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autore: Autore: Guido Boero

Io e Smile

Genuri Turri Tuili Collinas Villanovaforru Ballao Villasalto S.Nicolò Gerrei Armungia Bacu Abis Villaputzu S.Anna Arresi: quanti km di pensieri "vittimistici e lamentosi" condivisi con i colleghi pendolari! Sveglie alle 6:00, rientri alle 15:00, tre ore al giorno "sprecate" nei viaggi, schiene a pezzi, spese sanguisughe di benzina e manutenzioni varie, automobili invecchiate precocemente cambiate ogni 4 anni, panini o trattorie (ancora soldi che escono!) laddove la mensa è solo una legge non applicata, colleghi indigeni non sempre comprensivi dei nostri disagi, e talvolta ostili.
Quante energie disperse, e quanto poco tempo, e onestamente poca voglia, di impegnarmi oltre l’indispensabile!
L’insegnamento mi appassiona, ma sono "stanco" e così mi sento "sprecato". Penso ad un altro lavoro (o allo stesso ma in condizioni diverse).
Ho voglia di fare!

Un insegnante in situazione di handicap

Come sono arrivato così vicino al mondo dei "diversamente abili"?…
Sono insegnante di Educazione Fisica dall’a.s. 83/84 e nel giugno 1999 sono stato nominato d’ufficio titolare della cattedra di Ed. Fisica, presso la Scuola Media Statale di… (distante 80 km da Cagliari). Ho quindi deciso di inoltrare la domanda di utilizzazione per il sostegno. A metà ottobre ho ricevuto la notizia, da un collega, di aver ottenuto tale incarico presso la Scuola Media Statale di… (distante circa 30 km da Cagliari).
La prima reazione è stata di incredulità, seguita da apprensione per il nuovo ruolo che avrei dovuto "interpretare". La seconda reazione "mi ha portato" al Provveditorato a consegnare "domanda di rinuncia" per l’utilizzazione. Le mie paure erano di lasciare una strada sicura (l’insegnamento della mia materia, il "mio" ruolo, i "miei ragazzi"), per una strada mai fatta prima, "piena di buche" (il rapporto 1:1 mi spaventava, il non sapere cosa insegnare mi rendeva insicuro, e poi… sarei stato accettato? sarei stato capace?). Ho però deciso di accettare (forse non avrei comunque potuto "rifiutare"), e lasciarmi alle spalle il mio passato di "bravo" (almeno così credo) insegnante di Ed. Fisica. Ho deciso cioè di cimentarmi in un lavoro completamente nuovo e diverso, un lavoro che tutto sommato mi incuriosiva.

La conoscenza di Smile

La prima impressione che ho avuto quando ho incontrato Smile è stata di sorpresa. Infatti, essendomi informato presso la segreteria della scuola, per via telefonica, sull’handicap dell’alunno, e avendo saputo che si trattava di ritardo mentale (non mi è stata specificata la gravità), immaginavo, per mia ignoranza, che a tale handicap facesse riscontro un "particolare" aspetto fisico.
Così non è! Smile è un ragazzino come tanti altri, non ha alcun aspetto particolare. È alto, longilineo, con gambe e braccia lunghe. I capelli sono castani, corti e un po’ a spazzola. Il viso è ovale, con grandi occhi verdi, e un sorriso "aperto", che di frequente gli illumina il volto. E quando sorride, anche gli occhi sorridono! Le mani, ben curate, hanno dita da pianista. È ordinato e pulito nel vestire.
Con Smile il feeling è stato immediato. È bastato un suo sorriso per farmi capire che il nuovo insegnante di sostegno (io!) era di suo gradimento!… E via, partiamo!

La classe

Nel "mio" ruolo di insegnante di Ed. Fisica, quando "entravo" in una classe nuova, mi bastavano pochi minuti per entrare in sintonia con gli alunni, anzi, pochi secondi. Ma in questo "nuovo" ruolo, i primi giorni, non tutti i ragazzi/e mi hanno manifestato simpatia e accettazione.
Alcuni li sentivo astiosi e "lontani". Ho provato dispiacere e sono stato assalito dai dubbi… Ma è durato poco! "Girando" tra i banchi, ho aiutato a risolvere un’equazione in matematica, ho suggerito un verbo in francese, ho spiegato come tenere le squadrette in tecnica, ho fatto un sorriso, ho dato ascolto a un problema… e sono riuscito a farmi accettare da tutti!
E l’ho capito quando mi hanno domandato: "…ma lei è l’insegnante di Smile o di tutta la classe?" … Che emozione! In quel momento ho pensato: "…ce la posso fare!".

I colleghi e i miei dubbi

Anche l’inserimento nel rapporto-lavoro con alcuni colleghi non è stato inizialmente semplice, fluido e lineare.
Mi spiego. Pur nella mia ignoranza del ruolo e della Legislazione che lo disciplina (D.P.R. 31 Ottobre 1975, n.970, art.9 – Circ. Min. n.199/79 – Legge 104/92, art.13, c.6, da Ianes/Celi Il Piano Educativo Individualizzato, Erickson, Trento, 1999), non sapendo cioè che l’insegnante di sostegno è anche insegnante contitolare della classe (e molti colleghi questo lo ignorano!…), istintivamente mi sono mosso all’interno della classe per dare un aiuto a chiunque ne avesse bisogno.
Questo mio atteggiamento ha però creato dei malumori in "certi" colleghi che, ho saputo indirettamente, si lamentavano del mio "invadere campi di non competenza".
Ancora adesso, malgrado l’equivoco sia stato chiarito, permangono talune situazioni non proprio "serene e produttive".
Oltre a ciò i miei dubbi: cosa insegnare? come insegnarlo?
Sempre rifacendomi al mio passato, come insegnante di Ed. Fisica ero in grado di rispondere a queste due domande. Certo, avevo dei dubbi (guai a non averne!), ma anche certezze. Adesso, invece, da dove partire? Mi sono documentato: ho letto il P.E.P., ho parlato con l’insegnante che mi apprestavo a sostituire, con i colleghi, con il tutore. Ma tutto questo parlare è diverso dalla pratica giornaliera del "fare".

La logica: se non c’è, è un problema!

L’apprendimento della logica è fondamentale per la formazione del "pensiero produttivo". I bambini apprendono la logica in maniera giocosa: chiedono sempre i "motivi d’uso" e i "perché" di cose e situazioni, e con il movimento-divertimento imparano a scoprire il mondo. Già dai primi anni si costituiscono sistemi di operazioni logiche, basati sugli oggetti, e sulle loro classi e relazioni. Tali sistemi, organizzati con manipolazioni "reali e immaginarie", sono strutture elementari di raggruppamenti che consentono di riunire o dividere (un insieme di oggetti) con l’azione, ma non ancora con il pensiero. In seguito, l’utilizzo di altri linguaggi (grafico, verbale), per comunicare agli altri le cose fatte, contribuisce a dare valore a un sistema di comunicazione globale. Il linguaggio modifica l’iniziale "intelligenza" derivata dalla pratica, aggiungendo una "intelligenza" determinata dal pensiero. Con il linguaggio il bambino evoca situazioni passate, superando lo spazio prossimo e il tempo presente (limiti della percezione).

Prime esperienze "pseudo-matematiche"

Il mondo della matematica (forme, dimensioni, distanze, ecc.) entra presto a far parte della vita del bambino (ma lui non lo sa!…).
" A pochi mesi è in grado di afferrare piccoli oggetti che gli vengono posti vicino.
" Gioca a spostare e far ruotare le palline colorate infilate in un perno-sostegno (gioco presente in molti seggioloni!)
" A due anni, dopo diversi tentativi, è in grado di costruire una torre con dei cubetti di diversa grandezza, o di riporli uno dentro l’altro (seriazione).
" Impara a conoscere contenitori che servono per scopi diversi, e che utilizzerà con più/meno attenzione: se cade la scatola con i pezzi del puzzle, li raccoglie e li rimette a posto (e per divertirsi la fa cadere apposta!); ma se fa cadere la tazza piena di latte…!
" Apprende le corrispondenze quando aiuta la mamma ad apparecchiare: un piatto per babbo, uno per mamma, uno per me (così il bicchiere, la forchetta, ecc.).
" Scopre le misurazioni quando lo portano ad acquistare un paio di scarpe o un vestito.
" Ritrova i numeri nelle fiabe e nelle filastrocche (3 porcellini, 7 nani, 30-40 la gallina canta). E poi dappertutto: nella targa dell’auto, nel numero civico dell’abitazione, nel numero di telefono (ma ancora non indicano per lui simboli matematici).
" Si appropria dello spazio (dapprima limitato e poi più ampio) man mano che comincia a spostarsi e esplorare.
" Relativamente alla forma, si accorge che una palla rimbalza e rotola, una scatola si ferma subito.
Quindi con l’attività-esplorazione-conoscenza basata sul movimento, il bambino metterà in relazione numeri e realtà. Alla base di tutto, ci sarà l’acquisizione del concetto di numero naturale. Alcuni bambini (purtroppo per loro!) imparano a contare senza conoscere il significato dei numeri. Non capiscono che il numero 3 significa 3 "di qualcosa". Il bambino che non capisce che numeri corrispondono a cose reali, avrà delle difficoltà ad affrontare addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni, divisioni. (Questa è proprio la situazione di Smile!…).

La famiglia

Smile ha 13 anni. È il più grande di tre fratelli. Gli altri sono Antonio (11 anni, prima media; Smile lo descrive così: "…non studia, non fa i compiti, prende molte note, dice tante parolacce anche in casa…"), e Daniele (4 anni, scuola materna).
Il papà Gino (49 anni) è disoccupato. Fino a un paio di anni fa aveva una ventina di pecore, che ha poi venduto. Ha la licenza elementare. La mamma Vincenzina (43 anni) è casalinga. Ha la licenza media.
Sin da piccolo, Smile è stato portato in campagna per aiutare a custodire e "guidare" le pecore. In famiglia parlano l’italiano con la mamma, ma solo il dialetto con il papà. Il paese dove risiede la famiglia dista 1 h di macchina dal paese dove Smile vive in affido familiare consensuale.

Scuola: i primi anni

Smile viene iscritto alla Scuola Materna all’età di 4 anni. Solo adesso imparerà a camminare. A 6 anni frequenta la Scuola Elementare di… . Emergono subito difficoltà negli apprendimenti. Fin dalla prima elementare ha fruito dell’attività di sostegno per un massimo di 2 h giornaliere. Dalla Diagnosi Funzionale e dalla scheda scolastica a.s. 92/93: "… ritardo oggettivo nello sviluppo cognitivo e motorio-pratico; manca di autonomia; deve esercitare l’attenzione e la volontà di applicarsi; il patrimonio linguistico è povero; scrive a fatica; non legge autonomamente parole nuove; compie facili classificazioni e seriazioni per somiglianza-diversità in ordine di forma, dimensione, colore degli oggetti…"
Ha ripetuto la seconda elementare.

La "nuova" famiglia di Smile

Quando frequenta la classe quarta, la mamma di Smile esterna a una delle maestre, la Sig.ra Clara, le difficoltà a seguirlo nel suo percorso di crescita e di sviluppo ("…il figlio Antonio mi porta via troppo tempo e troppe energie!").
La Sig.ra Clara, maestra di Smile e a lui affezionata, pendolare da un paese non troppo distante, propone la soluzione. Si offre di prendere Smile in affido familiare consensuale e di fargli da tutore, di crescerlo e educarlo in un clima sereno, caldo e rassicurante.
E così, a 11 anni, Smile si è trasferito: ha cambiato paese, scuola, compagni… e modi di vita! Vive con la "Zia" (la sig.ra Clara, che tra l’altro non è sposata) e altri "Zii" , in una grande casa al centro del paese. La nuova famiglia possiede terreni pecore e diversi trattori e macchine agricole (di cui Smile parla con piacere).

Diagnosi funzionale

Dall’ultima D.F. 02/04/98 A.S.L. N° … di … , Servizio di Neuropsichiatria Infantile: "È presente un ritardo dello sviluppo intellettivo con comportamenti pseudocaratteriali del tipo instabilità/inibizione. Tale condizione si figura come un vero e proprio handicap. Riteniamo che le abilità del ragazzo siano precarie fino a renderlo non idoneo alla frequenza dell’ ultimo anno di scuola elementare. È opportuno procedere con un intervento individualizzato, con insegnante di sostegno. Si consiglia un rapporto di 1:1".

Le nuove classi

Dal P.E.P. 21/04/98 per l’a.s. 98/99: "…l’inserimento di Smile nella nuova classe (quinta elementare, Circolo Didattico di …) è stato caratterizzato da discrete difficoltà, attribuibili in parte al gruppo-classe, e in parte a Smile per le sue difficoltà a comunicare verbalmente con un linguaggio adeguato e il possibile timore di raccontare o parlare dei propri fatti personali. Verso la fine dell’anno i rapporti con i compagni appaiono ottimali, sia nell’ambito scolastico che extrascolastico…".
È stato seguito dall’insegnante di sostegno per 1 h/giorno.
La sig.ra Clara non fa parte del corpo insegnanti della sua classe.
Gli insegnanti, malgrado il parere espresso dal Dottor …, coordinatore dell’equipe della A.S.L. N° …, circa "… la positività di un’eventuale non ammissione del bambino al grado superiore di istruzione… per la presenza di sensibili ritardi della maturazione…", propendono invece per la promozione di Smile, in ragione della evoluzione, seppur molto limitata, nelle aree autonomia, socio-affettiva e cognitiva.
Smile, insieme a tre compagni della quinta elementare, viene inserito in prima media (Scuola Media Statale …) in una classe di 18 alunni (10 femmine e 8 maschi). Tale classe si dimostrerà piuttosto "difficile": alcune situazioni familiari "sfavorevoli", socializzazione "a gruppetti", poca responsabilità nel comportamenti, autonomia quasi inesistente nel lavoro scolastico.
Il suo inserimento nella classe è lento e graduale, ma non si può ancora parlare di integrazione. Tra i compagni sono presenti Anna Giulia e Fabio (nipoti della sig.ra Clara,… suoi "cugini adottivi"), ai quali Smile è molto legato. Spesso si ritrovano insieme per svolgere compiti assegnati per casa.
Smile viene promosso alla classe seconda, che attualmente frequenta.
La classe, nel corrente a.s. 1999/2000, non ha mostrato significative variazioni in positivo, nonostante il lavoro sia spesso impostato sull’attività di gruppo e sull’aiuto reciproco, per motivare i ragazzi/e alla comprensione dell’altro e dei rispettivi bisogni, e al superamento della situazione apatica nelle attività, confusionaria nei comportamenti, e poco propensa alla solidarietà.
Per contro, il processo di integrazione di Smile appare avviato.

La nuova vita

Smile, con l’aiuto della nuova famiglia, sta "crescendo". È stimolato nei confronti della scuola e del doveri che essa comporta. A casa, seguito con premura, fa regolarmente i compiti. Ha acquisito coscienza dell’importanza della scuola, tanto che, quando torna dai suoi, rimprovera la mamma di non controllare "che il fratellino Antonio faccia i compiti".
Ha imparato l’importanza dell’igiene e della cura della persona (fa la doccia tutte le sere).
Smile è buono con tutti e da tutti benvoluto. È sereno negli atteggiamenti. Gli piace scherzare. È contento del suo lavoro di alunno ma è molto pigro. È attratto dall’attività con il computer (sta imparando i fondamenti). Gli piacciono particolarmente l’Ed. Fisica (lavora con gli altri e come gli altri: ha infatti "interessanti" capacità motorie) e l’Ed. Musicale (sta imparando a suonare il flauto e a cantare un brano intero). È entusiasta e orgoglioso di far parte della squadra di calcio che rappresenta la scuola ai Giochi Sportivi Studenteschi.
Ha partecipato alle partite in casa e in trasferta. Ha giocato anche da titolare. Ha provato l’emozione di calciare un rigore (su richiesta dei compagni di squadra)… sbagliandolo!
È iscritto in una società di basket: la sua squadra perde quasi sempre e lui se la prende "…perché i compagni non mi passano la palla!".
Non ha autonomia nel lavoro: solo se controllato e seguito svolge i compiti (sia a casa che a scuola). Quando è allegro ha una postura "aperta" (palestra, campo sportivo e in generale in situazioni piacevoli).
Quando invece (ad esempio in casa, nella "nuova" famiglia) gli dicono di fare i compiti o gli chiedono di svolgere una mansione (aiutare ad apparecchiare), le spalle tendono ad abbassarsi.
Il saltuario ritorno dal suoi è abbastanza desiderato ("…lo sa professore che domani vado a casa!"). Ma quando la sig.ra Clara lo va a riprendere, lo ritrova con una postura "chiusa": spalle abbassate, mani dietro la schiena, camminata strascicata.
"Senza carezze, non si cammina a petto in fuori! " (Eric Berne, A che gioco giochiamo, Bompiani, Milano, 1967, p.15). "Con "carezza" si indica generalmente l’intimo contatto fisico; nella pratica il contatto può assumere forme diverse. C’è chi accarezza il bambino, chi lo bacia, chi gli dà un buffetto o un pizzicotto. Tutti questi gesti hanno un corrispondente nella conversazione: basta sentir parlare una persona per capire come si comporta con i bambini. Per estensione, con la parola "carezza" si può indicare familiarmente ogni atto che implichi il riconoscimento della presenza di un’altra persona. La carezza perciò serve come unità fondamentale dell’azione sociale. Uno scambio di carezze costituisce una transazione, unità del rapporto sociale" (Eric Berne ibidem, p.16).

Io e Smile

Immagino sia a causa della sopraccitata situazione, che ai primi colloqui la Zia ha usato queste parole: "Finalmente la conosco, prof. Boero; Smile parla sempre di lei… Aveva proprio bisogno, come riferimento, di una figura maschile!…".
E in effetti devo dire che Smile si è affezionato a me piuttosto in fretta, dimostrando con gesti di contatto corporeo (per esempio appoggiando la sua testa sulla mia spalla) la ricerca di relazioni-affettive e di sicurezza. A questo punto sono intervenuto: "Hai mai visto uno del tuoi compagni appoggiarmi la testa sulle spalle?", spiegandogli che è normale che tra insegnanti e alunni s’instauri un rapporto anche affettivo, ma che "…certi gesti non si possono fare!".
"Il bisogno di sicurezza, per particolari problematiche patologiche irrisolte, si riattualizzano nel rapporto con l’insegnante… è importante porvi attenzione per non mortificare ulteriormente i criteri di relazionalità, convivenza e felicità, che sono alla base del processo educativo" (Moretti, La farfalla insegna, Armando Editore, Roma, 1996, p.22).
Inoltre, dopo pochi giorni, abbiamo notato con i colleghi che Smile lavorava solo in mia presenza. Così abbiamo preso immediatamente le contromisure, per "creare un "ambiente attendibile" in grado di favorire lo sviluppo dei potenziali di autonomia del bambino. Un ambiente che sa adattarsi ai suoi bisogni e sa sostenerlo, senza sostituirsi a lui. Un ambiente che sa porre del "sostegni", ma sa anche ritirarli quando questi sostegni divengono impedimento alla crescita autonoma del bambino>> (Winnicot, Potenziali individuali di apprendimento, La Nuova Italia, Firenze, 1996, p. 51).
In accordo con i colleghi, non sempre sto seduto nel banco con Smile, e mi affianco, a rotazione, a tutti i compagni.
Smile, inizialmente "un po’ geloso", non ha accettato questo mio stare anche con gli altri, ma gli ho spiegato, e ha capito, che io non sono semplicemente il suo insegnante-angelo custode, ma lo sono di tutta la classe, perché anche i compagni hanno necessità di essere aiutati, stimolati, incoraggiati, capiti, "confessati"!

Tutti in palestra… facciamo matematica!

Smile ha una "interessante" intelligenza motoria. Nelle attività in palestra è uno dei tanti, e lui e gli altri lo percepiscono. Le sue capacità, anche in riferimento a quelle del compagni, lo rendono più sereno e sicuro. Ha una gran voglia di fare, è particolarmente attento alle proposte di lavoro, e accetta maggiormente i consigli.
Mi sembra ovvio approfittare di questa favorevole situazione, per tentare di sbloccare la sua mente così "poco logica".
Un’intera categoria di parole, nelle lezioni di Ed. Fisica, viene comunemente usata per descrivere i movimenti-situazione.
" Questo salto è più lungo di quello (misura)
" L’arrivo è in fondo al cortile (posizione)
" Palleggia la palla intorno al canestro (direzione)
" Non partite prima degli altri (tempo)
" Questo pallone è più leggero (peso)
" Stai più vicino alla porta (distanza)
" Ci sono meno palloni in quel campo (quantità)

Le attività per il concetto di relazione insegnano quindi a capire e usare termini:
" di direzione nello spazio: sopra-sotto, in su-in giù, dentro-fuori, a destra-a sinistra, avanti-dietro, ecc.
" di misura: grande-piccolo, il più grande-il più piccolo, basso-alto, lungo-corto, largo-stretto, ecc.
" di forma: cerchio, tondo, quadrato, cubo, rettangolare, triangolare, cilindro, ecc.
" di posizione: nel mezzo, sul fondo, in cima, di fronte, ecc.
" di tempo: prima-dopo, contemporaneamente, adesso, tra poco, veloce-lento, il più veloce-il più lento, ecc.

Queste parole descrivono rapporti e relazioni, compresi dal bambino solo se conosce già i concetti che essi esprimono, avendoli imparati con esperimenti di gioco concreti.
Ad esempio, mettere in ordine i compagni dal più basso al più alto, o i palloni dal più leggero al più pesante, o eseguire esercizi con ritmi diversi, sono attività che portano a stabilire termini di paragone in un gruppo di persone, di oggetti, di movimenti.

La classe è coinvolta!

"Ragazzi, il lavoro che faremo oggi in palestra (esercizi, giochi, staffette – vedi schede allegate), ha a che fare con la matematica. Se state bene attenti durante l’esercitazione, vi renderete conto di quante volte usiamo i numeri, facciamo addizioni, sottrazioni e altre operazioni, ad esempio per fare le squadre o per tenere i punteggi. È una lezione che può servire per sviluppare le abilità matematiche, per migliorare le capacità di calcolo e/o "rinfrescare" conoscenze gia acquisite. Facciamo l’appello: siete tutti presenti, sì? Bene! Possiamo andare…".
All’ingresso della palestra:
Prof. "Smile, conta i tuoi compagni man mano che entrano in palestra, e voi quindi sistematevi come sempre, sulla linea di fondo del campo di pallavolo. Smile, allora quanti sono?".
Smile "Diciassette".
P "E tu ti sei contato? Ora aggiungi te stesso".
S "Diciotto" (contando con le dita).

Conclusioni

Ora con i colleghi c’è (un po’) più coesione, serenità e chiarezza. Si lavora meglio e i vantaggi sono anche per la classe. Le attività di gruppo proposte hanno dato qualche risultato positivo. Sono migliorati sia i rapporti interpersonali (c’è più rispetto e attenzione nei confronti di tutti), sia le acquisizioni di contenuti.
E Smile, con le sue difficoltà, ma con una grande voglia di esserci, è cresciuto con loro. È vero, non ci sono stati miracoli negli apprendimenti disciplinari, ma frammenti di luce e qualche lampo. È però diventato più autonomo, sicuro, e partecipe alla vita della classe e della scuola. E non è poco!
"L’integrazione non avviene se un bambino handicappato impara con fatica a fare qualcosa da solo; ma avviene se entra in un rapporto di scambio e di collaborazione e impara: "a chi chiedere", "cosa chiedere" e "come chiedere"" (Canevaro, Handicap e scuola – Manuale per l’integrazione Scolastica, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1983, p.17).
Io voglio giocare. Come insegnante di sostegno, solo i fatti potranno dimostrare se sarò in grado di "giocare" in questo ruolo, tanto interessante quanto difficile e impegnativo. Sfidare se stessi, e sfidare la realtà delle situazioni.
E come dice Claudio Imprudente: "Le sfide rendono la vita più avvincente!".

BIBLIOGRAFIA

Le Boulch, Lo sviluppo psicomotorio dalla nascita a 6 anni, Editore Armando, Roma, 1984
Coste, La psicomotricità, La Nuova Italia, Firenze, 1981
Ianes/Celi, Il Piano educativo individualizzato, Erickson, Trento, 1999
Berlini/Canevaro, Potenziali individuali di apprendimento, La Nuova Italia, Firenze, 1996
Canevaro, Handicap e scuola-Manuale per l’integrazione scolastica, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1983
Piazza, L’insegnante di sostegno, Erickson, Trento, 1996
Andreoli/Cassano/Rossi, Mini DSM – IV Criteri diagnostici, Masson, Milano, 1999
Gori, II corpo logico-matematico, Società Stampa Sportiva, Roma, 1984
Williams/Ianes, Matematica pratica per l’handicappato, Erickson, Trento, 1991
Schminke, Recupero e sostegno in matematica, Erickson, Trento, 1988
Techel/Pendezzini, La farfalla insegna, Editore Armando, Roma, 1996
AA.VV, Risorsa Handicap: l’Integrazione nella Scuola dell’Autonomia.
"Progettare con le Famiglie", Atti del Convegno, Cagliari, Marzo ’99
Bin/Balsano, Principi di teoria metodologica, Società Stampa Sportiva, Roma, 1981
Enrile/Invernici, Gli aspetti del movimento in Ed. Fisica – 2° Volume, Società Stampa Sportiva, Roma, 1980