L’abbandono educativo
La mancanza di istruzione, o la sua inadeguatezza, é allo stesso tempo causaed effetto di esclusione sociale: le statistiche confermano il senso comune ecioè dimostrano che chi proviene da "ambienti" più deboli ha piùprobabilità di abbandonare la scuola e che chi ha abbandonato la scuola o haraggiunto basse competenze ha più difficoltà ad inserirsi nel mercato dellavoro e a rimanerci (1). Ne consegue che le politiche educative dovrebberocostituire una delle parti fondamentali delle politiche indirizzate a recuperarelo svantaggio e contrastare l’esclusione sociale.
Quanto di questa consapevolezza, che fu finalmente acquisita ormai più di duedecenni fa – e che ispirò una stagione di passioni e grandi cambiamenti – éancora oggi presente nel dibattito politico, sociale ed educativo? Quanto lepolitiche nel campo dell’istruzione tendono oggi ad incoraggiare e sostenerel’accesso e la permanenza efficace nel sistema scolastico dei gruppi piùsvantaggiati?
L’ABBANDONO EDUCATIVO
C’era una volta .
"La scuola ha un problema solo: i ragazzi che perde" . E piùavanti: "Non c’è nulla di più ingiusto che far le parti uguali tradisuguali" (cioè: non potenziare l’offerta e gli strumenti per chi ha piùbisogno o per chi non può pagarsi il di più, significa registrare ledifferenze sociali e di censo e non riequilibrarle). Sono due delle affermazionifatte dai ragazzi di Don Milani in "Lettera ad una professoressa", nel1967: una netta denuncia di una scuola democratica nella forma e"classista" così si diceva allora- nei fatti. Denuncia che, tanto percitare solo un altro dei classici di allora, trovava sociologica conferma in unaricerca (Barbagli-Dei, 1971) che definiva gli insegnanti come "Le vestalidella classe media", cioè come coloro che assolvevano, più o menoinconsapevolmente, il ruolo di selezionare i giovani in base al loro ceto diappartenenza.
Seguì ampio dibattito.
La scuola diventò il centro di interesse non solo degli addetti ai lavori, madi tutta la società che chiese di entrarci, cambiarla e controllarla: sonodegli anni ’70 i decreti delegati (cioè la partecipazione delle famiglie allagestione scolastica) e numerose iniziative di sperimentazione, sostegno erecupero (integrazione degli handicappati, 150 ore, scuola a tempo pieno,elaborazione di nuovi programmi… solo per citarne alcune).
Oggi: progressi, regressi, persistenze
La frequenza alla scuola dell’infanzia, concepita proprio in quegli anni come"statale", cioè come percorso formativo e socializzante chepermettesse di ridurre le disuguaglianze prima dell’ingresso nella scuoladell’obbligo, é passata dal 60% degli anni ’60 ad oltre il 90% degli anni ’90;i tassi di scolarizzazione nella fascia dell’obbligo raggiungono ormai("ormai"?) l’universo della fascia 6-14 anni (anche se continuano apermanere sacche di disagio e ritardi: uno studente su dieci ripete almeno unaclasse nella scuola dell’obbligo).
I guai seri iniziano dopo. E’ nei primi due anni della scuola media superioreche si concentrano le percentuali più alte di abbandoni, ripetenze ecambiamenti di indirizzo scolastico.
L’effettiva attuazione dell’obbligo scolastico sembra cioè essere stataottenuta più grazie alla responsabilità delle famiglie e alla rinuncia allebocciature, che grazie alla capacità della scuola di condurre efficacementealla licenza media i propri allievi. Infatti, come i dati dimostrano, è oggi lascuola media superiore che si fa carico di selezionare all’ingresso chi non siastato adeguatamente selezionato in uscita dall’obbligo: sebbene il 90% siiscriva alle superiori, più del 20% abbandona nei primi due anni (si va dal 10%del classico al 40% del professionale) (2). La scuola superiore, poi,costituisce ancora un sistema fortemente stratificato in termini di classesociale: é altamente improbabile che un ragazzo di classe medio-alta si iscrivaad un istituto tecnico-professionale, mentre a questo tipo di scuola accedono lamaggior parte di quanti provengono dai ceti sociali più svantaggiati e chehanno avuto difficoltà nella scuola dell’obbligo.
Più che un reale recupero dello svantaggio nella scuola obbligatoria, sembradunque prefigurarsi una più ritardata certificazione sociale dello stesso, unasorta di "selezione differita" nei primi anni delle superiori.
Perciò, se é vero che negli ultimi decenni si é assistito ad una"scolarizzazione" di massa (3), non si può certo ancora parlare direale e riuscita "istruzione" di massa. Il fatto che i ragazzi stianooggi sui banchi più che nel passato ci può confortare, ma il fatto che ancoratroppi si alzino da quel banco prima del tempo (e senza aver avuto la formazionenecessaria per inserirsi a pieno titolo in una società così complessa) cisegnala che per quanto attiene al contenimento e all’inversione dei fenomeni diabbandono e di esclusione sociale molto ci sia ancora da fare, anche se pare unpo’ fuori moda parlarne.
Nonostante le ricche elaborazioni pedagogiche e le sperimentazioni, le politicheistituzionali riguardo al disagio, all’abbandono ed all’esclusione sono rimastesostanzialmente carenti. La storia della scuola italiana, riguardo questiaspetti (ma non solo), é costellata di una lunga serie di riforme mancate,parziali o insufficienti, come i risultati spesso si curano di dimostrare.
Accenneremo soltanto ad alcuni aspetti, tra i tanti, che sembrano incidere neldeterminare quello che é oggi lo scarso risultato della nostra scuola rispettoai molti e troppi "ultimi".
Cerchiamo un ordine, cominciando dalle elementari.
Alla ricerca del tempo pieno
L’unica sperimentazione tentata a livello nazionale con l’esplicita finalitàdi fornire uno spazio organizzato e ricco ai bambini provenienti da ambientideprivati – la scuola elementare a tempo pieno – dopo un periodo "diprova" durato due decenni, è stata "congelata". Con l’avventodel "modulo" (che al di là dei giudizi di merito e della sensibilitàdegli insegnanti, non sembra avere tra le sue priorità quello di contrastare iprocessi di esclusione scolastica) non é oggi più possibile aumentare ilnumero delle sezioni di tempo pieno (nonostante la forte richiesta sociale).Questo appare piuttosto grave soprattutto in considerazione del fatto che iltempo pieno é meno presente proprio nelle zone in cui più potrebbe acquisireuna valenza preventiva rispetto agli abbandoni, tenendo i ragazzi lontano dallastrada: al Sud é limitato all’8% delle sezioni contro il 20% del Nord (4).
L’unica misura che coniuga esplicitamente la questione di come sostenereconcretamente, tramite azioni positive, i diritti di una categoria svantaggiata,riguarda l’inserimento dei bambini disabili (leggi 517/77 e 104/92). Tuttaviaanche questo intervento sembra aver progressivamente subito un rallentamento senon un’involuzione: da un lato sono notevolmente diminuiti gli insegnanti disostegno e le deroghe dal rapporto 1/4, dall’altro sembrano essere sempre piùfrequenti i casi in cui l’inserimento si riduce ad un’iscrizione formale, mentrein realtà il bambino passa la maggior parte del tempo impegnato in attivitàcon il "suo" maestro ed in locali separati da quello della "suaclasse.
I nuovi disagi
La scuola non si trova neppure attrezzata di fronte ai nuovi bisogni, cioèai nuovi problemi di integrazione e di sostegno posti dai bambiniextracomunitari. Se da un lato é pronta ad accoglierli in nome del dirittouniversalistico di cittadinanza, dall’altro – al di là di iniziative di singolescuole od insegnanti – non li fornisce degli strumenti necessari ad un’adeguatafruizione dell’esperienza scolastica (sostegno nell’apprendimento linguistico,forme di accompagnamento e mediazione interculturale, ecc.) .
Un’altra forma di disagio e potenziale rischio di esclusione sociale, che éstata riconosciuta dalla scuola negli anni più recenti, é legata all’uso delladroga e della tossicodipendenza. All’inizio degli anni ’90 sono stati lanciati i"progetti ragazzi" e i "progetti giovani" (che godonoperaltro di scarsi finanziamenti); tuttavia appare paradossale che questaattenzione sia giustificata in termini di prevenzione dell’uso della droga,mentre l’esistenza della dispersione scolastica e del disagio nella scuola nonriescono a mobilitare altrettanta attenzione e riflessione critica. La mancanzadi attenzione istituzionale per tali problemi é segnalata anche dal fatto cheil surplus di docenti creatosi a motivo del calo demografico non é stato quasimai utilizzato per attività in questo campo, anzi, di finanziaria infinanziaria, si procede a tagliare gli organici e ad aumentare il numero deglistudenti per classe.
Tra le riforme mancate che hanno un particolare peso per il fenomeno diesclusione dall’istruzione, possiamo annoverare anche la mancata riforma dellascuola superiore e l’innalzamento dell’obbligo a sedici anni (riforma di cui siparla da trent’anni ed approdata per ben tre volte ad uno dei rami delParlamento, per poi ripartire da zero al momento di nuove elezioni). Anche lamancanza di un autentico e serio canale di formazione professionale contribuiscea lasciare senza alcuna formazione coloro che abbandonano la scuola prima diconseguire un diploma.
Ma, analizzando la situazione della scuola superiore, il discorso diviene piùcomplesso. Alla persistenza di un disagio "di classe" (che i daticonfermano), sembrano oggi sommarsi altri fattori come la mancanza di interesseper contenuti avvertiti come troppo "lontani", la percezione dellacaduta di centralità della scuola come valida agenzia formativa, il desideriodi entrare rapidamente nella vita attiva nella consapevolezza che gli annipassati a scuola siano "buttati"; ciò spiegherebbe come gli abbandoninell’ultimo decennio, riguardino anche quote, più alte che nel passato, digiovani provenienti da condizioni sociali medio-alte. Per questi ragazzi,tuttavia, la famiglia é spesso in grado di allestire percorsi formativiprivatistici e opportunità formative ritenute più idonee della stessa scuolapubblica. Il pericolo è che la scuola penalizzi due volte – non riuscendo adare né sostegno, né motivazioni – proprio coloro che usufruiscono meno delnecessario sostegno familiare nel loro percorso formativo.
Abbandono scolastico o abbandono educativo?
Il fenomeno della dispersione scolastica è l’indice di una inquietantecarenza del sistema scolastico italiano. E’ la testimonianza che, malgradol’enorme espansione degli accessi alle istituzioni scolastiche, il principiodell’uguaglianza delle opportunità di fronte all’istruzione non si é ancoratradotto in realtà.
Le denunce degli anni ’60-’70 di una scuola di classe ed emarginante gli alunnipiù svantaggiati, hanno avuto più successo nella direzione di un rifiuto aselezionare e bocciare che non nel far crescere e mantenere una reale e mirataattenzione (da cui far discendere incentivi e sostegni efficaci e sufficienti)per i bisogni e le difficoltà dei ragazzi più fragili.
Oggi siamo ben lontani dai tempi in cui, pur con tutte le faziosità e gliideologismi di quel periodo, la scuola era al centro delle preoccupazioni dellasocietà e aperta al mondo esterno. Eppure, oggi, la nostra é ancora unasocietà che non riesce ad educare ed istruire una gran fetta della suagenerazione più vitale, a fornirle le competenze necessarie ad un mondo semprepiù complesso.
In assenza di una comprensione adeguata dei processi di esclusione tolleratidalla scuola e di risposte adeguate, coerenti e definitive da parte dellasocietà, non c’é da sorprendersi se le politiche, gli interventi e le azioniistituzionali risultino insufficienti e risentano oltremodo delle "sceltedi bilancio".
Se l’obiettivo della scuola pubblica è attrarre, trattenere e condurreefficacemente al termine del corso di studi intrapresi il maggior numero deigiovani iscritti, l’abbandono – in assenza o in carenza di reali politiche disostegno, adeguamento, riforma – non è solo dei giovani verso la scuola, maanche – e soprattutto – della società verso i giovani; più che di abbandonoscolastico é forse più onesto parlare di abbandono educativo.
(Giovanni Cocchi)
(1) Da un lato, tutti i ricercatori concordano sul permaneredi un fortelegame tra origine sociale e chances di successo scolastico (l’intensità delquale, per alcuni, sarebbe addirittura in crescita). Dall’altro, i soggetti abassa istruzione risultano sistematicamente sovrarappresentati in tutte lericerche riguardanti le situazioni di povertà economica e di esclusione sociale(povertà economica, condizioni abitative inadeguate, salute a rischio e cosìvia.). Un dato per tutti: un laureato ha 11 volte più possibilità di trovareun posto stabile di lavoro di un diplomato e 15 volte più di uno con la licenzamedia.
(2) In soldoni, su 100 ragazzi, 3 sono già fuori dalla scuola a 12 anni; 15a 14 anni, 23 a 15, 30 a 16, 40 a 17, 64 a 19; solo 17 arriveranno alla laurea.Ha un percorso scolastico regolare solo 54% dei giovani; il 30% irregolare, il16% molto irregolare. A conferma del forte tasso di ripetenza, basti citare ilfatto che l’8% dei ragazzi in prima superiore ha più di 16 anni e il 13% diquanti sono in quinta superiore ha 20 anni o più.
(3) E pur tuttavia, guardando al tasso di scolarità, l’Italia si collocaagli ultimi posti della graduatoria rispetto agli altri paesi europei (seguitasolo da Lussemburgo e Portogallo); addirittura all’ultimo se si guarda all’incremento di tale indice negli ultimi dieci anni.
(4) A testimonianza della grande rilevanza che le differenze territorialicontinuano ad avere in relazione al funzionamento della scuola italiana, e cheproprio dove si manifesta il massimo di disagio si registra la più forteassenza di strutture adeguate, citiamo solo alcuni altri dati. Alunnifrequentanti in edifici non idonei : 9.5% al Sud contro 1.2 al Nord . Alunni indoppi e tripli turni: 5% contro lo 0%. Corsi di formazione professionaleregionale: 22% contro 65%.