazioni

Incominciamo dai limiti (riconosciuti). Innanzitutto non dobbiamo dimenticareun dato storico: la nascita, il consolidamento e l’espansione sono avvenuti, inqualche caso, grazie a finanziamenti pubblici.
Secondariamente i cittadini e gli amministratori pubblici (che devono assicurarei servizi) sono spesso impossibilitati a scegliere sulla base di un calcolocomparato basato su criteri di costo/qualità, il fornitore più conveniente oaffidabile. Anche quando si può scegliere, basta la natura giuridica delsoggetto per esprimere una opzione?
Infine si rilevano, a volte, comportamenti alquanto tradizionali e conservativicome ad esempio la scarsa propensione al miglioramento della qualità, forseanche perch‚ il finanziamento pubblico non è accompagnato da un seriocontrollo di gestione.
I vantaggi enfatizzati delle organizzazioni noprofit sono molteplici. Esse sonoinnanzitutto orientate al miglior servizio possibile, in forza della vocazionealtruistica e solidaristica (e a volte anche religiosa) che le caratterizza.
Non hanno scopo di lucro, e i servizi offerti vengono definiti nel contesto diuna relazione fiduciaria; pertanto il cittadino (o l’ente pubblico al qualecompete la responsabilità di assicurare i servizi stessi) le trova piùaffidabili di altre.
Le organizzazioni noprofit sono inoltre caratterizzate da minor vischiositàamministrativa e gestionale, ma soprattutto hanno costi mediamente più bassi,al riparo da aumenti ingiustificati.
Esse infine favoriscono la partecipazione e, in sintesi, fanno quadrare ilcerchio: economia-solidarietà-democrazia.
E’ evidente come l’approccio di queste teorie sia inaccettabile in quanto sibasa sostanzialmente sul seguente assunto: la configurazione peculiare delnoprofit garantisce di per s‚ il raggiungimento di finalità di interessecollettivo, una buona efficienza e un’altrettanto buona efficacia.
L’approccio corretto è diverso: date, senza per altro darle per scontate,determinate finalità collettive, il profilo giuridico e organizzativo dellenoprofit consente il raggiungimento di risultati migliori rispetto ad altreconfigurazioni.
I motivi della vantaggiosità delle organizzazioni noprofit variano da paese apaese, da settore a settore, in quanto non derivano da una loro superioritàteorica, ma da ordinamenti giuridici e fiscali favorevoli, dall’accessoprivilegiato a risorse umane e finanziarie altrimenti indisponibili, dal creditoche si sono costruite nella società civile, dalla presenza di amministrazionipubbliche favorevoli al loro sviluppo e, infine, dalla forza di alcuneistituzioni particolari fortemente impegnate in campo sociale ed educativo (adesempio la Chiesa cattolica in Italia).
In ogni caso, obiettivi di pubblica utilità non sono automaticamente presentiin qualsiasi organizzazione noprofit. Essi sono infatti il frutto di scelte, diorientamenti sociali e di competenze che emergono nella società civile e chetrovano diverse forme organizzative di realizzazione (pubbliche-private-noprofit).
Se su queste riflessioni si trova una condivisione di fondo, è possibileanalizzare le implicazioni per le politiche sociali che ne conseguono.
L’approccio errato delle teorie sopra esposte ha un punto critico, rappresentatodalla supposta superiorità competitiva delle organizzazioni noprofit in mercatipoco remunerativi e con asimmetria informativa. Certamente una regolazionepubblica più flessibile e meno invadente, nonch‚ un riconoscimento di maggiorautonomia di azione e proposta, consentirebbe un’opera di calmiere, masoprattutto di discontinuità verso rendite di posizione sia nel pubblico, chenel privato e nel terzo settore ingessato.

Commercializzazione del terzo settore

Anche se l’obiettivo rimane: servizi migliori agli stessi costi oppure stessiservizi a costi minori, ciò non significa una drastica riduzionedell’intervento pubblico, ma un sostanziale riequilibrio tra Stato, mercato,terzo settore.
Se non si adottano queste cautele si va incontro ad una serie di rischi.Innanzitutto alla spinta crescente verso la commercializzazione del terzosettore, che indebolirebbe la vocazione di molte organizzazioni noprofit versole fasce deboli.
Secondariamente la sopravalutazione del comportamento "virtuoso" dellenoprofit potrebbe spingere a immaginare una contaminazione positiva degli altrisettori. Ma se la logica degli appalti, che sta subentrando alle convenzioni,stimola una competizione elevata, la qualità passa in secondo piano e sidiffondono comportamenti opportunistici. Non c’è quindi da stupirsi seaumentano i rischi di omologazione e di appiattimento in una logica mercantileper le organizzazioni noprofit impegnate in gare di appalto che premianoesclusivamente la capacità di risparmio di denaro pubblico. Capacitàrealizzata (più o meno a ragion veduta) da competitori sempre più numerosi esempre più spesso privi di scrupoli.
I riflessi di queste gare al ribasso dei costi si osservano anche sul pianooccupazionale dove sta emergendo un sottoproletariato dei servizi composto dalavoratori senza qualificazione, che vengono arruolati dove capita, offrendocosì servizi di bassa qualità.
In conclusione la sfida che il terzo settore ha davanti a s‚ è avvincente e,per essere vinta, deve superare l’idea che basta l’assenza di lucro per averelegittimazione sociale e finanziamenti. In un sistema di nuovo Welfare (Welfare-mix),sempre più attento all’efficenza ed efficacia, la non lucratività infatti noncostituisce più una virtù sufficiente.