Roberto Merlo, laureato in Filosofia, esercita l’attività psicoterapeutica.
Nell’ambito del progetto Enter ha fatto parte del Comitato Tecnico Scientifico del Progetto e si occupato della fase di studio e ricerca. Ha quindi curato, oltre alla funzione scientifica, la predisposizione di strumenti di indagine specifici per la parte relativa alla formazione degli operatori. All’interno di questa fase ha svolto
direttamente lezioni agli operatori partecipanti al corsoLa metodologia utilizzata per questa fase dello studio e ricerca del progetto Enter è stata quella di partire da uno studio sull’immagine della formazione che gli enti possiedono per poi, sulla base dei risultati, organizzare una proposta formativa. Come avete scelto il campione degli enti?

Sulla base delle associazioni e cooperative o enti di formazione che si occupano in modo diretto, o per ragioni che riguardano la loro attività, di inserimenti lavorativi o formazione al lavoro.
Accanto a questa lista abbiamo poi considerato il fatto che spesso in modo informale si fa inserimento o avviamento al lavoro da parte ad esempio di parrocchie o gruppi informali. In questo caso abbiamo cercato di individuare alcuni di questi soggetti sulla base di una distribuzione sul territorio.

Di che tipologia di organizzazioni di tratta in termini di localizzazione, dimensioni, ambiti operativi?

A Bologna esiste una estrema eterogeneità: si va da grandi enti di formazione con molti programmi e anni di esperienza al parroco che cerca un luogo di lavoro per una persona tramite amici e conoscenze.

Quali sono i criteri principali utilizzati per evidenziare l’idea della formazione che gli enti possiedono?

Ovviamente criteri sia quantitativi (risorse, tempi ecc… impiegati per questo tipo di attività) che qualitativi (come era concepita dall’organizzazione la funzione formazione, al di là del fine dichiarato, quali erano le funzioni secondarie che le venivano attribuite, ecc…).
Provo a spiegarmi con un esempio. Il bisogno formativo, osservato dal punto di vista di una organizzazione, è dipendente da come quest’ultima pensa la formazione come strumento e funzione.
Se una organizzazione intende ad esempio la formazione come fatto qualificante, non penserà a quella come contenuto riferito agli obiettivi ma come sistema con cui governare le sue relazioni interne. Se invece interpreterà la formazione come sistema per raggiungere gli obiettivi, gli elementi di contenuto saranno prevalenti rispetto alle altre funzioni.

Quali sono i risultati maggiormente significativi ottenuti dalla ricerca relativamente all’idea e al ruolo della formazione?

Al di là della formazione professionale, su cui ci pare ci sia poco da dire, visto che le esperienze condotte in questi anni hanno prodotto sistemi molto efficienti e efficaci, ci sembra che si debba pensare a due processi formativi specifici per questi progetti che dovrebbero avere i seguenti obiettivi, uno rivolto agli operatori, l’altro agli utenti finali cioè alle persone svantaggiate. Supportare durante il processo gli operatori che lo gestiscono con interventi che diano strumenti e metodologie integrative atte a affrontare i problemi che si pongono nel processo; introdurre metodiche di intervento nei confronti dei destinatari finali che li rendano competenti nell’ampliare la loro rete relazionale, accedere a risorse esterne e così via.
L’esperienza condotta attraverso questo progetto ha dato indicazioni utili per la realizzazione del primo obiettivo. Sul secondo ci sembra che si dovrebbe procedere nel seguente modo: da un lato dovrebbero essere messi in rete gli operatori che lavorano all’interno dei tempi di vita dei soggetti a forte tasso di emarginazione (dai delegati sociali di recente formazione agli operatori di strada, dagli animatori di territorio agli operatori che si occupano di inclusione, ecc…); ciò permetterebbe di seguire fuori dai servizi, nella quotidianità, i soggetti, agendo sulla vita concreta di questi ultimi in modo congruente. Dall’altro lato infine si dovrebbero attivare, all’interno degli stessi processi di formazione professionale, momenti di formazione professionale e di accompagnamento all’inserimento, momenti di formazione – intervento in gruppo che siano finalizzati a riattivare le competenze necessarie (nei destinatari) per autonomamente occupare in termini alternativi rispetto alla cronicità e all’ autoemarginazione i tempi di vita.

Una parte del questionario è dedicata al profilo ideale del buon operatore: quali risultati
sono emersi e quali valutazioni è possibile fare?

L’immagine dell’operatore ideale è abbastanza differenziata e articolata il che significa che non esiste una concezione del tipo “delirio di onnipotenza” ma emerge una certa idea di dove gli operatori dovrebbero arrivare per essere “ideali” rispetto all’organizzazione. Mi sembrano particolarmente significative le quattro competenze che hanno ottenuto meno adesioni: la capacità di progettare momenti formativi per gli utenti con cui l’organizzazione lavora, la conoscenza e padronanza dei vincoli posti dal contesto (ente, istituzione, struttura), la capacità di rapportarsi con le strutture amministrative del territorio e, infine, quella di sapere animare i gruppi e le persone.
Rispetto alla figura di operatore che emerge dal questionario, quindi rispetto all’immagine reale, occorre sottolineare alcune delle competenze privilegiate dagli intervistati: il sapere lavorare in équipe, il sapere condurre una relazione di aiuto e la capacità di dialogo con gli utenti, la capacità di reggere l’aggressione dell’utenza e quella di sapere riconoscere quando non spetta all’operatore rispondere ai bisogni sapendo rimandare a chi di competenza. Infine l’essere in grado di organizzare il lavoro, di osservare e di trarre soddisfazioni dal proprio lavoro.

La metodologia utilizzata nella fase di studio e ricerca del progetto Enter, basata sull’analisi sul campo e sulla successiva organizzazione di un percorso formativo, quali vantaggi comporta? Si è sempre dimostrata funzionale? Sono proponibile delle alternative?

Il primo dato che emerge dalla visione di insieme dei tre sistemi di risposte è che le organizzazioni del campione intendono relativamente la formazione come un sistema atto a migliorare la qualità del loro funzionamento.
Ci sembra però di poter dire che questa visione funzionalistica non è precisa e chiara nel suo realizzarsi. Basti citare il fatto che la formazione non è vista come strumento che avvicina l’immagine reale all’immagine ideale.
Vi è un’idea della formazione più come strumento residuale rispetto al suo compito mentre non compare un’ dea strumentale, ad esempio la formazione come strumento di governo organizzativo o altro.
Pensare la formazione come isolabile dai contesti organizzativi e dalle dinamiche che le stesse organizzazioni vivono quotidianamente con i contesti allargati, significa astrarla e renderla ambigua.
Certo ciò comporta difficoltà ulteriori non solo in termini di tempo, ma non vi è alcuna alternativa.

Quali caratteristiche ha avuto il percorso formativo strutturato sulla base dei dati raccolti?

La caratteristica principale è stata quella di costruire un percorso che, partendo dall’analisi del lavoro svolto concretamente dai formandi tra un incontro e un altro, fornisse loro in itinere teorie e metodi per leggere in modo più articolato e complesso le loro risposte e il loro modo di porsi tra i bisogni del progetto e dell’organizzazione e i bisogni dei destinatari finali.
Si è trattato quindi di una formazione in azione in cui il docente funzionava come risorsa di processo e non come colui che impone il processo.

E’ stata fatta una verifica sul risultato del percorso formativo? Cosa ne è emerso?

Si è stata fatta tramite un doppio sistema di valutazione di processo: un questionario e una discussione partecipata.
I risultati sono stati indubbiamente buoni. Dal questionario è emerso un aumento della consapevolezza del proprio ruolo e delle proprie capacità e competenze e un ridimensionamento dell’immagine onnipotente del formatore-accompagnatore tipo.

Continua a leggere: