Il magico Alvermann – Raccontare la diversità
L’Ombrosa ha imparato poco e con la gente non riesce ad intendersi. Non che le manchino le parole, legge e scrive, ma se qualcuno le parla e si aspetta una risposta, le si blocca la lingua. Basta che uno le si pari dinanzi e le metta gli occhi addosso, che una bocca si schiuda davanti a lei e articoli del suoni, basta questo per toglierle il coraggio di reagire da bipede: ogni faccia la atterrisce.
Allora si gira e distoglie lo sguardo, trema, gli occhi le si riempiono di lacrime. Si vergogna di tutte le parole che gli altri pronunciano con tanta disinvoltura. Perché mai nessuno le si avvicina in silenzio? Forse potrebbe a poco a poco abituarsi al confronto. Forse potrebbe prepararsi alle parole non ancora pronunciate. Ma nessuno gliene concede il tempo. Uno si fa sotto, è già lì, già la fissa, già apre la bocca e parla. Prima ancora che lei abbia osato guardarlo in faccia, le parole la aggrediscono, e almeno fossero parole sussurrate, parole originali, come quelle che lei custodisce in segreto dentro di sé – no, sono sempre formule grezze che vanno dritte allo scopo e le piovono sul viso a ferirlo come tante piccole pietre.
L’Ombrosa si salva nelle stalle, fra i cavalli. Lì si mette accanto a un animale e si calma al contatto di quei fianchi così lisci. Lì non si parla, neanche una parola, le code fendono l’aria in segno di amicizia, le orecchie si drizzano ad avvertire la sua presenza, le froge hanno un tremito. Occhi si girano in silenzio verso di lei, e lei non ha paura di posare lo sguardo su occhi che non offendono nessuno.
L’Ombrosa è felice di non essere a sua volta un cavallo. Non vuole essere nulla che senta simile a sè. Si trova a suo agio solo con ciò che le è alieno per sempre. Non cerca di accattivarsi simpatie o vezzeggiare qualcuno, non usa toni particolari; poco desidera comprendere e poco essere compresa. L’ombra di cui ha bisogno la trova solo fra i cavalli. Non ha mai provato con animali che vorrebbero starle vicino. Sarebbe un errore credere che le piaccia andare a cavallo. Trova però la via per infilarsi nelle poche stalle rimaste qua e la’, trova il momento in cui gli uomini sono tutti via e si erma solo finchè non cè da temere l’arrivo di qualcuno.
L’Ombrosa non soffre di eccessivo amor proprio, ma con i cavalli può starsene sola.
Elias Canetti, Il testimone auricolare, Adelphi
Die Pferdedunkle
commento di Silvia Bertolasi
La diversità, il proprio carattere ombroso e le pulsioni più recondite non sono vizi. Non sono né un vizio di forma, né un vizio di contenuto.
Se parliamo della forma del corpo, dell’impossibilità di utilizzare una parte di esso, siano braccia o gambe, sia uno dei cinque sensi, vorrà dire che l’apparente non-essere richiede una maggiore volontà alla vita: se la natura ci ha messo, per così dire, della fantasia, vorrà dire che starà a noi cercare di esprimere nel modo più sottile la nostra sensibilità. E così il cieco risponde con l’orecchio assoluto. La differenza è misurata su un concetto astratto di insieme di individui, massa ipotizzata normale.
Certo esiste il male.
Se parliamo del contenuto della psiche, io tendo a pensare che la schizofrenia sia una questione di quantità e non di distanza dalla norma; lo sforzo di calmare gli schizofrenici con i farmaci, spesso risponde a bisogno della società di allontanare paure/desideri troppo estremi per le regole del vivere assieme. Con ciò non voglio gettare acqua sul fuoco che muove i professionisti della psiche, ma solo mettere in guardia rispetto alla pretesa di accudire alle luci e ombre dell’anima.
Certo esiste la sofferenza.
Il disagio e la sofferenza in una società chiamata ad essere civile, deve trovare risposta attraverso una relazione d’aiuto concepita con la consapevolezza che chi aiuta può essere aiutato.
E come cerchi nell’acqua ci si può distendere con grazia in uno scambio reciproco, in un eco solidale.
Il testo di Canetti sembra essere a margine dei discorsi sulla diversità. Cinque sono le parti del suo scritto. La prima narra della paura. La seconda parla del silenzio e del pianto, delle parole autentiche e delle parole sommerse. La terza dice della salvezza della presenza senza le parole e delle confessioni estatiche. La quarta si riferisce alla solitudine. La quinta dice della disistima e del ritrovare se stessi.
Die Pferdedunkle allude alla parte oscura/scura del cavallo, al "dunkle", il colore blu di Kieslowsky. L’ombra del cavallo/a trema quando l’animale scaccia con la coda e i tremiti del muscoli i tafani: tremiti e respiro sono sinceri come gli istinti da noi rimossi nel viverci accanto. In uno psicodramma si inscenano i drammi reali, le degenerazioni e i lutti facendo uscire il nostro diavolo in corpo, il nostro demone. Vizi rovescio delle virtù e controcorrente si può remare per trovare la via giusta alla propria diversità.