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autore: Autore: Ilaria Lenzi

Immigrazione. La responsabilità giornalistica in un tema sociale

Come viene presentato sui quotidiani locali di Bologna il tema dell’immigrazione? Intervista al giornalista Luigi Spezia, da cui emerge come sia difficile fare una buona informazione sui temi sociali e come la mentalità giornalistica sia dura da scalfire.

Domanda. Signor Spezia nello svolgere questa ricerca ho osservato parecchio i giornali, su La Repubblica sostanzialmente di immigrazione scrive solo lei. Perché si decide di scrivere di immigrazione?
Risposta. Ho cominciato a scrivere di immigrazione cinque o sei anni fa, ho cominciato io, perché questo diventava un problema cittadino. In primo luogo per l’immigrazione come fenomeno che riguardava la città, poi perché l’immigrazione clandestina portava con sé la criminalità, in terzo luogo perché la criminalità diventava un problema di sicurezza per la città.

D. Ma questo legame con la sicurezza? È un argomento fortemente all’ordine del giorno. E allora come la vive questa correlazione fra immigrazione e sicurezza? 1l Carlino ha impostato questo legame in modo molto forte. C’è un’influenza di "Riprendiamoci Bologna" (La campagna portata avanti sul tema dal Carlino. n.d..r.) sul vostro lavoro? Questo legame è stato creato dai media o è automatico, naturale?
R. Guardi, i primi articoli che sono usciti a Bologna sul degrado e la sicurezza legati all’immigrazione li ho scritti io. Fecero incazzare moltissimo una serie di persone di sinistra, pseudo intellettuali, che videro in quell’articolo un attacco
a una linea della sinistra che era quella di non criminalizzare alcune fasce sociali e soprattutto quello di non esagerare alcune tendenze. E’ anche vero che il problema allora era agli esordi e poi è diventato il problema politico della città, questo del rapporto con la sicurezza, poi quello che ci sta dietro… Non è stato creato dai giornali, il problema della sicurezza, poi è stato strumentalizzato…credo che il Carlino l’abbia usato a fini elettorali. Il problema della sicurezza non è tutto creato dagli immigrati, per niente. Al cittadino dà più fastidio il drogato che l’immigrato, l’immigrato spaccia, non dà fastidio alla vecchietta, a chi possa essere derubato o scippato. Chi ruba o chi scippa è più il tossicodipendente, non lo spacciatore. Qui si è molto glissato. Come si è glissato sul fatto che ci sono gli extracomunitari che spacciano, ma c’è una domanda di droga che è dei bolognesi. Su questo il Carlino ha glissato molto.

D. Ma questo succede anche su Repubblica. Leggevo un suo articolo sulla sicurezza. Gli immigrati erano nominati undici volte in dieci righe, anche se si parlava di tutt’altro (degli atti vandalici dell’ultimo dell’anno)…
R. Infatti bisogna precisare. Non si deve parlare di extracomunitari, ma di clandestini. La parola clandestino non può essere applicata agli italiani, no? Se non si vuole parlare di stranieri, ma si vuole usare un termine che non criminalizzi tutta la categoria, bisogna parlare di clandestini. Perché sono quello il problema, i clandestini. Quindi secondo me c’è anche un errore culturale nostro, ci hanno anche chiesto alcune associazioni di non usare più la parola extracomunitari, comunque, si continua a usarlo in generale, spesso anche come sineddoche, la parte per il tutto, se c’è una parte degli extracomunitari che delinque, si usa il termine generale… Questo è un grosso errore. Però, cinque o sei anni fa, io scrivevo del fatto che erano i tunisini a conquistare la piazza dello spaccio della droga, mi telefonavano tanti stranieri dicendo che ero un razzista. Io invece rivendicavo il diritto di scrivere tunisini, perché altrimenti non si sarebbe capito qual era il fenomeno. Perché una cosa è che spaccino degli italiani, una cosa è che spaccino gli stranieri. Cambia la dinamica sociale. Se invece si vuole generalizzare, se si vuole puntare non sul fatto, ma sull’argomento, probabilmente lì c’è una generalizzazione che è sbagliata. C’è poi anche un altro discorso, quello degli effetti: se anche solo scrivere che sono tunisini basta per creare una categoria più generale, quindi per tutta la città per creare uno stato d’animo negativo nei confronti degli stranieri. Però questo è uno degli effetti indesiderabili della comunicazione. Non si può evitare, purtroppo. È un effetto collaterale, ma non voluto. Ma non lo scrivo io. Questo è un processo che fa la gente. E’ vero che sapendolo dovresti evitarlo, tamponarlo. Ma non c’è modo di farlo. Ogni volta che scrivi un pezzo di cronaca, cosa devi fare? Scrivere: "Sono stati arrestati tre tunisini per spaccio di droga. Punto. Ma altri trecento lavorano nelle fabbriche". Non lo puoi scrivere, se no il caporedattore poi taglia. Se scrivo che un bolognese è un assassino, devo scrivere che tutto il resto della popolazione non lo è?

D. Quanto conta il problema immigrazione nell’economia del giornale? In certi periodi abbiamo notizie di cronaca di questo tipo ogni giorno, in altri nessuna… Perché succede questo? E’ un problema di notiziabilità, di priorità di altre notizie che portano a eliminare questi argomenti relativamente "all’ordine del giorno" in alcuni periodi, o c’è un qualche altro meccanismo?
R. Non lo so. Ci sono tre incidenti aerei in un mese, forse non si scrivono tre articoli, se ne scrivono trenta. Ma questo non ti fa dire che c’è un atteggiamento razzistico dei giornali nei confronti degli incidenti aerei. Quando si parla di extracomunitari si parte da un pregiudizio opposto a quello comune. Che comunque bisogna tenersi più indietro del normale. Meglio un articolo in meno che in più. Non capisco perché. Questo ci viene fatto notare dalle associazioni, dal Console del Marocco, ad esempio. Alcune associazioni, di sinistra, mi dicono che non bisogna calcare la mano. Una domanda come la tua mi fa pensare che ci sia un pregiudizio di questo tipo. Ci vuole un atteggiamento un po’ più laico. Ogni articolo danneggia qualcuno. Allora non facciamo più i giornali.

D. No, non era un discorso di accusa. Era proprio un’osservazione empirica. A dicembre si trovano ventiquattro articoli che parlano d’immigrazione. A novembre ce n’erano quattro. Uno si chiede come mai differenze di questo tipo.
R. Ma perché tu lo noti. Se non si parla di omicidi per un mese, tu ti chiedi "Be’, non ci sono più assassini"? No, evidentemente.

D. Solo che ci sono cose che fanno flettere. Su Repubblica del 24 dicembre compare un’intervista a Mottura, ex presidente dell’ISI (Istituzione dei servizi per l’immigrazione del Comune di Bologna, chiusa dal 5 novembre 1999 per
ordinanza dell’assessorato alle politiche sociali n.d.r.), il quale afferma: "Politici e giornalisti sono tutti convinti che a parlare di immigrazione si perdano voti". Si fa un breve controllo e si vede che effettivamente nelle due settimane che precedono le elezioni del Collegio 12 scompaiono articoli sull’immigrazione sia dalla Repubblica che dal Carlino. Stesso fenomeno, più prolungato, nel mese che precede l’elezione del sindaco. Allora viene naturale chiederle se secondo lei c’è una correlazione.
R. No, è totalmente casuale. Mottura si sbaglia. Anzi, certi problemi vengono acuiti sotto le elezioni. Vedi la sicurezza per il Carlino. La campagna elettorale di Guazzaloca e del Carlino è stata tutta incentrata sulla sicurezza, in cui gli immigrati facevano una parte da leone. Poi, dopo le elezioni, di immigrati non si parla più, o si parla in modo diverso. Lì sì allora che c’erano delle strumentalizzazioni .

D. Dal vostro lato, come lo vivete il rapporto con strumentalizzazioni possibili? Mi spiego: lei afferma che il Carlino ha strumentalizzato un problema. Voi avete sentito un’esigenza di riequilibrare una situazione, di fare un tipo di comunicazione diversa? Lo "schieramento" di Repubblica e del Carlino come giornali di sinistra e di destra è molto sentita, si è vista, in tutti gli schieramenti elettorali; allora avete un bisogno di dare un’informazione diversa?
R. Sì, questo sì. Però il problema degli extracomunitari il Carlino può averlo esagerato, non inventato. Di degrado per primo ho parlato io, mentre la sinistra non vedeva la realtà così. Adesso tutto è al contrario. Si deve parlare di queste cose, perché è il problema della città, la gente vuole saperne di più, se no compra il Carlino. Noi siamo più equilibrati. Però se il Carlino tutti i giorni pubblica una foto del marocchino che spaccia, noi non possiamo pubblicarne una del marocchino che lavora in fabbrica. Sarebbe una scelta ideologica.

D. E le fonti? Molto spesso vengono interpellate le questure, la polizia, è difficile raggiungere loro, i diretti interessati?
R. No, spesso è molto facile. Anche per capire quali sono i problemi, anche da un punto di vista sociale. Non ci sono problemi a parlare con gli extracomunitari, è più facile che con tanti altri argomenti di cronaca nera. Se c’è uno sgombero, te lo dicono loro. Hanno interesse al fatto che tu sia lì.

D. Va bene, io sono soddisfatta. Il mio tema è questo: vedere come la copertura giornalistica dell’immigrazione operi, in un contesto non così polarizzato, con poi non così tante differenze fra testate, visto che la città è la stessa e il pubblico spesso è comune.
R. Infatti, guarda io spesso parlo con colleghi del Carlino e dico: "Ah, voi avete fatto questa cosa, secondo me perché…" No, spesso è totalmente casuale. Chi fa il critico dei giornali vede delle linee chiare che spesso non ci sono… dipende dai giorni… come un critico letterario, no? Vede delle cose che l’autore non aveva visto. Non bisogna pensare a delle logiche troppo deterministiche. È chiaro che poi quando un giornale tutti i giorni mette in testata un logo, che è Riprendiamoci la città, uno scopo c’è, questo è chiaro.

D. Perché parlando di una serie di cose si avverte l’idea che ci si aspetti dalle due testate una grande differenza di toni.
R. Non è vero. A volte noi parliamo di degrado, il Carlino no.

D. E lei avverte delle aspettative da parte del pubblico?
R. Sì, mi capita spesso che un pubblico qualificato, istituzionale, dica: "Noi ci aspettavamo che scriveste questo, invece non l’avete scritto". C’è una certa aspettativa, quasi una linea. Un mese fa successe che morì un extracomunitario in un casolare, di asma. Il Carlino scrisse che era morto di freddo, che non è proprio esatto. Il freddo era una concausa, un modo indiretto. Comunque il Carlino scrisse questo, in cinque
righe, e che ce n’era stato un altro. Noi non lo scrivemmo: perché è vero, era la morte di persone dimenticate, abbandonate, ma non erano morte di freddo. Per il primo morto il Carlino fece un’apertura di pagina, noi soltanto una breve. Per il secondo noi
aprimmo, loro scrissero solo queste cinque righe. Quella persona che ti dicevo si stupì: pensava, giustamente, e qui abbiamo dormito, che il giorno dopo noi facessimo un attacco alle Istituzioni, aprissimo una discussione sul fatto che due persone erano morte in strada. E invece noi non l’abbiamo fatto. Il Carlino sì. Comunque, oltre al pubblico, io introduco un terzo criterio: esiste una valutazione politica, esiste
una valutazione del pubblico, ma c’è anche la considerazione tecnica della notizia. La notizia va data, non si può nascondere, se è molto antipatica si può ridurre, ma il criterio prevalente è la scelta della notizia. Il giornale non è al servizio di nessuno. Ho aperto io la notizia dell’inchiesta sui campi profughi del Comune, che coinvolgeva l’assessore Golfarelli (ex assessore alle Politiche sociali della vecchia giunta di sinistra). Come giornale di sinistra, non dovevo farlo?