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Sentinella

Il magico Alvermann – Raccontare la diversità

Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo ed era lontano cinquantamila anni-luce da casa. Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità, doppia di quella cui era abituato, faceva d’ogni movimento una agonia di fatica. Ma dopo decine di migliaia d’anni quest’angolo di guerra non era cambiato. Era comodo per quelli dell’aviazione, con le loro astronavi tirate a lucido e le loro superarmi; ma quando si arrivava al dunque, toccava ancora al soldato di terra, alla fanteria, prendere la posizione e tenerla, col sangue, palmo a palmo. Come questo maledetto pianeta di una stella mai sentita nominare finché non ce lo avevano sbarcato. E adesso era suolo sacro perché c’era arrivato anche il nemico. Il nemico, l’unica altra razza intelligente della Galassia… crudeli, schifosi, ripugnanti mostri. Il primo contatto era avvenuto vicino al centro della Galassia, dopo la lenta e difficile colonizzazione di qualche migliaio di pianeti; ed era stata la guerra, subito; quelli avevano cominciato a sparare senza nemmeno tentare un accordo, una soluzione pacifica. E adesso, pianeta per pianeta, bisognava combattere, coi denti e con le unghie. Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo, e il giorno era livido e spazzato da un vento violento che gli faceva male agli occhi. Ma i nemici tentavano d’infiltrarsi e ogni avamposto era vitale. Stava all’erta, il fucile pronto. Lontano cinquantamila anni-luce dalla patria, a combattere su un mondo straniero e a chiedersi se ce l’avrebbe mai fatta a riportare a casa la pelle. E allora vide uno di loro strisciare verso di lui. Prese la mira e fece fuoco. Il nemico emise quel verso strano, agghiacciante, che tutti loro facevano, poi non si mosse più. Il verso e la vista del cadavere lo fecero rabbrividire. Molti col passare del tempo, s’erano abituati, non ci facevano più caso; ma lui no. Erano creature troppo schifose, con solo due braccia e due gambe, quella pelle d’un bianco nauseante, e senza squame.

Il brano è tratto da "Le meraviglie del possibile", a cura di S. Solmi e C. Fruttero, trad. di Carlo Fruttero, Einaudi.

 

Diverso da te, uguale a me
commento
di Milena Bernardi

Amo profondamente questo racconto. Per la poesia delicata e forte che lo attraversava, per la risonanza tragica che trascina nell’identificazione con il suo "unico" personaggio, per l’emozione clamorosa che mi coglie ogni volta in cui corro verso il finale e riscopro lo stupore del Ribaltamento. Quando il punto di vista si rovescia è la verità autentica che esplode e ci sorprende: il nemico è l’amico di un’altro, il diverso da te è uguale a me! L’orrore agghiacciante del soldato fradicio e coperto di fango è già diventato il nostro quando ci accorgiamo che la Sentinella non è noi: abbiamo condiviso e sofferto gli stessi sentimenti del nemico. Ma il diverso di noi chi è? "Noi" chi siamo? Chi è diverso da noi? Un poeta risponde "Non essendo che uomini camminavano fra gli alberi"’: così Dylan Thomas, in una poesia inedita ci mostra con sconcertante semplicità il confine dell’umana dimensione esistenziale: uomini o abitanti sconosciuti di molte Galassie. Alieni, umani, infraumani, tutti accomunati dai destini interni degli affetti, dei sentimenti, dei desideri di sopravvivenza. Un soldato che ricorda tanti soldati di molte guerre, drammaticamente solo sotto un "sole straniero": così è per ogni "essere" che cammini faticosamente sulla superficie di un pianeta dove la gravità sia "doppia" rispetto a quella a cui è abituato. Molti pianeti nella Galassia dell’educazione: le frontiere dello specchio autoriflettente si possono aprire se si smaschera la metafora che Brown ci regala. La "finzione" ci fa sperimentare l’empatia con l’eroe muto, uguale finché non ci rivela la sua diversità. Ognuno diverso agli occhi dell’altro, tuttavia simile se scatta l’avvicinamento. Per il pianeta dell’handicap e altri.




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