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autore: Autore: Marco Ardemagni

14. Corpi che cambiano forma

di Marco Ardemagni, fisioterapista, esperto di riabilitazione Neuromotoria delle Cerebrolesioni dell’Adulto e dell’Infanzia, consulente, docente di Interazione Guidata, presidente dell’associazione Hans Sonderegger.

Le persone con disabilità grave che sia essa esclusivamente motoria o, come più spesso accade, psicomotoria hanno corpi che più di altri sono segnati dal tempo. Il corpo è l’involucro del nostro essere, è lo strumento con il quale l’Io comunica ed entra in relazione col mondo, è la porta d’accesso dello sviluppo e della conoscenza. Per chi studia la fisiologia del nostro corpo è la propaggine con cui il nostro cervello tocca e conosce il mondo.
Ma cosa succede quando tale strumento è guasto, non funziona bene?
Pensiamo alle persone con disabilità motoria o psicomotoria: il loro corpo è oggettivamente diverso, visibilmente alterato, l’involucro con il quale si presentano al mondo spesso è malconcio, decadente o, come minimo, disfunzionale. E tutti sappiamo come è difficile non giudicare dalle apparenze. Molti hanno capito di dover superare le apparenze, in generale, e con chi appare diverso in particolare, ma quanti ancora si allontanano da ciò che appare diverso e non piacevole?
E se il corpo che agisce serve per svilupparsi e per apprendere, quanto difficile deve essere per chi ha un corpo che non funziona?
Senza falso buonismo e ipocrisia bisogna dichiarare che chi ha una disabilità psicomotoria che ne limita l’autonomia si trova nella condizione di riduzione dei contatti sociali e delle possibilità di apprendere e svilupparsi. Ritengo che questo sia il primo diritto che viene leso!
Di fronte a queste considerazioni, prendersi cura del corpo diventa l’impalcatura di sostegno di qualsiasi progetto educativo. Qui si intende ricordare quanto le caratteristiche del corpo, e i suoi limiti nella menomazione, siano importanti come focus specifico su cui costruire la promozione della persona. Ed è quindi doveroso ricordare agli addetti ai lavori che un corpo che non funziona bene, soprattutto quando comincia a svilupparsi, da neonato, può e deve essere aiutato a funzionare meglio. Perché è possibile intervenire in maniera efficace con qualsiasi livello di gravità.
Sgombriamo subito il campo da falsi sensazionalismi ottimistici: le menomazioni ci sono, si mantengono, ma molte delle conseguenze che vediamo possono e devono essere evitate.
Le persone con disabilità congenita, che hanno cominciato la propria vita già in debito, che hanno uno sviluppo atipico, alterato, posseggono corpi che presentano un funzionamento atipico, alterato. Richiedono solo più attenzione e determinazione nel cercare di vincere le conseguenze della menomazione.
Ricordiamo tutti che il sistema motorio si sviluppa e cresce partendo da una programmazione predeterminata dal nostro corredo genetico, ma poi sfrutta le relazioni fisiche che nascono dalla interazione col mondo. I comportamenti motori alterati, che si vedono già all’inizio dello sviluppo nelle persone con disabilità, possono e devono – non mi stancherò mai di ripeterlo! – essere condizionati da trattamenti riabilitativi specifici, così come i deficit di apprendimento e sviluppo cognitivo meritano progetti e programmi educativi specifici.
Troppo spesso atteggiamenti fatalistici degli addetti ai lavori sono concausa di conseguenze gravi.
Invece, il primo dovere da adempiere per chi lavora con la disabilità è incidere in maniera positiva e propositiva nei confronti dei deficit e dei bisogni del disabile, ovviamente ciascuno per la propria specifica professionale. Per poterlo fare ricordiamo tutti che è necessario conoscere bene il problema che si va ad affrontare, in particolare conoscere bene quali sono gli interventi più efficaci sul lungo periodo. Perché chi è affetto da disabilità congenita dovrà lottare tutta la vita con le conseguenze del suo problema.
Per chiarire meglio il concetto proviamo a partire dall’origine del problema. La disabilità congenita è provocata da una alterazione genetica o avvenuta in fase di sviluppo embrionale (spesso di natura infettiva), o di poco successiva alla nascita, oppure conseguente a problemi al momento del parto.
Si parla di danni più o meno gravi del Sistema Nervoso Centrale che hanno come conseguenza diretta problemi del movimento o delle capacità cognitive e di apprendimento (queste ultime dipendono dal movimento). Ma avere avuto un danno non significa necessariamente che tutto è perduto, che non ci sono possibilità di sviluppo. Fortunatamente il nostro cervello, sebbene non sia in grado di rigenerarsi, ha una grande capacità di riadattarsi e riorganizzarsi.
Le opportunità offerte al cervello attraverso gli stimoli dell’ambiente circostante condizionano enormemente la sua riorganizzazione. Quindi se qualcosa si manifesta alterato, per esempio nelle caratteristiche del movimento, perché, ricordiamolo bene, all’inizio solo questo fanno gli esseri umani, si può provare a condizionarlo per recuperarne il più possibile le caratteristiche normali o limitare i danni che il muoversi in maniera anomala provocherà col passare del tempo.
A distanza di decenni dall’inizio dello sviluppo delle tecniche e dei metodi e delle filosofie di riabilitazione neuro psicomotoria, o dei programmi di stimolazione cognitiva e dell’apprendimento rivolti alla disabilità congenita, le conseguenze e gli effetti delle buone prassi e del buon lavoro sono evidenti.
Ma cosa si può fare di fronte alla situazione ormai definitiva della disabilità stabilizzata, nell’età adulta?
Con la stessa determinazione e specificità è necessario continuare a stimolare lo sviluppo della persona e promuoverne l’apprendimento, non trascurando mai che le menomazioni motorie del corpo devono essere prese in seria considerazione. Perché un corpo che ha cambiato forma rispetto alle caratteristiche naturali è una possibile fonte di sofferenza fisica. Un corpo che non si muove, o che si muove male, va incontro più facilmente al decadimento organico e al dolore. È doveroso prendersene cura! Così come una riduzione delle possibilità di muoversi e fare conduce a una direttamente proporzionale riduzione della possibilità di collezionare esperienze, vitali per lo sviluppo e l’autodeterminazione dell’individuo.
Nella realizzazione dei programmi educativi di sostegno alla disabilità bisogna quindi tenere ben presente la necessità di offrire opportunità di positive esperienze fisiche.
Ma non pensiamo ai semplici programmi di ginnastica di mantenimento o mobilizzazione finalizzata alla prevenzione del decadimento del corpo: questo è nobile, ma riduttivo. Le stesse pratiche di manutenzione corporea possono e devono essere inserite nel contesto di attività significative e arricchenti per l’individuo.
Esistono ormai infinite soluzioni per abbinare il piacere e il divertimento alle pratiche motorie che, anche con una limitata fatica, possono essere adattate a qualsiasi menomazione motoria.
È stimolante, nonché doveroso guardare la persona nel suo insieme quando si pianificano e si realizzano attività per la stimolazione motoria.
Così come è ancora più accattivante escogitare maniere per coinvolgere nelle attività laboratoriali, artistiche addirittura, anche i soggetti con le menomazioni motorie più gravi.
Dico questo perché sono numerosi gli approcci riabilitativi e/o educativi finalizzati alla presa in carico completa della persona disabile, esempi di innumerevoli esperienze virtuose di cui far tesoro e da cui attingere per completare e arricchire i progetti ancora incompleti.
Gli individui sono costituiti da diverse dimensioni: fisica, psicologica, affettiva, ecc.: per questo tutti questi aspetti devono essere considerati.
Guidare le mani o il corpo di una persona che non si muove a fare esperienza diretta, concreta, fisicamente significativa, di una attività rende tale esperienza ancora più completa e arricchente.