Il magico Alvermann – Raccontare la diversità

" Il primo dubbio venne solo quando aveva tre anni. Le ragazze dissero:
"E’ un ritardato", perché si muoveva a fatica, non parlava, ma balbettava, era privo di grazia, una creatura goffa. E i nostri amici esaminavano attentamente il suo aspetto, cercando di trovare dei segni chiari di ciò che non osavano esprimere.
Non ricordo bene questo periodo della sua vita. Ero occupato con i mali di sua madre, che si stava rapidamente spegnendo. Perché dopo quel tardo concepimento non c’era più lei, ma i suoi resti. Dovevamo vederla mentre si allontanava da noi, per andare nel deserto, costretta ad avanzare, da sola, tra colline aride e desolate, e sparire nella nebbia, nell’oscurita’.
Giorno dopo giorno si notava il suo cambiamento. Quando sua madre mori’, il bambino aveva sei anni. Camminava male, non era attaccato a nessuno della famiglia, viveva solo con sé stesso, ma senza essere un sognatore; assolutamente non era un sognatore. Sempre afflitto, inquieto. Se gli carezzavano i capelli si ritraeva.
Vorrei dire pietosamente: un orfano. Ma la lingua si ribella. La perdita di sua madre non gli fece alcuna impressione, anche se, per mia distrazione, venne con noi alla sua sepoltura. Non chiese mai di lei, come se avesse capito che il suo distacco era definitivo. Di più, qualche mese dopo la sua morte sparirono tutte le sue fotografie che erano in casa, e quando, dopo qualche giorno, ci accorgemmo della scomparsa, non pensammo di rivolgerci a lui. Quando lo facemmo, era tardi. Prima che fosse buio, ci portò al luogo della sepoltura; in un angolo del giardino, sotto un pioppo, tra i resti di un antico pozzo di cemento, avvolti in un vecchio straccio, c’erano i brandelli delle fotografie.
Stette a lungo davanti a noi, sotto i rami, balbettando eccitato, mentre i suoi occhietti si muovevano agitati.
Malgrado ciò la cosa non si spiegava.
Per la prima volta aprimmo gli occhi: di fronte a noi c’era un piccolo disperato. Non mi trattenni, e lo picchiai, per la prima volta. Lo presi con forza per il polso, e lo colpii dritto sul viso. Poi lo picchiarono le ragazze (perché lo picchiarono?).
Lui non capiva.
Accolse le botte con stupore. Poi cominciò a piangere, cadde a terra. Lo sollevammo e lo trascinammo a casa…
… Ma la sera a casa sono preso dalla disperazione. Sto con lui intere ore davanti al libro aperto, e non ne ottengo niente. Lui sta accanto a me, non si muove, ma le mie parole galleggiano come olio sull’acqua. Quando lo lascio andare torna in camera sua, e prepara i compiti in mesoterma. Poi chiude i quaderni, li infila nella cartella, e la chiude.
Qualche mattina, quando dorme ancora, gli apro la cartella e guardo i suoi quaderni. Rimango di sasso a vedere le risposte che scrive, fantasie, e mi spavento davanti agli esercizi di aritmetica, strani segni tracciati con applicazione, al di là della logica.
Ma non dico niente, non lo rimprovero. Mi basta che si alzi tutte le mattine per andare a scuola, senza rumore, e sieda al suo ultimo banco.
Non raccontava niente di quello che faceva a scuola. Né io glielo chiedevo.
Va silenziosamente, e silenziosamente torna. Ci fu un breve periodo, mi pare il suo quinto o sesto anno di scuola, in cui i compagni lo maltrattavano. Era come se lo avessero improvvisamente scoperto, e cominciarono a dargli fastidio. Durante l’intervallo i bambini della sua classe e le bambine, senza distinzione, gli si avvicinavano e gli davano dei pizzicotti, come se volessero vedere se esisteva davvero, se era una persona e non uno spirito dell’oltretomba. Malgrado ciò continuò ad andare a scuola, e su questo insistetti anch’io.
Dopo qualche settimana lo lasciarono di nuovo in pace.

A.b. Yehoshua, Il poeta continua a tacere, Ed. la Giuntina

La scrittura e la speranza
commento di C. M.

Un vecchio poeta che ha ormai rinunciato a scrivere ("quel che dovevo scrivere, l’ho già scritto") consegnandosi al silenzio e il figlio "diverso", isolato dalla malattia mentale. Padre e figlio rimasti entrambi senza la parola. Il romanzo breve di Yehoshua è ambientato in Israele negli anni sessanta ed è centrato unicamente su due figure solitarie e sul loro faticoso, spesso assente, rapporto. E’ il padre poeta che racconta, con tono dimesso ma efficace, la sua rinuncia alla poesia, il senso di vuoto che questa scelta ha lasciato in lui e, contemporaneamente, la storia del suo rapporto con il figlio, i tentativi, spesso falliti, per superare l’isolamento di quest’ultimo, il suo silenzio, la sua diversità.
Il poeta narra la lenta, ansiosa scoperta della malattia del figlio durante l’infanzia, il suo non-inserimento nella comunità scolastica, l’adolescenza difficile, la solitudine che, con il passar degli anni, finisce per sembrare un destino. La moglie muore, le altre due figlie si sposano, il dono della poesia a poco a poco svanisce, gli amici di un tempo si allontanano e alla fine rimangono solo loro due, padre e figlio.
Kafka diceva che i grandi libri colpiscono come un pugno e Il poeta continua a tacere è un romanzo duro, senza lieto fine, che solo a tratti lascia qualche spiraglio alla speranza, alla dolcezza del vivere. Yehoshua racconta soprattutto la difficoltà di convivere con la "diversità" (in questo caso la malattia mentale che, tra l’altro, non viene mai descritta con precisione ma solo per accenni), il faticoso e oscuro scorrere dei giorni, degli anni, i piccoli dolori, le silenziose sconfitte.
E tuttavia il poeta osserva il figlio, scrive di lui, cerca di penetrarne il silenzio e l’isolamento. Genitore e figlio sono accumunati dalla rinuncia alla parola. Chi non usa il linguaggio comune, i codici della maggioranza è destinato alla solitudine, che si tratti di un poeta un tempo famoso o di un malato.
Eppure, proprio alla fine del libro, il figlio si accosterà al linguaggio componendo faticosamente piccole poesie, brevi versi che esprimono il mondo che ha dentro, altrimenti condannato al silenzio. Il figlio ha intuito, nelle opere del padre come in altre poesie, una (possibile) via di salvezza, l’immensa ricchezza che ha in sé l’espressione artistica, la possibilità di salvarsi che accompagna lo scrivere.

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