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Quale sessualità?

Riportiamo interamente l’intervento di Giorgio Rifelli, psicologo, registratoal dibattito "Handicap & Sessualità" tenutosi a Bologna il22/1/85 organizzato, con la nostra collaborazione, da Arci Gay e Circolo 28giugno.
La complessità della sessualità richiede,per poter essere studiata,un approccio che, necessariamente, bisogna suddividere in componenti: ilcorpo, la mente, le emozioni, ecc., inoltre questa separazione trova agganci erichiami di tipo culturale- ideologico. In altri termini, l’operazione attraverso la quale la sessualità, nelle sue componenti, ha subito unascissione,sembra anche essere una operazione che prende spunto dalla necessitàdi dividere lo spirituale dal carnale. Divisione che ha radici lontane nellaciviltà occidentale eche, tra i diversi motivi che la possono sostenere, sembrerebbe trovare unadelle ragioni nella necessità di uscire dal dramma di una"colpa-peccato" che, se viene scissa tra ciò che è carnale e ciò cheè spirituale, in qualche maniera può essere risolto. Nel dividere lasessualità in un momento etereo, angelicato, e in un momento corporeo ecarnale si riesce a mettere tutte il buono nello spirituale le e tutto il cattivenel corporeo e nel cai naie. Questa operazione è semplice, primitiva e, forse,infantile ma, tuttavia, dalla possibilità di uscire dal dramma di una colpa,di qualcosa che viene vissuto comepotenzialmente destrutturante, sporco e morboso. Questa dicotomia tra carnale e spirituale grava ancora sul. la nostra cultura e, di fatto, ha prodotto un vissuto della sessualità che facilmente è collegato o all’etereo, lontano e quindi irraggiungibile dello spirituale oppure al carnale dell’ aspettoprocreativo, o dell’aspetto ludico-erotico-ricreativo. Questi momenti sonosostenuti e portati avanti come ideologia da due correnti diverse; l’area conservatrice che, pur essendo sufficientemente combattutaè, senz’altro, presente e sostiene una finalità procreativa e l’area libertaria o liberante che invece sostiene una ideologia ludico- ricreativa. Le due posizioni, nonostante la loro diversità, sembrano essere accomunate da due elementi. Una è la genitalizzazionedel concetto di sessualità, infatti nei due casi, procreativo e ricreativo,si rimane legati all’area genitale el’altra è l’efficientismo. Entrambe sono dentro ad una cultura che è lanostra, fatta di consumi e di produzione dove ciò che conta e vale è ilgrado di efficienza che ognuno di noi riesce a mettere nelle proprie attività e, perché no anche nell’attività sessuale. All’interno delle due ideologie sopra citate, troviamo una sessualità deprivata , parcellare, smembrata , che è solo la sessualità genitalizzata. Non troviamo cioè tutte quellecomponenti di tipo emotivo- relazionale che fanno capo all’uomo e alla donnacome esseri globali che possono intervenire a recuperare il senso unitariodella sessualità e attribuirle quella connotazione "di insieme" incui si riconoscono elementi psicologici emotivi,carnali e spirituali,chesono stati frazionati ,divisi e dispersi nel corso della nostra storiaoccidentale. In questo modo, anche certi discorsi di tipo liberalizzante non fannoaltro che insistere su schemi o su modelli che sono tutt’ altro cheliberalizzanti. Ci troviamo nelle condizioni nelle quali la sessualità èancora immediatamente collegata, associata all’evento coitaledell’amplesso. Sembra quasi che la sessualità umana non possa a. vere altradimensione se non la conferma pratica , concreta e genitale del rapporto.Ovviamente, all’interno del nostro discorso vediamo come allora il problemadell’handicap può essere posto. Questo problema subisce una particolareemarginazione visto che una sessualità limitata e contenuta solo alla sferadel corporeo/genitale trova delle inapplicabilità." Questo come premessa,anche perché non possiamo pensare di condurre una pianificazione del problema se non riusciamo a dirci quale sia ilriferimento a cui uniformarei nostri discorsi, qual’è la sessualità a cui riferirci. Fatta questa premessavoglio fare alcune riflessioni riguardo al gruppo che stiamo conducendo. Difatto credo che si possono indicare due termini rappresentativi dellevicende, dei contenuti e dei concetti che si sono andati elaborando in questaesperienza. La "diversità" e la "distanza" sono due termini che possonorappresentare una categoria concettuale. Due termini che sono uno collegatoall’altro e che reciprocamente si influenzano.

LA DIVERSITÀ’

Rivolgendomi ad un gruppo nel quale figurano anche handicappati il problemapuò sembrare, apparentemente , quello di dover affrontare la"diversità". Dico sembra perché è un probblema che mi sono postoprima di iniziare l’esperienza. Mi sono anche chiesto se, nel condurre questogruppo di informazione e discussione sui problemi sessuali, era necessarioda parte mia, elaborare un programma diverso e attingere a notizie diverse.Se fino ad allora avevo lavorato con insegnanti oppure con colleghi medicio psicologi, con i ragazzi delle scuole, probabilmente a questo punto anch’ io,forse, dovevo fare qualcosa di diverso. Confessso, e un poco me ne vergogno, che questo tipo di atteggiamento era di fatto istintivo e spontaneo.Fortunatamente non ho seguito il mio istinto anche perché iniziando ilgruppo ho avuto la possibilità di verificare alcune realtà. Infatti immagino,ma forse è presunzione, che il mio sia un atteggiamento abbastanzadiffuso nell’avvicinarsi a questo problema. L’atteggiamento cioè di inserìre immediatamente il concetto della diversità . Nella pratica però non ho assolutamente scelto questa strada ene sono contento. Abbiamo affrontato l’argomento come se non esistesseroproblemi di handicap fisico da parte di qualcuno. Tuttavia il problema delladiversità persiste e mi sembra che valga la pena indicarne alcuni elementi.
La "diversità" nasce dal tentativo,dal bisogno di codificare, di categorizzare, di ordinare, che tutti noiin qualche maniera abbiamo. Probabilmente viviamo più tranquilli se riusciamo a mettere ordine nellecose di casa nostra e nelle cose del mondo e anche nei corcetti che abbiamo intesta. Mettiamo ordine anche nei riferimenti e negli ideali. Questo processodi "ordinamento" offre anche tra l’altre grossi vantaggi. Tuttavia lastoria del progresso scientifico nasce da questa necessità di conoscenza e dicategorizzazione.
Se il processo sopra detto presenta alcuni vantaggi senza dubbio finisce ancheper diventare un grosso limite al nostro vivere in rapporto agli altri perchèin maniera più immediata, spontanea ed istintiva noi, in un primo impatto congli altri, facciamo immediatamente ricorso a quelle categorie e a quei modelli che ci siamo già messi intesta. In questo modo discriminiamo tra lepersone che abbiamo di fronte, in funzione di quelle categorie che noi abbiamogià dentro. La discriminazione, è ovvio,è tanto più massiccia quanto più"diversa" è la persona che ci sta di fronte. Mi sembra che questo limite nell’approccio con il mondo dell’handicap sia una delle prime emaggiori difficoltà. La possibilità cioè di andare al di là della formauscendo dalle categorie che ci tranquiliizzano ma che ci strozzano, per potercercare di adattarci ad una varietà umana nella quale gli handicappatipossono rappresentare una componente di diversità. Se però andiamo aguardare, ciascuno di noi è diverso dall’altro e la ricchezza del nostroessere nasce e si sviluppa proprio sulla nostra diversità. Altra componente èquella che deriva dal fatto che alcuni diversi, raccolgono in se contenuti che sono nostri, che noi facciamo uscire per meccanismi che vengonodefiniti di tipo proiettivo, "attribuendo ad altri cose che abbiamodentro" e che rappresentano per noi elementi di disturbo. Se per esempioabbiamo lavorato per l’ordine, il disordine ci appare come come elementodisturbante perché diventa attacco alla nostra tranquillità interiore.Non solo, se l’altro, e qui non mi riferisco agli handicappati che rispettoa questo tipo di ordine rappresentano il disordine, rappresenta sentimentied emozioni con le quali in qualche modo noi stessi abbiamo dovuto fare i conti,con ad esempio l’omosessualità, allora diventa più pericoloso rimetterein discussione tutte quelle cose che abbiamo cercato di ordinare all’internodei nostri schemi mentali. Allora anche il contatto con l’handicappato non solodiventa problematico perché attraverso il gioco visivo appare immediatamentedisturbante ainostri schemi ottici, ma anche perché è un preciso attacco alla nostratranquillità interiore, è una presenza contagiante alla nostra suppostaserenità.

LA DISTANZA

Vorrei ricordare un’esperienza che abbiamo fatto come gruppo in uno deinostri incontri. Abbiamo usato una tavoletta nella quale si raccontava di un ragazzo che cresceva da solo in un bosco mangiando e bevendoquello che trovavae che a 20 anni scopre ai margini della foresta un ruscello: al di là del ruscello un altro bosco dove una ragazza havissuto un’esperienza analoga allasua. Dal gruppo è scaturito con precisione veramente sorprendente un ruscello cheassomigliava ad un fiume: un baratro enorme. Alcuni addirittura dicevano chesarebbe stato necessario costruire una zattera per attraversarlo e poter raggiungere la ragazza.
Questa "rappresentazione" del ruscello come il mare, mi sembraemblematica di come essere dentro l’handicap faccia sentire gli altrilontani. Forse di questa distanza, prima ancora che l’emarginazione, nesubisce le conseguenze la sessualità perché la sessualità è relazione edincontro. Di tutto questo siamo responsabili noi quando viviamo dentro lecategorie, l’ordine, gli stereotipi, dentro ciò che ci fa vivere tranquilli unmondo che tuttavia è anche meschino.




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