Skip to main content

autore: Autore: esperta in Comunicazione presso Linear srl

IL GRANDE SCHERMO/Appunti su L’isola dei sordobimbi

Questo testo nasce da alcune riflessioni, in seguito alla proiezione de L’isola dei sordobimbi, al Cinema Lumière di Bologna. Quella proiezione è stata la prima accessibile a persone con deficit della vista e dell’udito, ed è frutto di una di una collaborazione, attiva dal 2010, tra la Cooperativa Accaparlante e la Cineteca di Bologna. Il primo evento accessibile a disabili sensoriali in ambito regionale prevedeva sottotitoli per non udenti e audiocommento per non vedenti, quest’ultimo prodotto da Accaparlante stessa col supporto tecnico di EVM Service. Anche il dibattito a margine della proiezione era accessibile grazie a un interprete di LIS. La serata ha registrato 200 presenze e oltre un terzo degli spettatori era costituito da disabili sensoriali.

L’Isola dei sordobimbi è un film molto bello dal punto di vista cinematografico, ci sono immagini e musiche che emozionano e colpiscono. Non è un caso che il lungometraggio sia stato selezionato tra i cinque film che hanno partecipato al Premio David di Donatello 2010 come “miglior documentario”. Mi hanno colpita inquadrature e accorgimenti visivi in particolare quando ho visto il film senza sonoro durante un viaggio in treno. Ho potuto godere poi il ritmo sia visivo che sonoro quando l’ho rivisto con un gruppo di colleghi e amici di Arcipelago Sordità, proiettato su uno schermo presso la Biblioteca Zara di Milano. La sinestesia, ossia la possibilità che la stessa arte cinematografica offre di percezione attraverso diversi canali sensoriali, è molto importante per me, che vivo fin da neonata (sono nata nel 1967) con una grave disabilità uditiva.
La mia sordità – preferisco definirla ipoacusia – che percepisco da adulta come una “realtà amica”, attualmente è ben compensata da tecnologie per udire molto avanzate. In realtà, nel mio percorso di crescita verso l’autonomia, sono stati molteplici i fattori, non solo quelli tecnologici, che mi hanno aiutata fin dai primi anni ’70 a superare gli ostacoli legati al mio deficit sensoriale. Primo fra tutti l’amore e il sostegno intelligente dei miei genitori e della famiglia tutta, nonché il supporto ricevuto da persone competenti e sensibili incontrate lungo il mio percorso di vita, di studio, di lavoro e di impegno civile.
L’“arcipelago della sordità” ho iniziato a scoprirlo relativamente tardi, dopo i trent’anni. Non immaginavo che fosse così vario e che presentasse al suo interno tante e tanto grandi differenze, che ho avuto modo di conoscere e approfondire nei miei percorsi di lavoro e di ricerca. Si incontrano persone con ipoacusia cosiddette oraliste e sordi segnanti; chi è protesizzato e chi invece impiantato… così come chi non utilizza alcun ausilio. Ma trovo che simili distinzioni e codificazioni non dicano fino in fondo la ricchezza e pluralità dei percorsi possibili. Ognuno ha il suo nome e una storia da raccontare. Arcipelagosordita.it è il nome di un sito, curato da Enrica Répaci, a cui ho contribuito fin dalla sua nascita, nel 2007, in cui tra le altre cose sono raccolte anche numerosi, diversi racconti di vita. Se questo film l’avessi visto senza aver intrapreso questo viaggio attraverso l’arcipelago della sordità, mi sarei sicuramente arrabbiata, da ex-alunna cresciuta nella scuola “normale”, “di tutti”, con l’esperienza molto forte, direi fondamentale per il mio sviluppo, dell’integrazione scolastica sancita dalla legge 517 del 1977 che, con la legge Basaglia, la famosa 180/78, ha reso l’Italia un modello a livello internazionale nel riconoscimento e nella tutela dei diritti delle persone “diverse”. Nel nostro Paese sono state ricercate e sviluppate forme innovative ma al contempo “normali” di risposta ai bisogni delle persone con disabilità e con malattia mentale, coinvolgendo i territori e le comunità, quindi la società tutta, superando le condizioni di isolamento in cui si trovavano costantemente rigettati, nel bene e nel male, gruppi sociali “diversi”. Ma è anche vero che, per alcune famiglie, scuole come quella filmata nel documentario L’isola dei sordobimbi rappresentano tutt’oggi una risposta ai bisogni dei loro figli sordi. Conobbi una madre di bambini che la frequentano che mi disse come fosse una scuola valida per i suoi figli, originari da una famiglia in cui entrambi i genitori erano “segnanti”.
Dopo aver volato sulle ali del gabbiano chiamato Emanuelle Laborit; conosciuto i “figli di un Dio minore”, famoso film degli anni ’80 con Marlee Matlin; visto voci a Martha’s Vineyard, isola del Massachusetts (anche quella un’isola!) accompagnata nel mondo dei sordi dal neurologo Oliver Sacks; partecipato all’avventura di Daniela Rossi, una madre che ha raccontato la sua esperienza con il figlio sordo nel “mondo delle cose senza nome” romanzo che è stato trasposto in opera di teatro e in film per la televisione; seguito le storie senza parole, fatte di sguardi profondi e discreti in cui tutto è immaginabile, raccontate da Miguel protagonista di un libro di Antonio Ferrara; amato Kimu che sente con gli occhi e attraverso la pelle il trillo delle cose in una storia d’Africa di Emanuela Nava; scoperto con senso di meraviglia la “terra di silenzi” narrata da Mirella Bolondi; ascoltato emozionata le musiche della percussionista Evelyn Glennie, del pianista Daniele Gambini e conosciuto altri protagonisti “sordi” del mondo artistico, ora l’“isola dei sordobimbi” rappresenta per me un’altra nuova interessante scoperta nel molteplice, variegato, direi complesso oltre che affascinante arcipelago della sordità, in cui si scoprono, mettendosi in viaggio con uno spirito di ricerca ed esplorazione, sempre nuove isole.
L’Isola dei sordobimbi mi ha ricordato un altro film che vidi un 3 dicembre, in occasione della Giornata internazionale delle Persone con Disabilità, in un’aula magna di un Liceo artistico a Milano gremita di studenti, che mi ha ugualmente commosso e fatto riflettere: Rosso come il cielo. Vi si narra la storia vera di uno dei grandi montatori del suono del cinema italiano, che è una persona che ha perso la vista da bambino. Per questo motivo Mirco Mencacci a 8 anni nel 1971 venne “sradicato” dalla sua terra e dalla sua famiglia per essere portato in un grande Istituto per ciechi. In questa “isola”, passando molte traversie, riceve vero sostegno: da un amico che gli offre fraternità, da un sacerdote lungimirante che lo sostiene nella sua ricerca di una nuova modalità comunicativa e da una bambina da cui riceve tenerezza, e così sboccia la sua enorme abilità a lavorare con quelli che io amo definire i “paesaggi sonori”. Oggi – cosa impensabile fino a qualche decennio fa – è possibile anche per le persone con sordità scoprire questi “paesaggi sonori” pure in età adulta, grazie all’avanzamento delle tecnologie, sostenuti da apparecchi avanzati come quelli che porto e, quando necessario, da impianti cocleari.
Ci sono sì analogie, ma anche differenze tra Rosso come il cielo e L’isola dei sordobimbi. Entrambi girati in cosiddette “scuole speciali”, trattano, oltre che mondi riguardanti disabilità differenti, periodi storici diversi; inoltre, in uno c’è il moto del cambiamento, nell’altro l’apparente immobilità di modi e gesti educativi che si perpetuano nel tempo, senza subire grandi scossoni.
Emerge il tema dell’educazione speciale. È un tema attuale, entro un dibattito politico aperto anche nel nostro Paese, con la crisi del welfare state. L’Italia rappresenta uno dei pochi Paesi al mondo in cui moltissimi alunni con diverse abilità oggi definiti “con disabilità” sono stati prima inseriti, poi integrati (oggi si direbbe “inclusi”) nella scuola di tutti. Ma oggi di questo sistema vengono denunciate molte crepe in un mondo profondamente cambiato in cui principi di solidarietà e senso di responsabilità sembra che si affievoliscano e soprattutto in presenza di violenti tagli economici, quindi intorno al tema si è aperta una riflessione culturale e politica.
Nel mio percorso di apprendimento della parola, un ruolo essenziale l’hanno giocato i miei genitori sapientemente guidati, oltre che da immenso amore, dalla logopedista. Da bambina facevo una grande fatica a far uscire la voce dal mio petto, ma il percorso è stato vissuto da me come un meraviglioso gioco. Attraverso i cosiddetti “cartoncini” preparati da mamma e papà, immagini belle – in molte delle quali si specchiava il mondo della mia infanzia e quindi le esperienze vissute – e parole scritte sono confluite nella formazione del mio linguaggio. Tutt’oggi la parola scritta per me ha un’importanza cardinale. Quando odo una parola per me nuova, per fissarla nella memoria, così come per ricercarne ogni possibile significato, consulto vocabolari di lingua ed etimologici, dizionari dei sinonimi e dei contrari. Consultando anche questa volta il vocabolario, nel tentativo di indovinare il motivo per cui chi ha realizzato questo film abbia scelto di usare la parola “isola”, sono andata a cercarmi il suo significato nel dizionario Sansoni dei sinonimi e contrari.
Primo significato di “isola”: oasi, rifugio, luogo sicuro. Tutto questo dal film emerge chiaramente, il regista Stefano Cattini ha saputo in modo sapiente far uscire la poesia racchiusa in questo “piccolo mondo antico” in cui i bambini si sostengono a vicenda. Un microcosmo in cui si respira e si vive ancora un clima di condivisione e di solidarietà reciproca.
Secondo significato di “isola”: territorio isolato, area staccata, quindi separata. In un luogo simile vengono meno, almeno in apparenza, gli scambi con il mondo esterno.
I “sordobimbi” appaiono abbandonati quasi fossero degli orfani… come qualcuno del gruppo di colleghi con i quali ho visto il film ha creduto fossero sul serio.
Il picnic organizzato dalla maestra a fine anno scolastico avviene dentro il “recinto” dell’istituto. Anche in occasione delle feste, delle esibizioni degli scolari dell’isola dei sordobimbi non si vedono genitori e i fratelli. È un “piccolo mondo antico” in cui il padre di tutti è quello nei cieli, mancano figure maschili! E le figure materne dominanti sono suore a cui i bambini devono l’ubbidienza da rivolgere a un “capo”. La relazione e la comunicazione con l’altro poggia le sue basi sulle esperienze di incontro e di relazione dell’infanzia… quindi le tipologie di relazione che vivono i piccoli protagonisti del film fanno proprio riflettere. Tra le scene che colpiscono maggiormente ce ne sono anche alcune che procurano tristezza, addirittura angoscia. Sono per esempio quelle in cui Ivan chiama sconsolato la mamma. È separato dalla mamma, meno male che ci sono i compagni più grandi che gli offrono con semplicità e naturalezza sostegno: “La mamma poi viene”…
I genitori e i familiari dove sono? Come mai il legame con il mondo esterno, il passaggio dei bambini dall’isola alle loro famiglie e agli ambienti di origine non è stato documentato?
In una “scuola speciale” mi aspetto che siano particolarmente curati i momenti di extrascuola, più volte è ripresa la camerata dei bambini, ci sono momenti ludici di spettacolo e di divertimento… ci sono i tempi del gioco mentre è del tutto assente il momento dei pasti. Compaiono in una scena solo delle uova, non recuperate insieme ai bambini, come mi sarei aspettata, in un vicino pollaio essendo la scuola in campagna (e alcuni bambini vengono da città), bensì usate in aula per imparare cosa siano il tuorlo e l’albume e per cuocerle strapazzate… su un fornelletto da campeggio, invece che nella grande cucina dell’istituto. Non solo vista e tatto, anche gusto e olfatto si sviluppano particolarmente in presenza di un deficit sensoriale uditivo.

Ne L’Isola dei sordobimbi, specialmente nella seconda parte del film, emerge la bellezza della comunicazione globale di voce e soprattutto segni ed espressione corporea. Non a caso ai bambini si fanno vivere esperienze in cui la percezione funziona principalmente attraverso la vista: circo, teatro delle ombre… È privilegiato il canale visivo oltre che tattile anche nel faticoso percorso di apprendimento del linguaggio orale di Noemi, Loriana, Ivan (e degli altri) con strumenti e metodi logopedici. Non emerge il lavoro di allenamento acustico che oggi è sempre più facilitato dall’utilizzo di strumenti per udire sofisticati e da strategie e metodiche anche molto diverse – alcune usano la voce modulata e cantata oltre che la musica – che favoriscono l’apprendimento del linguaggio. Per i bambini su cui si sofferma la telecamera (Ivan, Loriana e Noemi) gli esercizi a cui sono sottoposti, anche in aula con la maestra, appaiono molto pesanti. Soprattutto sembra che siano proposti esercizi meccanici, in particolare dalle suore che perpetuano gesti e parole “antichi”, come antiche sono le regole che governano la vita di un ordine religioso.
Mi ha commossa la scena in cui l’assistente alla comunicazione dal volto angelico – per un attimo scambiata per la madre – stabilisce una comunicazione intensa fatta di sguardo, voce e gestualità con Loriana che la incorona così principessa, e lei stessa finalmente si sente una principessa… molto diversa dalla Loriana che fa gli esercizi davanti allo specchio.
Credo che, a seconda del grado di conoscenza e partecipazione dello spettatore al mondo della sordità, il film provochi emozioni e pensieri differenti.
Il film smuove diverse parti di me. Come “sordobimba” non conobbi altri bambini in condizione simile alla mia, se non in età adulta. Sono cresciuta con l’idea che la mia ipoacusia fosse una delle tante diversità, particolarità possibili, a cavallo fra culture, ambienti, esperienze differenti… Sono stata educata alla consapevolezza che la fragilità e il limite siano costitutivi dell’esperienza umana. Mi sento cittadina del mondo, in una società sempre più multietnica e multiculturale. Un mondo che è fatto di diversità che ci arricchiscono.

L’isola dei sordobimbi
(Italia, 2010)

Durata: 80’
Regia: Stefano Cattini
Sceneggiatura: Stefano Cattini e Giusi Santoro
Montaggio: Giusi Santoro
Musiche Originali: Enrico Pasini e Like a Shadow?
Direttore della fotografia: Stefano Cattini
Assistente di produzione: Michela Maur
Produzione: Doruntina Film e Giusi Santoro
in collaborazione con Associazione Culturale Sequence