Il magico Alvermann – Raccontare la diversità

In tal modo la vita dei ragazzi della cittadina si svolge sotto il ponte e attorno a esso, tra inutili giochi e fantasie infantili. E fin dai primi anni dell’adolescenza ci si trasferisce sopra il ponte, dove i sogni giovanili trovano altro alimento e altre sfere d’interessi, ma dove cominciano già anche le preoccupazioni, le lotte e il penoso stento della vita. Sul ponte e vicino al ponte sbocciano i primi sogni d’amore, avvengono i primi incontri casuali, i primi approcci e sussurri. Qui si svolgono anche i primi lavori e gli affari, i litigi e gli accordi, gli appuntamenti e le attese. Qui, lungo il parapetto di pietra del ponte, vengono messi in vendita le prime ciliege e i meloni, i salep (bevanda turca calda e dolce) del mattino e il pane caldo. Ma qui si raccolgono pure i mendicanti, gli storpi e i tignosi, così come i giovani e i sani che desiderano farsi vedere o vedere qualcuno, o come tutti coloro che hanno da mettere in mostra qualche frutto, qualche abito o qualche arma speciale. Vengono spesso a sedersi qui uomini maturi e ragguardevoli per discorrere intorno alle cose pubbliche e alle faccende di interesse collettivo, ma ancora più spesso i giovincelli che non hanno mente ad altro che ai canti e agli scherzi. In occasione di grandi eventi e di storiche trasformazioni è qui che vengono esposti appelli e proclami (sul muro sopraelevato, al di sotto della targa marmorea con l’iscrizione turca e al di sopra della fontana), ma qui, fino al 1878, venivano anche impiccate o impalate le teste di tutti coloro che, per un qualsiasi motivo, erano giustiziati, e le esecuzioni, in questa cittadina di frontiera, specialmente negli anni turbolenti, furono frequenti e in certi tempi, come vedremo, perfino quotidiane. Non possono attraversare il ponte né cortei nuziali né funerali senza che ci si fermi alla "porta". Qui, di solito, i convitati alle nozze si preparano e si mettono in fila prima di andare al mercato. Se sono tempi tranquilli e quieti si passano a turno la rakija (acquavite) e cantano, danzando il kolo (caratteristica danza circolare slava) e spesso si trattengono assai più a lungo del previsto. E durante i funerali coloro che portano il defunto lo depongono un po’ per riposarsi, proprio qui alla "porta", dove del resto egli ha trascorso buona parte della vita. La "porta" è il punto più importante del ponte, così come il ponte è la parte più importante della cittadina, o, come scrisse nel suo diario un viaggiatore turco che venne ottimamente ospitato dai visegradesi, "la porta è il cuore del ponte, che è il cuore di questa cittadina, che a ognuno deve restare nel cuore".

Ivo Andric, Il ponte sulla Drina, Oscar Mondadori

Slavi del sud
commento di Giovanni Catti

Ogni fiume sa sempre molte cose, le ascolta nel suo corso, e la Drina non fa eccezione a questa regola, quando passa fra la parte più grossa della città di Visegrad e il sobborgo sparpagliato lungo la strada, che conduce a Sarajevo. Basta questo nome per farci pensare dolorosamente alle differenze, alle diversità tra gli "slavi del sud". In Ivo Andric si riflettono queste differenze, queste diversità. A Travnik in Bosnia nasce nel 1882, a Visegrad trascorre l’infanzia, a Sarajevo compie gli studi medi, a Zagabria compie gli studi universitari, a Spalato è arrestato perché sospettano di essere antiaustriaco, a Zagabria fonda una rivista. Come studente universitario è a Vienna, Cracovia e Graz; come diplomatico è a Roma, Bucarest, Madrid, Trieste, Ginevra, Bruxelles, Berlino. A Belgrado, occupata dai nazisti, scrive nel 1942 e nel 1943 la storia del ponte, costruito agli ordini di Mehmed Pascià, tre secoli prima dello scoppio della guerra nel 1914. Ancora una volta qualcuno per il solo fatto di esistere mette in crisi la nostra cultura, la nostra civiltà. Non riusciamo a collocare nella nostra mente la Bosnia, Visegrad, Sarajevo, Zagabria, Spalato. Non riusciamo quindi a sapere che cosa voglia dire essere bosniaci, serbi, croati, magiari, bulgari, romeni, albanesi, turchi tra tutti questi "slavi del sud" chiamati, un tempo, jugoslavi; e tanto meno riusciamo a sapere che cosa voglia dire essere cattolici, ortodossi, mussulmani o laici nell’una o nell’altra di queste etnie. Ivo Andric, per il solo fatto di essere esistito, mette in crisi la nostra cultura, la nostra civiltà. Ma scrivendo la storia del suo ponte emette un giudizio salutare sui nostri modi di risolvere il problema del differente, del diverso. "La tua morte è la mia vita": sotto il segno di questo modo di risolvere il problema ci si racconta orribilmente l’impalazione di Radisav di Uniste, resistente alla violenza del turco venuto per costruire il ponte. "La tua vita è la mia vita": sotto il segno di quest’altro modo di risolvere il problema è esaltata liricamente la funzione del ponte. E’ da notare che in questa lirica esaltante si accenni prima di tutto a giochi apparentemente inutili, a fantasie apparentemente non meritevoli di essere espresse in parole. Gli autori di questi giochi e di queste fantasie stanno sotto il ponte, o attorno al ponte: non sopra il ponte. Poi "le preoccupazioni, le lotte e il penoso stento della vita" sospingono adolescenti e adulti sul ponte: su questo ambiguo ponte, dove non sai più bene, se la vita del differente, del diverso, sia la tua vita o la tua morte.

Continua a leggere:
Categorie: