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autore: Autore: Silvana Donini

Il mio e il tuo aiuto

Nel mondo della cooperazione internazionale si è operato secondo una concezione di relazione di aiuto a senso unico, dove il ricco Occidente ha deciso come aiutare i paesi in via di sviluppo. Bisogna mettere in condizione i paesi poveri di esprimere le proprie necessità secondo i loro universi culturali di riferimento. In campo educativo esiste l'”appoggio istituzionale”.

La cooperazione internazionale presuppone una relazione d’aiuto tra paesi ricchi, che ritengono di avere qualcosa da dare, e paesi poveri, che si ritiene abbiano bisogno di interventi e finanziamenti.
Il mondo della cooperazione internazionale è composto da un notevole apparato di ONG, organismi delle Nazioni Unite, uffici ministeriali, esperti e volontari che spesso fondano la progettazione e la realizzazione dei loro interventi su un modello occidentale di relazione di aiuto; ma questo modello non è stato utile per risolvere il problema del sottosviluppo di gran parte del mondo.
Bisogna dunque ripensare la relazione di aiuto, sia nei ruoli che nelle finalità, basandosi sul rispetto delle identità culturali differenti da quella occidentale, che faccia acquisire un peso maggiore ai paesi destinatari degli aiuti. La cooperazione internazionale fino ad oggi ha operato per soddisfare bisogni ritenuti tali dal mondo occidentale, tramite interventi prevalentemente di carattere economico. Mettere in condizione i paesi del Terzo Mondo di esprimere le proprie necessità secondo i loro universi culturali di riferimento, può contribuire a modificare la relazione di aiuto esistente: un passaggio da una concezione a senso unico tra chi dà e chi riceve, verso uno scambio paritario finalizzato ad un reciproco arricchimento.
La progettazione degli interventi di cooperazione basata su questa concezione di relazione d’aiuto, che persegua obiettivi concordati con i partner locali, può concretizzarsi in nuove modalità di realizzazione dei progetti. Un esempio di tali modalità in questo senso, già operante in alcune esperienze di cooperazione, è rappresentata dall’appoggio istituzionale, che mira al rafforzamento delle istituzioni locali esistenti, senza la creazione de strutture occidentali parallele. Un modello che deve ancora diffondersi, ma che ha già dato risultati interessanti.

Rifondare la relazione di aiuto

Un punto di partenza possibile consiste nel mettere in discussione la cultura che sta alla base della relazione di aiuto come viene attualmente intesa.
Storicamente la relazione di aiuto è alla base di molti rapporti umani: gli antropologi che andavano a studiare i popoli "primitivi", i missionari che hanno diffuso il Cristianesimo nel mondo, i conquistatori coloniali sono accomunabili dal fatto che oltre alle proprie finalità (studio, evangelizzazione o occupazione), credevano sinceramente di andare a portare un aiuto a popolazioni che vivevano in condizioni ritenute insufficienti. Una ideologia di superiorità presente negli occidentali, trova conferma nella letteratura coloniale e missionaria dell’epoca, nelle descrizioni delle civiltà non occidentali. Esse venivano dipinte come primitive o barbare e le strutture sociali venivano a volte paragonate a quelle animali.
Molte invasioni si sono quindi basate sulla convinzione di andare a portare un aiuto a popoli bisognosi. Chi invadeva era sicuro di avere una fede, un bagaglio di conoscenze (scientifiche, filosofiche, matematiche) o uno stile di vita superiore a quello dei paesi da occupare: si agiva quindi pensando di instaurare un rapporto di aiuto verso chi era in condizioni inferiori. Questa dunque la relazione di aiuto presente nella storia: chi si credeva superiore era legittimato a portare aiuto alle popolazioni ritenute inferiori, tramite ogni mezzo.
Il concetto di reciprocità dello scambio era già presente: secondo la cultura araba era indispensabile dare e ricevere e i colonizzatori del Sud-America prendevano l’oro ma pensavano di portare alle tribù locali una civiltà superiore. Alcuni testi dell’epoca giustificavano i saccheggi affermando che era ben poca cosa avere oro e pietre preziose, in cambio della civiltà e della fede che avrebbero portato la salvezza eterna: lo scambio veniva considerato addirittura come più favorevole per i popoli invasi.
In tutte le civiltà ed in tutte le religioni è considerato importante il rapporto di aiuto, che viene, ovviamente, concepito in forme differenti. Tra le regole fondamentali del Cristianesimo, dell’Islamismo e della religione ebraica vi è l’aiuto ai poveri, un’obbligo molto importante, che tuttavia si svolge a senso unico.
Per le culture orientali il rapporto di aiuto non è autentico se non è basato sullo scambio reciproco, mentre questo aspetto non è fondamentale per l’Occidente. Per una rifondazione della relazione d’aiuto si può prendere spunto da questa concezione di reciprocità, che porterebbe ad un cambiamento dei rapporti come sono concepiti oggi.
Occorre rimettere in discussione il significato dei termini "relazione" e "aiuto", e ridefinire chi sono i soggetti che "donano" e quelli che "ricevono". L’ipotesi proposta è la diffusione del concetto di relazione reciproca, nella convinzione del superamento della relazione a senso unico, responsabile di tanti problemi sociali ed economici.
La visione eurocentrica ha posto i paesi occidentali al centro dell’umanità, così essi si sono visti come gli unici capaci di trasmettere una cultura superiore alle altre. Ciò ha portato alla creazione di rapporti non equilibrati e alle attuali relazioni di dipendenza e dominio. Anche per contrastare questa tendenza è importante rivalutare il concetto di scambio reciproco diffuso nelle culture orientali.

La concezione culturale del donatore

Se si ritiene necessaria una relazione d’aiuto che vincola i soggetti ad uno scambio reciproco, va definito ora "cosa" un soggetto può dare all’altro. In Occidente fino ad ora ci si è domandato cosa si guadagna e cosa si perde (una forma di guadagno è presente anche nelle relazioni impostate sulla gratuità). Quello che si perde deve venir infatti compensato da qualcos’altro e, inoltre, non si può dare di più di quanto serve a se stessi. Ma nella cultura occidentale si sono creati bisogni talmente elevati che ciò che rimane da dare agli altri è molto poco.
Per ciò che riguarda l’individuazione di chi si trova in stato di bisogno, cioè di chi si trova "oggettivamente" in condizione di inferiorità, questa viene attualmente valutata secondo la concezione culturale del donatore, che non sempre coincide con quella di chi riceve. Si entra nella dimensione culturale del problema, anche se spesso tale individuazione viene delegata dalla società agli esperti e ai competenti in materia.
E’ la concezione culturale del donatore che determina i destinatari e il tipo di aiuto da dare, ma ancora oggi è forte la convinzione che le valutazioni fatte secondo il metro occidentale siano valide per tutta l’umanità.
Per una rifondazione della relazione di aiuto l’individuazione dello stato di bisogno non deve essere fatta da chi offre aiuto ma da chi lo riceve, sulla base del proprio modello culturale.
Per costruire un ospedale in un paese del Terzo Mondo è necessaria la conoscenza almeno della medicina locale e della concezione tradizionale della cura e, in ambito scolastico l’esportazione del modello occidentale non è appropriata a molte culture differenti, basate su altri modelli di trasmissione del sapere.
Un altro concetto va precisato, in quanto interpretato in modo differente dalle diverse culture e che si può esprimere con una serie di interrogativi: quanto hanno fatto finora i paesi del Terzo Mondo? L’aiuto che si intende fornire è meritato oppure no?
Vi è infatti la tendenza ad aiutare popolazioni che hanno modi di vita simili ai propri; gli occidentali hanno aiutato prevalentemente chi parla la loro lingua e dimostra di volerne seguire lo stile di vita ed i paesi comunisti hanno fatto lo stesso.

Le reazioni dei destinatari

Per quanto riguarda la reazione dei destinatari all’aiuto si possono riscontrare tre dinamiche principali: la reazione all’aiuto come strumentalizzazione, l’aiuto come minaccia all’autostima e l’aiuto che porta alla creazione di un obbligo.
La prima è chiara: l’aiuto viene dato per progetti che gli occidentali hanno l’interesse a voler realizzare. Oppure spesso vengono donate "briciole" di benessere materiale di cui ci vogliamo liberare, i destinatari lo sanno e accettano.
Per quanto riguarda l’autostima va ricordato che chi riceve dichiara pubblicamente di non essere autosufficiente, ammettendo la superiorità del donatore. In casi estremi ricevere aiuto può provocare anche il risentimento dei destinatari, proprio perché rende coscienti delle misere condizioni in cui si trovano. L’accettazione di aiuto umilia e crea la percezione che il beneficiato ha capacità inferiori. L’impossibilità di rifiutare aiuto può provocare crisi di identità e minacciare l’autostima delle popolazioni del Terzo Mondo, nonostante tutta la buona volontà dei cooperanti.
Si può affermare che ricevere aiuto mette il ricevente in situazione di riconoscenza verso il donatore, e ciò è sentito nei paesi di culture differenti più intensamente di quanto non lo sia in Occidente. Vengono toccati la dignità e l’orgoglio della persona che ha ricevuto l’aiuto.
Se una cooperazione basata su una relazione di aiuto unilaterale provoca dipendenza, disistima e perdita di identità, si propone una progettazione degli interventi che si fondi su una relazione di aiuto reciproca.
La formazione di cooperanti e volontari su questo nuovo modo di concepire la relazione d’aiuto potrebbe portare a risultati migliori nella conduzione degli interventi e nell’utilizzo dei finanziamenti. Se ciò accadesse la cooperazione non sarebbe più quella di oggi: sulla base di una rifondazione della relazione di aiuto si avrebbe anche un rinnovamento delle modalità dio lavoro della cooperazione internazionale.
Secondo A. Chieregatti, docente di Psicologia all’università di Bologna, vi sono alcuni aspetti delle relazioni d’aiuto presenti nei rapporti interpersonali, come la spontaneità, il rispetto reciproco, la non ricerca del tornaconto, che possono essere utili spunti per un nuovo modello di aiuto da trasferire nel mondo delle relazioni internazionali.
La rivalutazione dell’alterità (l’altro inteso come il diverso, che porta arricchimento) può migliorare le relazioni tra appartenenti a culture differenti, riscoprendo la complessa rete di interdipendenze nella quale siamo inseriti.
Se, come conferma Latouche (1), nel mondo occidentale vi è l’egemonia dell’economia sugli altri settori, la relazione di aiuto che si realizza in questo contesto non può che essere una relazione economica, dove i paesi ricchi domineranno sempre su quelli poveri.
Ma la cooperazione ha la possibilità di passare da "insieme di strumenti per aiutare che ha bisogno" a strumento di collaborazione e di scambio.
Con l’apporto di altri universi culturali, si pensi alla concezione di relazione di aiuto nei paesi asiatici o africani, si può ipotizzare un modello di cooperazione decentrata, basata su iniziative di reciprocità.
In questo contesto vanno collocate le modalità di lavoro che mirano a coinvolgimento delle popolazioni nei progetti di sviluppo, tramite il sostegno ai poteri locali.
Nella cooperazione in campo educativo esiste già una pratica che si muove in tal senso, definita strategia di appoggio istituzionale.

L’appoggio istituzionale

Nella definizione di S. Gandolfi (2) "l’appoggio istituzionale mira a rafforzare le istituzioni locali e nazionali e a migliorare l’efficacia delle loro capacità di intervento. La sua motivazione principale è rendere progressivamente indipendenti gli attori nazionali, in modo che possano, con sforzi e risorse autonomi, gestire i propri programmi di sviluppo. La filosofia dell’appoggio istituzionale è quella di sostenere ciò che già esiste, di rispettare la cultura locale, il sistema di organizzazione e di gestione interna, di stimolare l’interazione fra settore privato e settore pubblico e di consolidare lo statuto delle istituzioni interessate".
Poiché l’appoggio istituzionale non rappresenta un’altra forma di esportazione di modelli occidentali, esso si adatta con flessibilità alla realtà istituzionale esistente, stimola l’impegno delle persone, le coordina, dà loro responsabilità, e crea una relazione contrattuale nella quale ogni partner può dare un contributo commisurato alle sue possibilità. Una tale strategia presuppone un cambiamento radicale di prospettiva perché cerca di tener conto di regole, procedure, metodi, specificità culturali propri di ciascuna comunità.
Alla base dei progetti vi è una negoziazione che prevede diritti e doveri da parte di ciascuno, fondata sul rispetto delle differenze culturali. Quando i fattori culturali non sono stati tenuti in considerazione si è avuto il fallimento dei progetti, sia perché trapiantati in un ambiente naturale e culturale inadatto sia perché hanno proposto agli attori sociali uno sviluppo inteso come crescita, progresso unidimensionale, e come tale inadatto alle società tradizionali.
L’appoggio internazionale è dunque una strategia particolarmente indicata per la progettazione e la conduzione degli interventi nelle istituzioni formative, un quanto sostiene il diritto dei popoli alla differenza e si basa sulla convinzione che per vivere ogni popolo ha bisogno di radici culturali. Se le società non occidentali vivono una situazione di alienazione culturale, le istituzioni di insegnamento sono impossibilitate a svolgere la loro funzione.
La cooperazione allo sviluppo non deve, quindi, introdurre sistemi educativi estranei alle culture o sostituirsi alle istituzioni politiche locali, ma deve instaurare una collaborazione paritetica con i paesi del Terzo Mondo, affinché essi trovino nella loro cultura le strade per la risoluzione dei problemi.

1) S. Latouche, L’occidentalizzazione del mondo, Bollati Boringhieri, Torino, 1995
2) Stefania Gandolfi, Le radici dimenticate-Appoggio istituzionale al sistema universitario in Africa, EMI, Bologna, 1995