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Le città e gli occhi

Il magico Alvermann – Raccontare la diversità

Giunto a Fillide, ti compiaci d’osservare quanti ponti diversi uno dall’altro attraversano i canali: ponti a schiena d’asino, coperti, su pilastri, su barche, sospesi, con i parapetti traforati; quante varietà di finestre s’affacciano sulle vie: a bifora, moresche, lanceolate, a sesto acuto, sormontate da lunette o da rosoni; quante specie di pavimenti coprono il suolo: a ciottoli, a lastroni, d’imbrecciata, a piastrelle bianche e blu. In ogni suo punto la città offre sorprese alla vista: un cespo di capperi che sporge dalle mura della fortezza, le statue di tre regine su una mensola, una cupola a cipolla con tre cipolline infilzate sulla guglia. "Felice chi ha ogni giorno Fillide sotto gli occhi e non finisce mai di vedere le cose che contiene", esclamai, col rimpianto di dover lasciare la città dopo averla solo sfiorata con lo sguardo.
Ti accade invece di fermarti a Fillide a passarvi il resto dei tuoi giorni. Presto la città sbiadisce ai tuoi occhi, si cancellano i rosoni, le statue sulle mensole, le cupole. Come tutti gli abitanti di Fillide, segui linee a zigzag da una via all’altra, distingui zone di sole e zone d’ombra, qua una porta, là una scala, una panca dove puoi posare il cesto, una cunetta dove il piede inciampa se non ci badi. Tutto il resto della città è invisibile.
Fillide è uno spazio in cui si tracciano percorsi tra punti sospesi nel vuoto, la via più breve per raggiungere la tenda di quel mercante evitando lo sportello di quel creditore. I tuoi passi rincorrono ciò che non si trova fuori degli occhi ma dentro, sepolto e cancellato: se tra due portici uno continua a sembrarti più gaio è perché è quello in cui passava trent’anni fa una ragazza dalle larghe maniche ricamante, oppure è solo perché riceveva luce a una cert’ora come quel portico, che non ricordo più dov’era.
Milioni di occhi s’alzano su finestre ponti capperi ed è come scorressero su una pagina bianca. Molte sono le città come Fillide che si sottraggono agli sguardi tranne che se le cogli di sorpresa.

Italo Calvino, "Le città invisibili", Mondadori, Milano, 1993.

 

Accorgersi delle trame sommerse
commento di Cesare Padovani

Come al solito, Italo Calvino racconta attraverso o sensi, stavolta attraverso gli occhi in particolare. Se guardare è facile, è naturale, è – diciamo – fisiologico, vedere è sempre più difficile, perché è uno scovare, un guardare in profondità, un andar oltre la vista, impegno che coinvolge anima e corpo, intelligenza e sensibilità, che non ti può lasciare indifferente.

"Vedere" è essenzialmente un accorgersi, e allorquando ci si accorge, si scopre sempre il nuovo, e allora sboccia lo stupore. Stupirsi dei fenomeni anche semplici, provare interesse per l’altro, saper cogliere l’inatteso anche nel ripetersi del gesto, rintracciare trame sommerse oltre il tessuto troppo evidente, tutto questo significa non dar nulla per scontato, non adagiarsi all’ovvietà.

Il pericolo è proprio quando ci si intorpidisce, non solo nella mente ma anche nella nostra energia motoria, adottando modelli di rappresentazione precotti, ereditati dal senso comune, che, anziché funzionare da meccanismi di riconoscimento, s’irrigidiscono in stereotipi.

E’ allora che molti aspetti del vivere siano parole, gesti, comportamenti, o strade percorse, sia il fare, l’attraversare, l’incontrarsi… perdono di senso, si svuotano, e subentra l’abitudine. E’ allora che l’Altro, scontato, classificato, "re-inserito" in una delle categorie più accettabili, o nell’episodio esistenziale più rassicurante, è proprio allora che l’Altro non si vede più, e "Tutto il resto della città è invisibile".

Esiste un filo sottile che qualche autore – compreso Calvino – cerca di rintracciare dall’alba del nostro pensiero occidentale fino a quest’epoca, un ponte ideale da Parmenide a Holderlin, a Heidegger; e in questo peregrinare rintracciando, il fiuto si affina, ed è la città a venirti incontro, con i suoi giochi, le sue architetture, i suoi "altri", i suoi bagliori nel buio, i suoi capricci fino a poco fa privi di senso, i suoi sbagli, le sue insofferenze, i suoi urli sfiatati, la sua "allegra miseria"…

E, proprio in questo peregrinare, gusti l’incontro con l’Altro, come fossi anche tu un nuovo arrivato, e, "Giunto a Fillide, ti compiaci d’osservare quanti ponti diversi uno dall’altro attraversano i canali…".




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