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autore: Autore: Marco Espa

Pensare positivo

L’A.B.C.(Associazione Bambini Cerebrolesi) è una giovane associazione impegnata a sottolineare l’importanza della famiglia nel processo di riabilitazione. Proviamo a risillabare l’alfabeto dei servizi con l’aiuto del presidente dell’A.B.C.Quando nel novembre 1996 abbiamo organizzato a Cagliari il convegno “Come la famiglia, così la società” ciò nasceva da due motivazioni principali. Molti di noi erano stufi di sentire in ambienti medici, non tutti chiaramente, per fortuna, la parola cerebrolesione immancabilmente associata al concetto di non intelligenza. Certo, noi avevamo imparato ad immedesimarci nei nostri gioielli, ed a capire che se una lesione cerebrale ti può impedire l’uso del braccio, alla stessa maniera ti può impedire di parlare, oppure di controllare lo sguardo o la convergenza oculare o sorridere o tutte queste cose insieme. Per noi era ovvio che i nostri bambini certamente volevano, ma non potevano; ultimamente, comunque possiamo dire che anche le neuroscienze stanno ottenendo dei risultati che sembrano confermare questa nostra intuizione di genitori. Mettere in chiaro questo fatto per tanti di noi era molto importante: ma il motivo vero, quello che ci sembrava il più importante per cui valeva la pena fare quel convegno, è che avevamo pensato fosse venuto il momento di portare a vita pubblica l’esperienza della vita dura e meravigliosa che conduciamo con i nostri bambini. Più guardavamo alla società che ci circonda, più era chiaro che non eravamo oggetti di passiva assistenza, ma che avevamo maturato nella nostra vita quotidiana una coscienza sociale propositiva. A qualcuno sembrerà paradossale. Cosa poteva dare alla società, come poteva una famiglia duramente colpita, pensare positivo.

Famiglia: luogo della fiducia…

Noi crediamo che la famiglia non sia un luogo idilliaco, questo lo lasciamo dire a qualche creativo pubblicitario che pensa così di poter vendere più detersivi o merendine. A volte però ci ha un po’ sconcertato ed amareggiato il fatto che alcuni professionisti del settore sociale, e anche di altri settori, sempre in buona fede, dipingevano davanti ai nostri occhi scenari apocalittici per una famiglia alle prese con una difficoltà. Quante volte ci è stato detto: “..non pensate ai vostri bambini cerebrolesi, pensate al lavoro, alla carriera, state attenti, non lasciatevi coinvolgere troppo perché poi la famiglia si sfascia, affidateli a noi, ci pensiamo noi!”. Sentivamo l’esigenza di agire anzi di reagire, ma come? Non certo con attacchi personali a quello o a quell’altro professionista, che con parole ben scelte provava a smorzare la nostra fiducia nei nostri bambini, o a quell’istituzione che continuava a ripetere che il loro destino era solo nell’internamento, dovevamo combattere e provocare. Così come i nostri bambini ci avevano insegnato, con la forza di chi non ha niente da difendere, combattere contro l’indifferentismo reciproco ed il cinismo. Provocare mostrando l’esperienza della nostra vita. Se è vero che nella famiglia si manifestano le più dure piaghe sociali e personali, è anche vero che, a differenza di altre istituzioni, la famiglia se sostenuta ha risorse proprie per affrontare queste difficoltà, creare soluzioni che non di rado possono costituire un esempio anche per altre forme di aggregazione sociale, su ogni scala dalla più semplice a quella più complessa. L’amore gratuito si esprime in molti modi all’interno di una famiglia, in particolare colpisce la capacità del nucleo familiare di adattarsi alle necessità anche di uno solo dei suoi membri. Come genitori, fratelli, amici, volontari, abbiamo gli argomenti per mostrare che la presenza di un bambino cerebroleso, non solo non rende infelice l’esistenza, ma può fornire numerosissimi stimoli per un arricchimento umano, morale e sociale. L’aver capito infatti, grazie alla realtà che viviamo ogni giorno, qual è il nostro ruolo naturale, ci permette di rafforzare il nostro legame d’amore fondamentale, sia all’interno della famiglia, sia nella comunità che ci circonda, creando una vera e propria cultura del dare.

…e di servizio

Uno dei principali problemi con i quali ci scontriamo spesso, deriva dalla mancata integrazione tra questo modello, questa esperienza e le politiche e gli interventi sociosanitari. Il sistema sanitario nazionale tende infatti ad escludere la famiglia dal progetto e dallo sviluppo del programma di riabilitazione del proprio bambino. Per questo pensiamo che la pubblica amministrazione debba sostenere la famiglia come nucleo centrale del processo di cura, indirizzando le proprie competenze, mediche terapeutiche, organizzative e sociali, a sostegno di questo progetto. Non si dovrebbe mai colpevolizzare la famiglia, anche quella più in difficoltà, ma piuttosto, sostenerla. Riconoscere la famiglia quale ambiente naturale per la vita di qualunque bambino, e riconoscere il ruolo fondamentale del volontariato. In questo senso va perseguita una distribuzione sul territorio di strutture e di servizi il più capillare possibile, per rendere, soprattutto al disabile grave, un servizio a misura del singolo, un servizio umanizzato, che comprenda anche la scuola. Contemporaneamente occorre disincentivare la creazione di strutture e di servizi “mangia soldi”, quelli che non chiamiamo con espressione un po’ forte, “Istituti Lager”. Così come il ricovero contemporaneo di centinaia di persone con costi inutili e sprechi e favorire invece la creazione di case famiglia con pochi componenti, unica alternativa valida alla famiglia nel caso in cui questa manchi, o quando le persone raggiungono la propria autonomia e possono liberamente scegliere. Ma soprattutto vorremmo che presso l’opinione pubblica si creasse la consapevolezza che anche il disabile grave è un patrimonio attivo della collettività, e che non si misura la dignità e la felicita dell’uomo con parametri produttivi o aziendali. Abbiamo a cuore il futuro dei nostri bambini, la loro dignità, così come quella di tutti i disabili soprattutto di quelli gravissimi, sia come individui che come soggetti sociali, non possiamo non assumerci in prima persona, la responsabilità di creare loro un futuro migliore, ed un ambiente favorevole al loro sviluppo ed alla loro integrazione, anche attraverso la proposta di nuove politiche sociali e sanitarie. Vorrei ringraziare chi in questi anni ha fatto un pezzo di strada con noi, ma più di tutti la nostra riconoscenza va ai bambini dei quali siamo orgogliosi di essere genitori, per aver cambiato la nostra vita. In meglio.

Tutti al mare! La persona disabile non è un Fardello

Vi racconto un’esperienza delle nostre famiglie organizzate: circa 6 anni fa abbiamo chiamato le forze dell’ordine perché i responsabili di una scuola in Sardegna hanno fisicamente

 

impedito l’ingresso nella sua aula ad una nostra, splendida, intelligente bambina cerebrolesa. Una violenza all’infanzia senza precedenti, un dramma per la famiglia e per la nostra associazione simile a quando la vita di un nostro bambino se ne va. Non voglio soffermarmi sugli incredibili e risibili motivi che hanno portato la Scuola a non volerla goffamente ammettere in classe; ma due cose voglio evidenziare.
La prima è che il dramma nella vita con i nostri bambini non risiede in essi. Loro sono la nostra felicità, i figli prediletti che creano in noi e negli ambienti che li circondano la vita, la solidarietà, la partecipazione, una vera risorsa per tutti. Il dramma sta nelle persone e negli uomini delle istituzioni che vedono i nostri figli chiusi in qualche lager, magari dorato, così non disturbano troppo e non rendono infelici le loro famiglie e i loro compagnetti di classe, poverini…
La seconda è che questo episodio ha sicuramente rafforzato in noi un’esigenza di impegno sociale istituzionale, qualcosa doveva cambiare. Ci sembrava, dunque, che non potessimo essere, di fronte a questa difficoltà e alle mille che tutti i giorni ci capitavano, spettatori passivi, ma che avessimo maturato nella nostra vita quotidiana una coscienza sociale propositiva e che quindi fosse arrivato il momento di portare a vita pubblica l’esperienza della vita dura e meravigliosa che conduciamo con i nostri bambini, perché diventasse un’occasione di crescita della politica, della bella politica.

 

Combattere un’immagine truce dell’handicap
La nostra vita non è certo tutta rose e fiori, sarebbe un grave errore rimuovere le sofferenze e la difficoltà che vivono un disabile e la sua famiglia. Ma abbiamo voluto pescare da questo vissuto, dove le difficoltà molto spesso sono trampolino di lancio per nuove conquiste; una vita fatta anche di grandi gioie personali e collettive, di divertimento, di persone che ci dicono che non dimenticheranno più l’atmosfera di gioia che hanno respirato nello stare con i nostri figli, educando ed educandoci all’accettazione di sé e dell’altro diverso da me, senza darsi risposte preconfezionate ma credendo nella verità del rapporto.
Un immagine reale dell’handicap, meno sanitaria, meno seriosa, più leggera, più serena. Affiancare le battaglie per i diritti con la bellezza del comunicare e dello stare insieme. Questa realtà positiva culturale, una nuova cultura sull’handicap, ha tra l’altro contribuito al risanamento della finanza pubblica e alla definizione di un modo nuovo di legiferare per la razionalizzazione dello stato sociale. Recentemente sono stato invitato ad una conferenza dove si discuteva del dopo di noi, e cioè di cosa faranno i nostri familiari disabili quando noi non ci saremo più. Molti interventi da parte di vari esperti sono stati interessanti, ma il più bello di tutti è stato quello dell’Assessore ai Servizi Sociali di una città della nostra regione capoluogo di provincia.
Una persona molto delicata su queste tematiche, molto gentile, sicuramente un bravo professionista che fa del suo massimo per venire incontro alle esigenze delle persone più sfortunate di noi, così diceva. Ma la perla del suo intervento è stata quando ha spiegato che il suo comune aveva deciso di fare un investimento di centinaia di milioni comprando un istituto al mare dove ospitare tutti gli handicappati per fare una vacanza, cosi che anche i genitoe][/COLOR][/SIZE][/FONT]
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[FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue]???? ????? !!!! :motz05: [/COLuando si collabora con le istituzioni, quando si discute anche animatamente ma senza che la politica si rinchiuda dietro la rigidità dell’istituzione, vi posso garantire l’entusiasmo e la gioia delle famiglie per poter far emergere il progetto di vita del proprio figlio. Sono sogni? Non credo. Progettare con la famiglia significa per gli assistenti sociali di un Comune o per un Assessore diventare professionisti più competenti e capaci, e secondo noi anche con maggiori soddisfazioni professionali. Il nostro più importante successo politico è stata l’applicazione della legge 162 in Sardegna, fortemente voluta dalle famiglie. La nostra esperienza con la Legge 162/98 è un forte esempio di politica sociale realmente a sostegno della famiglia, in cui quest’ultima è protagonista attiva e non puro soggetto fruitore di un servizio. In particolare abbiamo ottenuto il controllo delle modalità di realizzazione di piani personalizzati, con la possibilità di gestirli in forma indiretta, con la verifica delle prestazioni erogate e della loro efficacia da parte di – e in collaborazione con – l’Ente locale. Il grande vantaggio è che si conferisce qualità al servizio stesso, perché esso realmente riesce a soddisfare i bisogni e le esigenze della persona in situazione di handicap e della famiglia.
Il servizio viene valutato dai diretti interessati (cioè noi) e dagli operatori dei servizi: questo meccanismo si sta rivelando, come era previsto, un metodo di promozione della qualità del servizio stesso. Il gradimento manifestato da tutte le famiglie che hanno fin ora usufruito del servizio (testimoniato dalla crescente presentazione delle domande negli anni: si è passati da 123 nel 2000, a 688 nel 2001, sino ai circa 1650 del 2002!) riguarda non solo i destinatari e le famiglie, ma anche gli operatori coinvolti, che svolgono il loro lavoro in collaborazione con le famiglie, sperimentano soluzioni nuove, applicazioni creative, mettono in campo tutta la propria competenza, dell’essere e del saper fare, ottenendo notevole gratificazione e crescita professionale. L’esperienza della 162/98 in Sardegna è un esempio vincente di come la famiglia, protagonista del proprio percorso formativo, ricca di tutto il bagaglio di esperienza di vita vissuta, di tutto l’investimento emotivo e della lungimiranza nella cura del progetto di vita del proprio figlio, possa essere risorsa della collettività (della società), perché è riuscita a creare intorno a sé (direttamente nel proprio territorio di appartenenza) una rete efficiente di sostegno e di servizio sociale di qualità, colloquiando direttamente con gli attori dei servizi stessi: servizi sociali, Enti locali, cooperative, associazioni. Insomma un trionfo della Politica, fatta da un soggetto debole, ma che ha alzato la testa: aumentare la qualità di vita per una persona considerata in difficoltà significa aumentare la qualità di vita per tutta la comunità sociale.

(*) Vice presidente nazionale A.B.C. (Associazione bambini cerebrolesi) e Presidente dell’A.B.C. Sardegna www.abcsardegna.org www.associazioneabc.it