Il magico Alvermann – Raccontare la diversità
Ero rigido e freddo; ero un ponte gettato sopra un abisso. Da questa parte erano conficcate le punte dei piedi, dall’altra le mani: avevo i denti piantati in un’argilla friabile. Le falde della mia giacca svolazzavano ai miei fianchi. Giù nel profondo rumoreggiava il gelido torrente dove guizzavano le trote. Nessun turista veniva a smarrirsi in quelle alture impervie, il ponte non era ancora segnato sulle carte. Così giacevo e aspettavo, dovevo aspettare. Una volta gettato, un ponte non può smettere di essere ponte senza precipitare. Un giorno verso sera – fosse la prima, fosse la millesima, non saprei dire – i miei pensieri erano un guazzabuglio, e facevano una ridda. Verso sera, d’estate, più cupo scrosciava il torrente, ecco che udii un passo umano! A me, a me! Stenditi, ponte, mettiti all’ordine, trave senza spalletta, sorreggi colui che ti è affidato. Compensa insensibilmente l’incertezza del suo passo, ma se poi vacilla, fatti conoscere e lancialo sulla terra come un Dio montano. Egli venne, mi percosse con la punta ferrata del suo bastone, poi sollevò le falde del mio abito e me le depose in ordine sul dorso. Infilò la punta del bastone nei miei capelli folti e ve la mantenne a lungo; probabilmente egli si guardava d’intorno con aria feroce. Poi a un tratto – io stavo appunto seguendolo trasognato per monti e valli – saltò a piedi giunti nel mezzo del mio corpo. Rabbrividii per l’atroce dolore, del tutto inconscio. Chi era? Un fanciullo? Un sogno? Un grassatore? Un suicida? Un tentatore? Un distruttore? E mi volsi per vederlo. Il ponte che si volta! Non ero ancora voltato e già precipitavo, precipitavo ed ero già dilaniato e infilzato dai ciottoli aguzzi che mi avevano sempre fissato così pacificamente attraverso l’acqua scrosciante.
L’educatore-ponte
commento di Andrea Canevaro
Chi si interessa e si impegna in un’azione "impossibile" come l’educare (se stessi, prima di tutto, o dopo tutto) ha, a volte, l’impressione di essere proprio come il ponte del breve racconto di Kafka: attende che qualcuno passi (non lo accompagnerà alla meta), si serva del ponte; e nello stesso tempo desidera un riconoscimento che porta al crollo. Il desiderio è talmente legittimo, umano, comprensibile: essere guardati in faccia, riconosciuti e con questo silenziosamente, implicitamente, gratificati! Il crollo dell’abisso sembra una crudeltà. Leggere il racconto di Kafka come un piccolo apologo, porta a rinforzare l’impossibilità dell’educare. O porta a dire che il ponte deve solo condurre, qualcuno e chiunque, dall’altra parte, come ogni buon educatore, senza nessuna pretesa di riconoscimento, rimanendo sconosciuto il passante al ponte, e il ponte al passante. Di questo, il ponte deve conoscere, e ricordare, solo la punta del bastone nelle reni, il passo pesante sulla sua schiena. Questo è costretto a conoscere e ricordare, e se non sa fermarsi precipita negli abissi. Educatore-ponte: senza ambizioni pericolosissime di riconoscimenti o di conoscere ulteriori. Fermo in un elogio della modestia e dell’ignoranza della singolarità dell’altro se non come eco. E’ proprio così? Molti racconti kafkiani fissano due elementi su uno stesso piano, costruendo un incubo da cui non si esce se non con la distruzione. Si può distruggere il ponte. Ma si può distruggere, o meglio dissaldare la saldatura che di due livelli i piani – qualcuno può dire "tipi logici" – ne ha fatto uno solo. Uscire dall’incubo distinguendo. L’impegno dell’educatore è soprattutto questo (è simile all’impegno di un lettore). C’è il momento in cui si è ponte, e c’è il momento in cui si è incontro con riconoscimento reciproco. Mettere tutto in un unico momento logico vuol dire corto circuito, crollo. Si può leggere un racconto di Kafka come un apologo dell’assurdità del tipo logico unico, assoluto, istantaneo. E’ un crollo: come in chi ritiene di poter essere, nello stesso istante e nello stesso tipo logico, capo di stato, popolo in piazza, storico di sé, storico di ogni altro, profeta… Il ponte crolla. Un educatore impazzito, come la maionese.
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