Skip to main content

autore: Autore: Giampaolo Mazzara

Per aprire la mente

In una ormai lontana giornata invernale che vedeva tutto il modenese coperto di neve, associo al gelo, al freddo, al ghiaccio, la vita affettiva e relazionale di alcuni pazienti che avevo appena incontrato, in particolare il signor Silvio un anziano lungodegente che dimostra una paura generalizzata di tutto e di tutti. Egli sente come una minaccia i miei interventi perlomeno quanto sente protettivo il reparto psichiatrico, il suo letto, la sua camera: solamente disteso sul letto non sente la minaccia della vita. E se gli riconosciamo, oltre la possibilità di provare la paura, quella di sperimentare la rabbia; è prevedibile che egli abbia provato rabbia nei miei confronti per il fatto che io cerco di far emergere la vita, l’ energia, il "sentire" là dove c’è l’oblio, dove c’è il gelo che non permette la vita.Inizia un itinerario durante il quale il signor Silvio porta nel gruppo le sue resistenze, le sue "fughe" e, in una progressione insperata, le sue fantasie, le sue allucinazioni, finché un giorno "si apre una porta che appariva chiusa da sempre". Egli comincia a parlare del suo non avere figli, ci presenta i quattro nipoti, in particolare la nipote che fa la … "vita", "ma potrebbe fare un altro lavoro". Ricorda la madre che faceva la sfoglia e di come fossero enormi i ritagli di pasta che andava a "rubare".Scopriamo che è un bravo cuoco: ci parla del suo insuperabile brodo fatto con gallina, punta di petto di manzo e osso di prosciutto crudo. Al crescente interesse del gruppo – pazienti e personale infermieristico – corrisponde un’ ulteriore apertura che ci mostra un signor Silvio attento, appropriato e fiero di ciò che va raccontando. Sembra essersi riaggiustato il prezioso filo che lega il presente e il passato, il sentimento del qui e ora alla memoria affettiva e corporea. Viene poi la volta delle "polpette" e qui il racconto si fa scena, azione, vita vissuta. Allestiamo accuratamente una cucina in cui si prepara un pranzo per un invitato: il piatto forte sono le polpette, infarinate con "fior di farina" dopo averne ben impastato gli ingredienti (carne equina, uovo, formaggio, pane grattugiato).Ed ecco il momento magico in cui arriva l’ invitato: si tratta dell’ assistente sociale (interpretata dalla Caposala) cui Silvio sembra particolarmente legato, ora lui ha 40 anni e lei 30. Si crea un clima di festa che si concretizza in un brindisi più che mai vero e sentito."Ah, se non stessi così male!", conclude il signor Silvio, confermandoci come stia vivendo questa situazione con intensità pur non rinunciando ad una certa visione critica e realistica della sua situazione oggettiva.La seduta è finita: siamo sorpresi, soddisfatti, ora ci unisce un fluire tiepido di commozione e tenerezza.

Mary non abita più qui

La voglia di vivere di Alice si è affievolita, il suo sguardo spento non lascia trasparire emozione. Un dolore muto, tremendo nella sua inespressività, non le permette di vedere l’altro che le sta intorno ma le impone di spendere tutta la sua energia nel seguire una ripetitiva sequenza di situazioni inquietanti, costituite da amore non vissuto, da violenza, dalle attenzioni incestuose del padre che le hanno segnato il corpo ma ancor più l’anima. Alice ha imparato a non chiedere per evitare l’angoscia del rifiuto, a non desiderare per tenere lontana da sé la prova pesante della frustrazione.
Un’energia misteriosa, ancestrale, la spinge a partecipare; entra nel nostro gruppo senza entusiasmo ma con una certa consapevolezza. Si avverte il suo istintivo bisogno di esserci. C’è’ una spinta alla vita che non si esteriorizza in altri momenti ma che, stamattina, si concretizza nel proporsi come protagonista del nostro gioco psicodrammatico. "La mia vita è un grande vuoto" . Un vuoto così esteso da occupare l’intero spazio "scenico" definito dalla circonferenza delle sedie su cui trovano posto partecipanti, pazienti ed équipe terapeutica. Tutto lo spazio. Un vuoto totale. Accidenti Mary! Se ti fossi aggrappata meglio alla roccia, se non ti fossi lasciata inghiottire da quel burrone saresti ancora qui. A riempire questo vuoto.
I tuoi genitori hanno accettato Alice come una figlia, dandole una casa – finalmente normale – , non una giungla infida in cui ogni cosa può attentare alla tua incolumità. Tu Mary, le hai dato la forza di andarsene di casa, tu la sostenevi, la rassicuravi, eri la sua amica intima, l’unica persona fidata. "Perché sei morta?" L’interrogativo caduto per molte volte nel vuoto interiore di Alice, viene raccolto da una Mary ausiliaria che dialoga con l’amica e le propone la logica inafferrabile di una morte precoce. Un caldo incontro che dura poco: Mary viene allontanata, come nella realtà. E’ ancora il vuoto. Ora però vi possono entrare figure che prima ne erano impedite, capaci di riempire fisicamente ed affettivamente una certa porzione. La "madre vicaria" che ha condiviso con l’amica, donna positiva che la ospita e le dà affetto mai ottenuto, la protezione desiderata, così come una disponibile sorella di Mary.
Proprio quando queste presenze vengono ad abitare il vuoto, emergono dal passato i fantasmi dolenti che Alice cerca di rinchiudere dentro di sé. Il confronto con questa madre vicaria dolce ed affettiva crea le premesse per un incontro drammatico con la madre reale. L’indifferenza, il distacco, l’ostilità che hanno caratterizzato il suo relazionarsi con i figli hanno costituito il primo grande vuoto di Alice. Un vuoto incolmabile, doloroso e gravido di rabbia.
Avverte un odio talmente forte da impedirle di scegliere una persona del gruppo nel ruolo di sua madre: teme di poterla offendere solo per il fatto di farglielo assumere. La scelta cade su una signora oggettivamente marginale che riesce a raccogliere l’ostilità di gran parte dei degenti.

Ecco la rabbia, improvvisa, prorompente. "Ti odio, ti odio" Gli occhi di Alice hanno un guizzo vitale. "Ti odio, vattene." Allontana da sé la madre e, poi ancora senza parlare, la spinge fuori dalla porta.

Un gesto di grande intensità e di valore catartico. In questo momento le è possibile recuperare Mary, trovandole una nuova collocazione vicino a sé ma senza contatto diretto. Questa Mary è un ricordo, dolce e doloroso, che non invade tutta la personalità dell’amica, rimanendone separata come "altro", come un oggetto affettivo fuori di sé. Mentre Alice ci conferma la sua soddisfazione per il lavoro svolto, la nostra attenzione si rivolge su un fatto inaspettato di cui è protagonista Ortensia, la signora che si è prestata ad impersonare il ruolo della madre. Era stata cacciata – in quanto madre cattiva – fuori dalla stanza e vi era rimasta per qualche minuto, fino al termine del gioco psicodrammatico.
Al suo rientro, ci appare seriamente preoccupata che quell’odio fosse andato realmente su lei come persona e non come interprete del ruolo; teme addirittura di esserne la causa inconsapevole.
Questa signora chiusa, anaffettiva, inacidita ci presenta una dimensione umanizzante di sé, fa trasparire tensione, bisogno di essere rassicurata. Ha vissuto dal didietro questa drammatica relazionale madre-figlia, con una partecipazione emozionale che ci sorprendere e ci commuove.
Poco importa che, allorché questa immagine di sé che sta proponendo le viene fatta notare, se ne distacchi definendosi "fredda e abulica". Anche lei ha vissuto il suo psicodramma restituendosi la possibilità di provare emozioni come a tutti noi.

Se per Alice sentiamo solidarietà e calda empatia per Ortensia proviamo persino un po’ di simpatia.

Metodi attivi

Tra gli ambiti in cui lo psicodramma mosse i suoi primi passi, quello psichiatrico costituì sicuramente uno dei più significativi. “Questo tipo di approccio prevede non soltanto di riconoscere e di valorizzare le componenti emotive ed affettive della personalità del paziente, ma anche quelle lo stesso operatore psichiatrico”

La molteplicità dei riferimenti teorici e l’ampia differenziazione tra metodi oggi presenti sulla scena terapeutica internazionale non ci può far dimenticare che è proprio con lo psicodramma che i metodi attivi si presentano nella loro dimensione clinica e cominciano a far parte della pratica psicoterapeutica contemporanea.Dal primo momento in cui ho iniziato ad utilizzare lo psicodramma in ambito psichiatrico, sono stato obbligato ad un profondo lavoro di riadattamento, non solo tecnico, ma anche personale.Ciò ha favorito un’evoluzione dell’intervento che lo ha alleggerito di quanto risultava superfluo o indotto dalla mia formazione culturale e dalle mie aspettative.Un tale processo di adattamento creativo ha dato buoni risultati e mi permette di individuare l’efficacia dello psicodramma in ambito psichiatrico su tre livelli tra loro connessi ma con caratteristiche ben differenziate.
Un mezzo per facilitare la comunicazione e per la diagnosi.
Durante lo svolgersi di una sessione di psicodramma, si realizza una circolarità veramente efficace che, a partire dal clima di spontaneità e di empatia presente nel gruppo, favorisce l’espressione libera dei propri vissuti e delle proprie opinioni, sia con modalità verbali, sia utilizzando altri mezzi più opportuni o congeniali.Il gruppo assume un valore centrale: funge da amplificatore dei sentimenti e dei desideri, contiene i timori e le angosce, permette di condividere difficoltà, emozioni, problemi.Contrapponendosi alla funzione definitoria della diagnosi che spesso diviene prevalente in ambito psichiatrico, lo psicodramma può venire utilizzato al fine di realizzare una integrazione delle informazioni emerse in diversi momenti della vita del paziente, restituendogli una dimensione storica ed evolutiva altrimenti banalizzata. Ciò permette di confermare e verificare le risorse e le modalità nuove emerse dal paziente ed individuate insieme ai medici.

Uno strumento terapeutico

Nella mia pratica clinica, posso notare come durante lo svilupparsi del processo terapeutico, e talvolta persino all’interno di un’unica sessione, si passi dalla esplicitazione di situazioni conflittuali e dalla evidenziazione dei nuclei problematici personali, ad una progressiva rielaborazione che va a costituire, assieme ai successivi interventi territoriali, una strategia che favorisce la rappresentazione organizzata dei sentimenti e delle emozioni che riemergono dal buio e dal groviglio interiore e si vanno strutturando attraverso il coinvolgimento globale del paziente. Questi elementi si intrecciano con le risorse personali, individuate sia nel proporre le proprie tematiche, sia nel partecipare assumendo ruoli ausiliari, sia nella condivisione con gli altri compagni di esperienza.La globalità e l’unitarietà, riconosciute e favorite in ognuna delle persone con cui si opera, rappresentano il punto di partenza dell’approccio al paziente, così come dell’antropologia su cui si basa il senso stesso dell’incontro con l’altro".
Gli aspetti fondamentali e gli elementi costitutivi dello psicodramma traducono concretamente la possibilità che l’identità trovi sulla scena terapeutica lo spazio ed il clima emozionale per scoprirsi, conoscersi, proporsi, confrontarsi ed organizzarsi.Questa specificità assume un grande rilievo quando l’intervento sia rivolto a persone affette da patologie psichiatriche; esse si presentano frammentate, spaccate al proprio interno e separate da chi le circonda, con un corpo muto che sorregge senza esprimere e, almeno apparentemente, senza sentirePiù volte mi sono reso conto di essere protagonista di un paradosso nel cercare di far coesistere una concezione sintomatica e farmacologica dell’intervento psichiatrico con una visione multifattoriale e globale dell’individuo così come dell’ambiente.Da una parte il contenimento della persona affinché non lasci uscire la sua energia "pazza", minimizzando i possibili danni prodotti dalle azioni del malato, su se stesso, sugli altri e sull’ambiente.Dall’altra la ricerca e la valorizzazione delle parti sane e vitali del paziente, favorendone l’espressione spontanea ed organizzata intorno ad una progettualità terapeutica e riabilitativa.Evidentemente, questo tipo di approccio prevede non soltanto di riconoscere e di valorizzare le componenti emotive ed affettive della personalità del paziente, ma anche che lo stesso operatore psichiatrico si senta coinvolto in un incontro reale, dal quale non può escludere la sua emozionalità ed i suoi vissuti attuali e remoti.Anch’egli diviene parte di un sistema interattivo tanto complesso quanto entusiasmante allorché si producono i risultati previsti o sperati sul piano della qualità della vita dei singoli pazienti ma anche in riferimento alle caratteristiche della vita all’interno della struttura o del servizio in cui si opera.

Lo psicodramma con i malati mentali

Nella mia esperienza professionale ho ampiamente utilizzato lo psicodramma anche con pazienti ricoverati in strutture protette. Persone affette da gravi patologie psichiatriche che vanno dalla schizofrenia alla depressione maggiore. Con esse la metodologia applicata rimane sostanzialmente la stessa ma si modificano gli atteggiamenti, i tempi e soprattutto gli obiettivi specifici. Se con la persona delirante ci si propone di favorire un’organizzazione, seppur minima, dell’inquietante ricchezza di "materiale" prodotto, nello psicotico che ha chiuso, catatonicamente, con il mondo circostante l’intento è quello di entrare in uno spazio "vietato" per intessere una relazione, appena percettibile ma vera.Lottare con i contenuti di morte ostentati dal depresso grave risulterebbe improbo se si ritenesse di poterlo "salvare" e di fargli assumere il nostro atteggiamento nei confronti della vita.Anche qui è l’ascolto dell’altro che ci aiuta a creare un clima di empatia in cui egli possa sentire, prima di tutto, la nostra presenza e quella degli altri partecipanti, nei loro ruoli ausiliari di altro con cui allenarsi alla lotta con la vita.Con i dovuti adattamenti, lo psicodramma può essere usato anche con pazienti affetti da forme di demenza. L’assenza e la frammentarietà del vissuto, della memoria, del pensiero, sono realtà angoscianti ma che possono essere rappresentate e diventare contenuto, presenza.Alcune delle esperienze che ricordo con maggior tenerezza sono state realizzate proprio con pazienti di questo genere.Un altro ambito di grande interesse con il quale sto prendendo contatto e con cui ritengo sia possibile un intervento psicodrammatico efficace è quello dei malati AIDS, soprattutto quelli in cui la malattia si presenta in fase avanzata.Intervenire attraverso la relazione e l’incontro là dove si impone l’isolamento mi sembra una grande scommessa.Per chi davanti a sé ha solo orizzonti di morte, rappresentare frammenti di vita può essere difficoltoso, persino angosciante, ma può diventare una delle strategie attraverso cui dare senso e valore ad ogni attimo del proprio esistere.

Uno strumento per psicologi, operatori e educatori

Da molto tempo sono impegnato in progetti di formazione che vedono coinvolti psicologi, terapeuti, riabilitatori, operatori di comunità, educatori. Credo di poter aver trasmesso, tra le tante cose comunicate e fatte insieme, un senso di fiducia nella persona, nelle sue azioni, nella sua creatività.Imparare a favorire il manifestarsi dell’individuo nelle forme che gli sono concesse dalla sua realtà fisica, psicologica e sociale. Costruire strategie creative ed adeguate a chi si rivolge a noi per essere aiutato a ritrovarsi o a riprendere il suo percorso.Ritengo che l’impegno più importante riguardi quel saper essere che qualifica i ruoli professionali e costituisce un inesauribile quanto affascinante divenire.

(*) psicologo, psicoterapeuta direttore della Scuola di Psicodramma di Verona