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autore: Autore: Paola Fantato

La linea di tiro

Qual è stato il tuo miglior risultato sportivo finora conseguito?
Sicuramente la mia partecipazione alle Olimpiadi di Atlanta con la nazionale "maggiore", chiamiamola così. Come risultato tecnico ci sono le medaglie paraolimpiche, Seul, a Barcellona l’oro, Atlanta l’oro, Sidney due medaglie d’oro, con la nazionale maggiore ho vinto i campionati europei a squadre…insomma qualcosa ho fatto.

Perché hai scelto il tiro con l’arco?
L’ho conosciuto per caso, nel senso che io prima facevo nuoto in piscina, poi qualcuno mi ha proposto di provare ad esercitare questo sport e quando ho provato mi è piaciuto e da lì è iniziata.

Ti sei sottoposta ad allenamenti duri?
Beh, sicuramente se si vogliono ottenere dei risultati bisogna impegnarsi negli allenamenti, poi a seconda del periodo e degli appuntamenti gli allenamenti sono più o meno intensi. Adesso incomincia la stagione all’aperto e ci si allena anche quotidianamente. Anche perché poi a fine luglio-primi di agosto ci sono i mondiali.

Quali sono le doti necessarie nel tuo sport?
Non so, penso che ci sia una componente naturale, una predisposizione naturale. Poi bisogna amare gli sport individuali, e bisogna avere molta pazienza, non avere la fretta di arrivare, e la disponibilità ad affrontare un’attività che t’impegna psicologicamente molto, perché sì, è chiaro che ci vuole la tecnica, il materiale e tutto quanto, però la componente psicologica è sicuramente fondamentale e forse è la fetta più grossa di questa torta.

Come ottieni la concentrazione adatta? Hai delle tecniche particolari?
Sì, anche questa è una cosa molto soggettiva. Quando facevo parte della squadra regionale Fitarco, quella normale, ho cominciato a frequentare delle sedute da uno psicologo che poi ho continuato anche in Nazionale, e sicuramente questo mi ha aiutato tantissimo. Sono cose che s’imparano, che s’imparano a riconoscere più che altro, e a memorizzare. All’inizio ci impieghi un po’ più di tempo poi adesso è un attimo. E’ soggettiva, ognuno ha bisogno di alcune cose che non sono uguali per tutti.

Hai letto "Lo zen e il tiro con l’arco"?
Ho provato a leggerlo ma l’ho chiuso dopo tre pagine. Non è la mia filosofia e neanche la mia cultura, molto più pratica, molto più pagana (ride) di quella lì.

Qual è il tuo rapporto con gli atleti concorrenti? Come ti poni rispetto all’agonismo?
È un avversario, è un’avversaria in questo caso. Non è una rivalità negativa, è una rivalità positiva: una volta usciti dalla linea di tiro si è amici, sia prima sia dopo la gara. Durante la gara c’è un agonismo, c’è rivalità sportiva che però poi viene accentrata sulla propria prestazione. Se uno perde non è perché l’altro ha fatto qualcosa che non andava. Sei tu che hai sbagliato, non è assolutamente una cosa negativa. E quello che è positivo soprattutto è che io non sono vista in maniera diversa dalle altre avversarie anche nelle altre Olimpiadi, nelle gare che hanno preceduto questo evento. Io ero l’unica persona in carrozzina, ma ti assicuro che tutte le altre avversarie mi guardavano con rispetto e con timore, perché io potevo essere quella che poteva buttarle fuori dal gioco. Come io temevo e rispettavo loro: c’era un ottimo rapporto, come dev’essere.

Qual è l’atleta sportivo che ammiri di più e perché?
Ho sempre ammirato (anche quando andavo in gara ho sempre cercato di vedere i segreti per vedere come faceva), all’inizio sicuramente un’atleta italiana, Esther Robertson, che è stata una grande campionessa per parecchi e parecchi anni. E poi a livello internazionale sicuramente un’atleta della Moldavia, che è naturalizzata italiana, Natalia Valeva, un’atleta molto brava, molto forte.

Cosa ne pensi in generale dello sport italiano? Siamo rispettati all’estero?
Sì, sicuramente siamo temuti noi italiani, sia nel tiro con l’arco che anche in altri sport. Adesso non so come possiamo essere visti per i recenti problemi di doping, perché anch’io non so cosa pensare.

Tu adesso fai parte del comitato direttivo della Fisd, quali sono i traguardi?
Sicuramente è una cosa impegnativa, tutte le cose che intendo fare, che comincio a fare le voglio fare bene e questa è una cosa che voglio fare bene, quindi mi porta via tempo. Non lo so, vorrei riuscire a creare un rapporto migliore tra gli atleti e la federazione. In tutti questi anni, onestamente, fra me e la federazione c’è sempre stato poco rapporto. Ne ho sentito molto la mancanza e mi ci sono arrabbiata molte volte, e quindi come atleta vorrei riuscire a portare il mio contributo, che viene dalla mia esperienza, perché magari un dirigente non ha vissuto in prima persona certe cose. C’è il presidente che è un ex-atleta, ci sono altri consiglieri che sono o sono stati atleti per cui sicuramente si parte col piede giusto.

Ed ora una domanda un po’ marzulliana: cosa ha significato nella tua vita fare sport?
Ha significato moltissimo sicuramente, ma la cosa più importante è che mi ha fatto sentire se possibile ancora più normale. Come dire, ogni volta che uno ha dei problemi cerca di nasconderli, di risolverli, di superarli, e io sono riuscita quantomeno sulla linea di tiro in gara ad annullare l’handicap e secondo me questa è una conquista molto grande. Nello sport non ha importanza che io sia seduta o in piedi: purtroppo fuori dal campo di gara non è mica così, nel senso che sugli spalti, dietro una telecamera si vede sempre la mia carrozzina. Però per me è stato molto importante anche come persona, perché mi ha dato una certa sicurezza.
Una sicurezza dovuta al fatto che posso fare delle grandi cose.