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autore: Autore: G. Giura

Riabilitare: chi, come e perché

Capire cosa si intende per riabilitazione diventa oggi sempre più complesso, viste le numerose definizioni che se ne danno, viste le molteplici figure che di riabilitazione si occupano. Per capirne di più abbiamo intervistato Andrea Canevaro, docente di Pedagogia Speciale presso la facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di BolognaProfessor Canevaro, qual è la sua definizione di riabilitazione?

R. La riabilitazione è la realizzazione di un progetto che non è mai casuale, che ha come obiettivo quello di consentire a chi ha avuto dei danni di ripararli.
Può esserci una riabilitazione in senso strettamente tecnico, che però necessita di una corrispondenza negli elementi di contesto. Ad esempio, la riabilitazione di un arto di una persona che raggiunge dei buoni risultati, necessita di una riorganizzazione del contesto familiare in cui quella persona trascorre il proprio tempo. Tempo che, in questo specifico caso, è di transizione tra una situazione di inabilità ed una situazione di totale abilità. La riorganizzazione del contesto familiare, lavorativo, permette in parte di superare le difficoltà legate alla situazione, seppur temporanea, di inabilità, evitando squilibri e tensioni.
E’ necessario che tutti gli aspetti, siano curati senza esasperarne le ragioni…
La riabilitazione ha quindi sempre di più un investimento sulla situazione di handicap, di svantaggio e non sulla sola persona che ha una riduzione di capacità funzionale.

D. Cosa si fa per riabilitare?

R. Per riabilitare è necessario fare un’analisi delle competenze residue e delle competenze che sono state danneggiate individuando gli esercizi, le attività, gli schemi intellettuali da curare affinché il soggetto riassuma quelle funzioni.
L’operazione di riorganizzazione delle attività cognitive è molto importante per evitare una riduzione della riabilitazione ad un esercizio muscolare.
La riabilitazione ha sempre bisogno di avere un’organizzazione mentale che permetta di imparare ad apprendere. Frösting raccontava di un camionista che doveva imparare a ballare e non riusciva a eseguire le indicazioni che la sua ragazza gli dava, ogni volta che iniziavano a ballare. Solo quando ha riorganizzato le indicazioni relative ai passi da eseguire, sui pedali del camion ha imparato a ballare, poiché ha messo le competenze che gli erano richieste non sulle immagini che la sua ragazza aveva in mente ma sulle proprie immagini, o meglio sulle immagini che facevano parte della propria quotidianità.
Moltissime volte, infatti, la persona riabilitata, si trova di fronte a delle difficoltà che sembrano proprie dell’invalidità e in realtà sono legate all’estraneità con quel percorso di riabilitazione. Una persona da riabilitare deve essere messa nella condizione di fare proprio il percorso di riabilitazione a partire dal proprio scenario. Ad esempio, una persona anziana che ha avuto un ictus e ha una vita religiosa molto intensa, può realizzare un percorso di riabilitazione legato in parte alla propria vita religiosa, al fine di fare proprie le prospettive di riabilitazione a partire dal contesto quotidiano. Senza fare delle pericolose confusioni, ripenso in particolare ad una persona che, pur in una condizione di perdita definitiva di molte abilità motorie, ha investito parte delle proprie energie nella riabilitazione partendo dalla riflessione che Cristo è stato sulla croce e che quindi, piena umanità non è piena efficienza. Tutto ciò ha consentito a quella persona di capire che era suo dovere non lasciarsi andare e riprendere le poche funzioni che poteva riconquistare.
Pur mantenendo la riabilitazione un ambito specifico però tale specifico può collegarsi a diverse cose. E’ necessario che chi riabilita superi un approccio monomodale e a partire da una buona metodologia utilizzi molti metodi, che non significa mettere tutto insieme bensì avere la capacità di integrare gli elementi, i suggerimenti che la conoscenza di molteplici esperienze propone.

D. Come si riabilita?

R. La riabilitazione ha bisogno, come buona parte della psicoterapia, di un setting, cioè di uno spazio e di un tempo organizzato. Quando gli spazi e i tempi vengono proposti esclusivamente in termini medicalizzanti una certa parte della popolazione può avere molte più difficoltà nell’intraprendere un percorso riabilitativo di quello che è lecito proporre.
Pensiamo ad esempio ai bambini e alle bambine, se il setting viene organizzato in modo tale da essere accogliente, simile ad una stanza giochi, ad una sezione di asilo nido, ad una ludoteca, si offre un contesto riabilitativo più favorevole creando una situazione di partenza migliore.
In questo momento in cui la popolazione italiana incontra più popolazioni, dovremmo pensare con attenzione a creare dei contesti che favoriscano l’incontro e di conseguenza la collaborazione e lo scambio. Ad esempio, preparando un caffè in ambiente di lavoro si può facilitare e favorire l’incontro e la collaborazione fra più persone.

D. Che cosa si vuol riabilitare?

E’ complesso definire che cosa si vuol riabilitare, spesso di qui nascono le diatribe, le scorrettezze e le incomprensioni. E’ chiaro che un fisioterapista impegna la sua professionalità sulla parte da riabilitare non dimenticandosi del resto della persona. In questo caso è ricco il lavoro di fisioterapisti che non lavorano solo in un ambiente, ad esempio l’ospedale, ma decidono di lavorare anche in casa della persona.