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Pacifisti “in guerra”

Edin e Roberto sono due esponenti del movimento non violento croato che, insieme ad altri pacifisti, hanno costituito un comitato di opposizione alla guerra. Li abbiamo incontrati in un bar della via principale di Zagabria e, superando le difficoltà di lingua, abbiamo rivolto loro una serie di domande riguardo la situazione di guerra che coinvolge le diverse etnie della ex-Jugoslavia

Domanda. Come si è giunti a questo conflitto?
Risposta. Con la caduta del sistema comunista le varie etnie hanno cominciato a vedere come possibile una loro indipendenza politica da tempo auspicata, nonostante la loro distribuzione non fosse omogenea all’interno del vari territori indipendenti che si andavano prefigurando. Infatti in Croazia Si aveva una presenza serba nella percentuale dell’1 1%; la Bosnia aveva uno spettro di popolazione ancor più composito: 31 % serbi, 17% croati, 45% mussulmani, 7% "non schierati".
A seguito delle elezioni politiche del 30/4/90, nelle quali si registrò una affermazione dei partiti nazionalisti e fallito il tentativo serbo di mantenere un potere centrale e la proposta di sloveni e croati di formare una Confederazione di Stati Indipendenti (con eserciti autonomi), cominciarono i primi scontri armati.
D. Come sono iniziati gli scontri?
R. In Croazia gli scontri sono avvenuti con il pretesto addotto dai serbi di intervenire a tutela della loro minoranza ivi residente.
In realtà l’intervento dell’esercito federale, controllato da una dirigenza serba, era diretto a rendere attuale il vecchio progetto, risalente alla prima guerra mondiale, della costituzione della "Grande Serbia". A questo si deve aggiungere la rilevanza economica della Croazia e della Bosnia importanti regioni agricole, industriali e centri di commercio e turismo.
D. Quali conseguenze ha avuto la guerra per la Croazia?
R. La guerra è stata una catastrofe sia materiale che morale per la Croazia. II Presidente della Repubblica ha affermato che le vittime croate di questo conflitto sono state fino ad oggi 10.000. Secondo una nostra stima al momento, invece, le vittime si calcolano tra le 20/30.000.
D. Come si è sviluppato l’attuale conflitto in Bosnia?
R. II risultato delle elezioni del novembre 1991 ha rispecchiato la suddivisione etnica della popolazione. Ha vinto il partito di Azione Democratica, partito riformista appoggiato in prevalenza dai mussulmani; al referendum per l’indipendenza il 65% della popolazione (mussulmani e croati) ha votato a favore.
Il successivo intervento militare serbo nei territori bosniaci ha trovato l’appoggio dell’esercito federale presente in questa regione. Ancora una volta il motivo dell’intervento serbo è stato quello di intervenire a tutela della propria minoranza.
I mussulmani, al contrario dei croati, si sono trovati del tutto impreparati; infatti i croati sono stati appoggiati dall’intervento armato in Bosnia dalla loro Repubblica indipendente.
In cinque mesi di guerra risultano esserci stati 100.000 morti, il 65% dei quali mussulmani disarmati, 5.000 donne sono state violentate e rinchiuse in campi di concentramento.
A Sarajevo sono oggi presenti 350.000 persone senza acqua ed elettricità. II corridoio umanitario più volte interrotto non è riuscito a risolvere i grossi problemi di rifornimento di viveri o a raggiungere molte zone del Paese. A Mostar, ora completamente distrutta, vivevano 100.000 persone: dopo i bombardamenti erano rimaste in città circa 20.000 persone.
D. Qual è a situazione de profughi?
R. Dalle informazioni in nostro possesso ci sono 200.000 profughi bosniaci. I volontari del nostro movimento svolgono opera di assistenza ed animazione presso i campi profughi.
C’e ora urgente bisogno di prefabbricati per affrontare l’inverno, altrimenti molti bambini ed anziani moriranno nelle tendopoli. Occorrono anche alimentari e medicine. E’ necessario però accompagnare questi aiuti e controllare che arrivino a destinazione, poiché esiste il pericolo di contrabbando e mercato nero, come del resto accade in tutte le situazione di confusione istituzionale.
D. A chi va attribuita la responsabilità di questa guerra?
R. Non possiamo dimenticare che la separazione della Bosnia come già quella della Croazia rappresentava un grave danno per gli interessi di Belgrado essendovi in questi territori concentrate l’industria bellica e le basi militari. La situazione è molto complessa. Esiste un rapporto di osservatori della Conferenza di Helsinki per diritti umani in Europa che attribuisce le maggiori responsabilità della guerra in Bosnia alla Serbia.
D. In questa situazione come si muove il Movimento per la Pace?
R. Nell’agosto 1991 si è costituito per opera di alcuni pacifisti il Comitato contro la Guerra: organizziamo corsi di formazione alla mediazione e alla nonviolenza e svolgiamo opera di assistenza e animazione. Siamo in collegamento con i movimenti pacifisti e verdi europei. Abbiamo contatti anche con il Movimento Nonviolento Serbo, ma con lo scoppio della guerra i collegamenti si sono notevolmente ridotti poiché non esiste più una linea diretta fra i nostri due paesi e riusciamo a metterci in contatto, fra grosse difficoltà, solo attraverso reti informatiche.
D. Quale messaggio volete dunque lasciarci alla fine di questa intervista?
R. Di fronte alla crudeltà della guerra in Bosnia è stato sollecitato anche da più gruppi pacifisti un intervento militare decisivo per porre fine a tali e tante atrocità.
Ma a noi interessa che sia ricercata con tutte le energie una soluzione nonviolenta in quanto la storia dimostra che la guerra non ha mai portato a una giusta risoluzione dei conflitti.
Si deve porre fine a questa guerra ed occorre che l’ONU e la CEE facciano la loro parte per fermare comunque i "serbi" in Bosnia.




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