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autore: Autore: di Edith Thoueille

6. Si può perdere la vista ma non lo sguardo: la fase dell’allattamento

Nell’ambiente della maternità, il deficit visivo suscita sempre una reazione emotiva violenta. Come si possono immaginare, apprezzare le esperienze umane e in particolare la maternità senza la visione? Come immaginare che una madre non possa vedere il viso di suo figlio?
Diventare madre quando si ha un deficit visivo vuol dire innanzitutto esporsi a una colpa sociale.
Del resto il significato inconscio della cecità è legato al peccato, alla trasgressione del divieto (Edipo diviene cieco dopo aver sposato sua madre e ucciso suo padre).
Per noi che vediamo, le immagini visuali, più che gli altri sensi, generano la maggior parte delle nostre emozioni e delle nostre repulsioni. L’occhio è l’organo della seduzione, è la sede di molteplici scambi silenziosi e di numerosi fantasmi.
La visione permette l’apprendimento a distanza del mondo, l’accesso alla curiosità, al sapere. L’assenza della visione è l’inimmaginabile che inquieta i vedenti, quelli che pensano a torto di non essere riconosciuti, quelli che non sanno in che modo entrare in contatto o aiutare le persone con deficit visivi.
Se si limita l’attaccamento umano solo a delle esperienze visuali, se si dà importanza solo alla visione senza dissociarla dallo sguardo, sicuramente faremo molta fatica a comprendere la natura dei legami madri/figli.
La madre non vedente che allatta il suo bambino sviluppa delle strategie che non faranno di lei una partecipante solo passiva all’azione di nutrimento.
Il suo viso traduce la sua emozione interiore, è mobile, lei sa sorridere, sa emettere delle vocalizzazioni differenziate.
Il suo sguardo è carico di affetto, poiché lo sguardo è la dimensione affettiva della visione.
Si può perdere la visione, ma non si perde mai lo sguardo. Esso è sempre guidato dal suono, dall’intuizione, dalla massa corporea.
Capita a volte che certe madri non guardano. È lì allora che interviene il nostro ruolo, per insegnare loro a guardare. Poiché non è facile rifare qualcosa che è stato loro proibito fin da quando erano piccole. È il caso di Bouchera, per esempio, una mamma magrebina, alla quale sua madre e la sua famiglia hanno sempre raccomandato di chiudere gli occhi o di abbassare la testa perché i suoi occhi non erano belli…
Il modo in cui il bambino è portato in braccio, il modo in cui è manipolato, il modo in cui la madre gli dà il seno o il biberon, determina la qualità del ruolo materno. Questa qualità l’ho spesso trovata nelle madri non vedenti.
Se noi non ci fidassimo del fatto che un riequilibrio sensoriale permette alla mamma non vedente una percezione molto fine dei bisogni di suo figlio, e se non trasmettessimo a queste donne tale fiducia, il pensiero “operativo” e il pensiero “simbolico” della madre sarebbero gravemente compromessi. La madre che non vede si auto-analizza molto, si auto-critica in base a delle proprie referenze, ma questa analisi è spesso fonte di sofferenza, manca l’ascolto da parte degli altri e uno sguardo benevolo verso se stessa. Per la mancanza di insegnamenti appresi anche dalla semplice visione di altre madri, i giudizi che la madre non vedente va a elaborare su se stessa sono spesso negativi.
Nonostante l’immagine idilliaca dell’allattamento sia presente in un’abbondante iconografia e descritta in letteratura, alcune madri non vedenti si rifiutano di allattare al seno, proprio perché è inconcepibile per loro la rappresentazione dell’allattamento materno. Bisogna allora convincerle con frasi un po’ rudi: “Come pensate allora di fare, visto che non ci vedete, a preparare il biberon?”.
È violento colpevolizzare le madri che non vogliono o non possono allattare? È crudele stigmatizzare il loro deficit ponendo l’accento sulle difficoltà materiali? Forse, ma si dovrebbe anche pensare a tutto l’investimento che la madre deve mettere in atto per scegliere il materiale necessario alla “confezione” di un biberon.
Ad ogni modo quello che emerge è che il biberon, dallo status di cosa, passa allo status di oggetto caricato di emozioni tattili.
Sia che si allatti al seno, che col biberon, la percezione tattile è sempre presente: la mano libera accarezza, palpa con tenerezza il viso del neonato alla ricerca della bocca. Inoltre la madre è particolarmente attenta ai diversi suoni della poppata: sa distinguere perfettamente la deglutizione, il rigetto, i rumorini d’aria, le fuoriuscite di latte. Anche la valutazione del peso informa sulla necessità di frenare un bambino troppo goloso.
Queste attenzioni vengono accompagnate da un “involucro” fatto di vocalizzi teneri e che infondono sicurezza al neonato.
Diderot diceva “Le persone cieche illuminano il nostro sguardo”, io dirò modestamente che le madri non vedenti illuminano meglio la mia visione interiore e il mio pensiero.
(traduzione a cura di Valeria Alpi)

La maternità “visionaria”

Edith Thoueille è puericultrice e responsabile del Centro Protection Maternelle et Infantile (PMI) di Parigi, inserito all’interno del tradizionale Institut de Puériculture et de Périnatalogie (IPP). All’interno del PMI, Edith ha inoltre istituito da oltre vent’anni il Service Périnatal d’aide à la parentalité des Personnes Handicapés (SPPH), specializzato nell’aiuto alle future mamme non vedenti.

La creazione del servizio di accompagnamento SPPH presso il Centro Protection Maternelle et Infantile di Parigi risale al 1986, quando una puericultrice del settore ci ha indirizzato Anne, una mamma non vedente dalla nascita, e sua figlia, indenne dal deficit visivo. Come potevamo aiutare questa giovane mamma? Ingenuamente cercai di chiudere gli occhi per tentare di immaginare un nero infinito… la cecità. La mia reazione di allora, legittima in quel momento, oggi mi fa sorridere: il mondo di Anne non è in nero, del resto lei non sa cosa questo colore rappresenta, non ha mai visto i colori, il nero come il rosso. La nostra ignoranza sull’handicap era totale!
Abbiamo preso quindi contatto con l’Associazione Valentin Haüy e la nostra interlocutrice, Claudette Saonit, consulente in gestione sociale e familiare, felicissima di questo nostro passo, ci invitò a incontrare alcuni genitori. Ogni coppia ci raccontò la propria storia: dal desiderio di un figlio, al vissuto della gravidanza, alla nascita. Alcuni racconti erano strazianti: al di fuori dello spazio associativo, queste persone vivono la realtà della solitudine e della incomprensione. Niente viene loro risparmiato. Una giovane donna ci confidò la sua tristezza nel vedere associata la sua cecità a un deficit intellettivo. Isabelle viveva male la scarsa conoscenza che hanno le persone vedenti dei suoi bisogni, ma anche delle sue gioie: “Si può essere ciechi e felici, il nostro handicap l’abbiamo addomesticato da parecchio tempo”. Chaba, molto in collera, diceva che non sopporta che quando si trova nei negozi e pone delle domande, i commessi rispondono alle persone che l’accompagnano: “Non sono sorda, possono parlare direttamente con me!”.
Dopo questa riunione, abbiamo deciso di ritrovarci una volta al mese presso l’Istituto di Puericultura, per affrontare differenti temi, come lo sviluppo psicomotorio del bambino, soffermandoci soprattutto sull’importanza del sorridere rivolti al bambino, del toccare, della voce, dell’allestimento colorato dello spazio.
Una mamma cieca è capace di “accarezzare” con gli occhi il suo bambino.
Le stesse madri sottolineano molto bene questa nozione dello sguardo, quando come Giselle dicono: “Quello che apprezzo di più qua all’Istituto è il fatto che mi si guardi”.
Si contano in Francia circa 60.000 ciechi e un milione di persone ipovedenti; a partire da queste cifre è impossibile determinare il numero di adulti che sono diventati genitori o che potenzialmente potrebbero diventarlo. Creando questi incontri, noi pensiamo principalmente a rispondere a delle questioni pratiche. Non per sostituirci ai genitori, ma per cercare insieme la soluzione più adatta alle aspettative di ciascuno.

Puericultura adattata
Per realizzare tutto ciò abbiamo utilizzato tutti i supporti possibili:
–    testi riscritti in Braille (questo non è possibile per tutti i temi, essendo la ritrascrizione troppo voluminosa: per una pagina di scrittura normale occorrono infatti quattro pagine in Braille);
–    registrazioni audio dei vari temi come la prevenzione degli incidenti domestici;
–    video con audio commento;
–    calibrazione delle siringhe;
–    preparazione delle etichette in Braille;
–    adattamento dei giocattoli affinché i genitori partecipino direttamente alle diverse scoperte fatte dal bambino;
–    preparazione del “buon” e del “cattivo” corredino, al fine di evitare gli indumenti che presentano troppi lacci da manipolare per preferire il velcro o i bottoni a pressione;
–    consigli per l’allestimento dello spazio del bagno e del fasciatoio.

Per ogni donna che inizia una gravidanza proponiamo anche delle sessioni di “puericultura adattata”. In media sei sessioni di tre ore, cui si aggiungono due sessioni di preparazione all’allattamento, e una sessione di manipolazione dei diversi materiali (biberon, sterilizzatore, misurini per il latte in polvere, ecc.), e infine una sessione per imparare a portare la fascia porte-enfant. In totale dieci sessioni di puericultura adattata, ripartite prima della nascita del bambino e seguite anche dopo l’arrivo del bambino.
Inoltre la dimostrazione di alcune cure in una sorta di svolgimento a tre (il bambino, la mamma e la puericultrice).
C’è stato bisogno di micro-analizzare attentamente tutti i nostri gesti per poterli meglio descrivere e trasmetterli.

In queste dimostrazioni, la futura madre prende coscienza di quello che può fare per acquisire una certa autonomia, e anche limitare così la differenza che sente rispetto a una madre che vede. Dobbiamo quindi essere in grado di darle gli strumenti perché riesca a fare questo passaggio.
Di solito si tratta di strumenti molto pratici, ma certe volte ci capita di dover convincere queste madri, con dolcezza, dell’irrealismo di certi desideri, come per esempio voler spingere un passeggino sui marciapiedi. Durante queste sessioni cerchiamo di far accettare alle madri i propri limiti. In casi più seri ricorriamo al versante della psicoterapia con dei nostri esperti.

Le nostre conoscenze si basano sulla pratica del gruppo di auto-aiuto delle madri e dei genitori non vedenti. Il gruppo è composto da una quindicina di famiglie che si incontrano ogni mese per due ore. All’interno partecipano anche, quando possono, i parenti vedenti o non, e i bambini appena nati o che devono nascere (certe donne partecipano durante la gravidanza). I cani sono accucciati in mezzo o nelle vicinanze. Spesso ci sono anche degli ospiti invitati, come gli accompagnatori o altri specialisti dell’handicap.
 
Ci sono anche capitati vari aneddoti, e abbiamo avuto situazioni inconcepibili in altri reparti tradizionali. Ad esempio immaginate nella stessa camera, e nello stesso tempo, i due genitori, il neonato e… due labrador!
Le nostre équipe si sono adattate ad avere la stessa qualità di relazione tra mamme “tradizionali” e mamme non vedenti.
Qua non ci poniamo tanti problemi se la testina del biberon va a finire un po’ troppo vicina all’orecchio del neonato, né sgridiamo la mamma se tocca con le dita la testina del biberon. Il servizio di dietologia informa le madri sui metodi di sterilizzazione più appropriati, sulla scelta del biberon, della testina, ecc. Per quelle madri che non desiderano allattare (ma sono casi rari), sollecitiamo i laboratori per ottenere del latte liquido e non in polvere.

Nel nostro Istituto, la dottoressa Marie Anne Lepez, pedopsichiatra, ricevendo precocemente le future mamme, le aiuta anche a formulare tutte le paure e inquietudini derivate dal conflitto del desiderio di essere “una madre ideale”, a gestire gli effetti dolorosi che derivano dal ricordo di una infanzia fatta di dipendenza, a resistere ai commenti violenti e che feriscono della famiglia e dell’entourage in senso largo.
Nella maggioranza dei casi, da quando una donna cieca annuncia ai suoi cari di essere incinta, si espone a una serie di commenti devalorizzanti: “Come farai? Non ce la farai mai! E se tu trasmettessi il tuo deficit al bambino? Quando si è già ciechi, perché complicarsi ulteriormente la vita con un figlio?”.
Alcune colleghe, animate dal nostro stesso spirito, si sono rese disponibili all’ascolto, non esitando ad assicurare l’accompagnamento di queste madri dove si rivela necessario, e a preparare il ritorno a casa affinché sia realizzato nelle condizioni più adeguate possibili.
Il bagno, momento di piacere condiviso tra la madre e il bambino, può diventare un vero incubo per una mamma cieca. L’allestimento del bagno e della cameretta deve essere fatto prima della nascita sia dalla nostra équipe sia dalla puericultrice del settore.
La difficoltà di prendersi cura è tale, proprio per il deficit visivo, che anche l’uso delle parole con loro diventa difficile.
Banalizzare l’handicap di queste madri non è il mio obiettivo, perché esso rende quotidianamente la loro vita più complicata della nostra: il mondo è stato predisposto per degli individui che vedono. Ma nonostante tutto, mi piace considerarle come delle visionarie, che hanno la loro maniera specifica di guardare il mondo e il loro bambino, e soprattutto di arricchire coloro che le guardano e sanno ascoltarle con un’attenzione particolare.

(traduzione a cura di Valeria Alpi)

Per saperne di più sul Centro Protection Maternelle et Infantile (PMI) di Parigi:
www.ipp-perinat.com