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autore: Autore: Giuseppina Testi e Iader Vitali

10. Normalizzazione

di Giuseppina Testi e Iader Vitali, genitori di Tatiana, animatrice con disabilità del Progetto Calamaio

Poema-manifesto scritto da Nirje (1969)
“Normalizzazione significa… un ritmo normale del giorno.
Ti alzi dal letto al mattino,
anche se hai una gravissima disabilità,
ti vesti ed esci
per andare a scuola o al lavoro: non resti a casa.
Al mattino prevedi quello che farai nella giornata,
alla sera ripensi a quello che sei riuscito a fare.
Il tuo giorno non è 24 ore sempre uguali,
minuti monotoni, pomeriggi senza fine.
Mangi in ore normali ed in modo normale
non solo con il cucchiaio, se non sei più un bambino,
non mangi a letto o in poltrona, ma a tavola
e non ceni presto nel pomeriggio, per la comodità del personale.
Normalizzazione significa… un ritmo normale nella settimana.
Abiti in un posto e vai a lavorare in un altro,
in un altro ancora passi il tuo tempo libero.
Programmi i divertimenti del fine settimana
E “non vedi l’ora” di tornare a scuola o al lavoro,
il lunedì mattina.
Normalizzare significa… un ritmo normale dell’anno.
Una vacanza per rompere la routine
con il cambiamento delle stagioni che porta con sé cambiamenti nel lavoro,
nei cibi, nello sport, nello svago e in tante altre cose della tua vita.
Normalizzare significa… le esperienze normali di sviluppo nel ciclo di vita.
I bambini, e solo i bambini, vanno in colonia.
Nell’adolescenza ti curi molto del tuo aspetto, dei tuoi capelli,
pensi alla musica, ai ragazzi e alle ragazze.
Da adulto lavori e ti senti responsabile.
Da vecchio hai i tuoi ricordi da rivivere e la saggezza dell’esperienza.
Normalizzare significa… avere desideri e fare scelte rispettate dagli altri.
Gli adulti hanno la libertà di decidere
dove vogliono vivere, che lavoro preferiscono e che amici frequentare.
Se stare in casa a guardare la televisione
o andare a concerto, o a passeggiare in città.
Normalizzare significa… vivere in un mondo di due sessi diversi.
I bambini e gli adulti hanno relazioni con l’altro sesso, o con lo stesso, da adolescente cerchi di avere il ragazzo o la ragazza,
da adulto puoi decidere di sposarti o di avere figli.
Normalizzare significa… il diritto a una situazione economica normale. Tutti abbiamo il nostro reddito e le nostre responsabilità,
anche se abbiamo la pensione di invalidità, dobbiamo avere i nostri soldi
e decidere come spenderli: nel superfluo e nel necessario.
Normalizzare significa vivere in una casa normale
in un quartiere normale e non in una grande istituzione
con 100 persone disabili o anziane.
Significa non essere isolato dalla società{1}.

1. Fonte: D. Ianes, La Speciale normalità: strategie di integrazione e inclusione per le disabilità e i bisogni educativi speciali, Erickson, Trento, 2006, pp. 17-18.

“Normalizzazione”: che cosa si intende? Normalizzazione di che cosa? Di chi? A che punto inizia e dove finisce la normalizzazione? Quando si raggiunge la normalizzazione? Quali sono i parametri dentro cui una persona sta agendo nella normalizzazione?
Chissà quante volte noi genitori di Tatiana, figlia con disabilità motoria dalla nascita, ci eravamo illusi che tutto ciò che ci era stato detto alla nascita non fosse vero oppure che il tempo avrebbe portato alla normalizzazione. Dopo lo stordimento iniziale alla nascita di nostra figlia, abbiamo preso consapevolezza delle sue difficoltà e piano piano abbiamo cercato intorno a noi supporto e sostegno per orientarci e avere un quadro generale di come muoverci nell’immediato.
Abbiamo iniziato un cammino affiancati dai servizi, istituzioni, con personale qualificato e competente che ci ha portato di volta in volta a raggiungere traguardi per poi, sempre insieme, progettarne altri e altri ancora. Così il tempo è trascorso e nella nostra mente e nella vita pratica ci siamo resi conto che nostra figlia con stimoli continui, riabilitazione, istruzione, acquisiva nozioni del mondo circostante, in lei le risorse latenti erano pronte a recepire e toccava a noi genitori stimolarla e darle la possibilità di sperimentare ogni cosa la circondasse.
Pensavamo sempre a quante esperienze un bambino normodotato prova nei primi anni della sua vita, alla scoperta del mondo che lo circonda e allora questo ha fatto scattare in noi la voglia sempre più forte di dare a nostra figlia maggiori possibilità di conoscere, vedere, sentire, toccare per raggiungere la… “normalizzazione”.
Un primo passo importante è stato l’entrata nel mondo della scuola in cui, oltre all’istruzione, Tatiana ha maturato la sua socializzazione attraverso le prime relazioni extra famigliari. Come bambina ha sempre dimostrato tanta volontà sia per quanto riguardava lo studio che per programmi riabilitativi cercando di fare sempre il massimo che le era consentito dalla sua disabilità. Ha sempre manifestato il piacere di stare con i compagni e ha avuto un ambiente favorevole creato dagli insegnanti per una buona inclusione. Il sentirsi considerata alla pari dei compagni ha favorito l’accrescere della sua autostima, e ciò l’ha stimolata a impegnarsi sempre di più. Tutto questo ha favorito il rafforzarsi del suo carattere, della fiducia in se stessa, però contestualmente lasciandosi guidare, consigliare, ma crediamo anche, alle volte, tacitamente subire. Crediamo di averle trasmesso la volontà di considerarsi persona e di vedere la sua disabilità come risorsa, pensando che nella vita si possono percorrere anche strade parallele alla via maestra e di non pensare a se stessa come persona inutile e incapace e sentirsi relegata ai margini della società.
 Se però alle volte emergeva in lei un’insicurezza, secondo noi era dovuto al fatto di non aver ancora preso piena consapevolezza di sé e accettazione della propria disabilità, con la paura del giudizio altrui.
Noi genitori per aiutarla a crescere e acquisire sempre più fiducia in se stessa, imparare a fare delle scelte, essere responsabile delle proprie decisioni, abbiamo sempre cercato di darle opportunità di sperimentarsi anche a prezzo di qualche errore.
Come genitori, proiettati in una visione di Tatiana adulta, desideravamo che acquisisse sempre più autonomia decisionale, consapevole e responsabile. Un’importante svolta nella sua vita è avvenuta quando alla fine delle scuole superiori ha potuto accedere all’Università. Si è sentita pienamente all’altezza dei compagni di corso, il suo stato d’animo è stato fortemente rafforzato anche dagli ottimi risultati acquisiti durante gli anni di studio. Come un fiume in piena decise anche di fare un master universitario di cui andava molto fiera, contesto in cui ha avuto la possibilità di confronti paritari con colleghi normodotati sperimentandosi in alcune formazioni. Sicura di aver acquisito competenze e conoscenze ha trovato la sua giusta collocazione. Ormai da dieci anni lavora presso il CDH come educatrice e animatrice all’interno del Progetto Calamaio e insieme ai colleghi fa incontri di formazione-animazione presso le scuole di ogni ordine e grado, musei e Università per contribuire alla presa di coscienza della propria identità da parte dei bambini e degli adulti–insegnanti e genitori – attraverso il confronto con l’alterità.
Da questo momento in poi per Tatiana c’è stato veramente un grande cambiamento di consapevolezza del ruolo che è andata a ricoprire attraverso il lavoro. Nei primi tempi l’entusiasmo di far parte di un gruppo di persone che svolgevano attività inerenti agli studi da lei svolti la appagavano appieno, ma rimaneva comunque ai margini a osservare i colleghi senza avere però il coraggio di proporre le proprie idee.
Questa era la nostra percezione avvalorata anche dai suoi commenti sulle giornate lavorative. Fino a questo periodo Tatiana era stata affiancata da poche e costanti figure di supporto tranne un paio di vacanze in cui era andata senza noi genitori con educatori e ragazzi disabili. In questo contesto lavorativo, invece, la pluralità di persone facenti parte di questa associazione-cooperativa, ha fatto sì che Tatiana si abituasse a collaborare con più e più persone diverse e non sempre con lo stesso referente.
Sicuramente questo passaggio non deve essere stato facile per una persona abituata da sempre ad avere un punto di riferimento fisso allenato ormai ad anticipare le sue richieste, ma piano piano ha acquistato più sicurezza in se stessa, ha iniziato a proporsi e anche all’interno della famiglia la sua personalità si è imposta maggiormente. In questo gruppo, questo modo di operare, di confrontarsi quotidianamente, di ritrovarsi attorno a un tavolo e discutere proponendo ognuno la propria idea per poi attraverso progetti concretizzare la parte teorica, ha portato Tatiana ad acquisire autonomia di pensiero e decisionale. Lontani sono ormai i periodi in cui Tatiana si chiudeva in casa rifiutando il contatto con il mondo esterno, tenendo dentro di sé un malessere che noi genitori percepivamo ma che non riuscivamo a far emergere. Oggi, adulta e inserita con gratificazioni in un contesto sociale, pur riconoscendo i propri limiti ma anche le proprie risorse, si sente parte attiva e tutto ciò dovrebbe essere un diritto che lo Stato avrebbe il dovere di riconoscere a ogni persona. Se ogni persona disabile ha la possibilità di raggiungere il massimo delle proprie potenzialità, e riceve gratificazioni, benessere personale, ruoli sociali, tutto ciò fa parte della “normalizzazione”.
Noi riteniamo che se una persona disabile riesce a realizzare e ottenere anche solo un traguardo fra i tanti che Nirje ci riporta nel suo poema, crediamo che sia un importante aumento di fiducia e autostima per se stessa. Oggi vediamo nostra figlia totalmente cambiata, felice, realizzata, capace di decidere, si sente responsabile, e consapevole di quello che ha ottenuto, desidera sempre esprimere la propria opinione anche se questo, alle volte con toni un po’ sopra le righe, porta a interminabili discussioni familiari, ma tutto ciò è “normalità”. Tatiana è una persona adulta.