2 L’orizzonte verso cui guardare
2.1.“Luoghiterzi”disocialità culturale
di Marco Muscogiuri – Politecnico di Milano / Alterstudio Partners
Ho iniziato a occuparmi di progettazione di biblioteche all’inizio degli anni Duemila, e ho pubblicato il mio primo libro su questi temi – Architettura della Biblioteca – nel 2004. Non posso fare a meno di constatare che, rispetto ad allora, le modalità di fruizione e diffusione della cultura e dell’informazione hanno subito enormi cambiamenti: tablet e smartphone non erano sul mercato; quasi non esistevano i social network; servizi come Google Books Search erano ancora agli inizi; erano poco diffusi gli e-book, che al contrario, oggi coprono in alcuni paesi una fetta molto significativa del mercato editoriale.
Tutto ciò premesso, è lecito domandarsi se tale crescita vertiginosa delle nuove tecnologie dell’informazione non renda obsoleta persino l’idea stessa di costruire nuove biblioteche. Una parziale risposta a questa domanda è data dalla constatazione che mai come in questi ultimi vent’anni sono state rinnovate o costruite così tante biblioteche in tutto il mondo, tra cui, senza dubbio, le più grandi e ambiziose mai realizzate, e altre ancora sono attualmente in cantiere.
Tuttavia, i nuovi strumenti e le istanze della società dell’informazione stanno cambiando profondamente ruolo, funzioni e contenuti della biblioteca, in un modo che non ha precedenti nella storia: non solo per le differenti modalità di conservazione dei documenti, rese possibili dalla digitalizzazione e dall’accesso in rete, ma soprattutto in quanto emerge la richiesta di nuovi servizi bibliotecari, inedite esigenze di conoscenza e informazione, differenti forme di mediazione e di consultazione dei documenti, nonché un differente ruolo del bibliotecario e un diverso rapporto tra utente e biblioteca, tanto che da alcuni anni si parla di Library 2.0.
Negli ultimi dieci anni si è assistito a un sostanziale spostamento del focus della biblioteca dal patrimonio librario alle modalità di accesso alle risorse documentarie (cartacee o digitali che siano). L’accento e l’attenzione sono passati dalle modalità di organizzazione delle collezioni alle modalità di mediazione e comunicazione; dal possesso dei documenti all’accesso (anche remoto) ai documenti stessi; dalla messa a disposizione di materiali documentari (adeguatamente mediati dall’attività di supporto bibliografico) all’erogazione di servizi culturali e di reference più articolati. Infine, ha riacquistato una nuova e vitale importanza anche la fisicità del “luogo” della biblioteca, nei suoi spazi e nei suoi arredi.
La funzione primaria che la biblioteca ha sempre avuto è quella di centro di diffusione e trasferimento della conoscenza e di promozione della lettura, di supporto alla formazione nel modo più ampio possibile. Le nuove tecnologie dell’informazione non inficiano questa funzione della biblioteca, anzi la amplificano: la biblioteca pubblica diventa anche centro e laboratorio di informazione contro il digital divide, porta di accesso e strumento di orientamento nell’universo multimediale.
Biblioteche e capitale sociale
Ma, sempre più, cresce oggi anche il suo ruolo di luogo di aggregazione sociale, punto di riferimento per la comunità locale e nuova piazza urbana. Progressivamente nelle città scompaiono i luoghi collettivi di aggregazione, soprattutto per i giovani, sostituiti dai centri commerciali e polifunzionali di intrattenimento, a cui in vario modo è delegata la gestione del tempo libero dei cittadini e l’impostazione dei suoi contenuti. La quotidianità finisce troppo spesso per risolversi nell’ambito di relazioni di natura quasi esclusivamente funzionale: tra casa, scuola, lavoro, luoghi del consumo. Ma è sempre più evidente la richiesta di “luoghi terzi” – per citare il sociologo americano Ray Oldemburg – che non siano i centri commerciali dove vige la compulsione all’acquisto, bensì luoghi dove coltivare interessi conoscitivi di varia natura, dove poter avere anche libere occasioni di incontro e di scambio con gli altri. Da questo punto di vista una biblioteca pubblica, concepita in modo moderno e accattivante, può essere, più di un pub o di una caffetteria, un “terzo luogo” per eccellenza, in quanto è uno dei pochi luoghi realmente “pubblici” rimasti, un luogo “sicuro” e “neutrale”, in cui possono incontrarsi e conoscersi persone diverse per età, cultura, ceto sociale, provenienza.
Ma il valore delle biblioteche si iscrive in un orizzonte di significato anche più ampio. Nella società contemporanea assumono sempre più valore beni immateriali come l’informazione, la conoscenza e la creatività, che sono riconosciuti essere fattori determinanti per lo sviluppo economico di un territorio o di una nazione. Questo è tanto più vero in un paese come l’Italia, in cui settori come il turismo, il design, la moda, la gastronomia, che si basano su “beni simbolici”, possono mantenersi e dare i loro frutti migliori solo se sono iscritti in un “ecosistema culturale diffuso”, che non può prescindere dall’investimento nella cultura, nella scuola, nella formazione in generale. Inoltre, è ormai assodato che il lifelong learning e l’aggiornamento delle proprie competenze siano diventati i principali fattori chiave di competitività. Per queste ragioni, l’offerta culturale locale non può ridursi a semplice intrattenimento, proponendo consumo di “prodotti culturali usa e getta”, ma deve investire in strutture e azioni finalizzate a durare nel tempo, e a rafforzare quello che è “capitale sociale” del territorio, diventandone motore e collante dello sviluppo socio-economico. In tutto questo le biblioteche possono giocare un ruolo essenziale come “infrastrutture” per la conoscenza e l’informazione: luoghi per la socialità culturale, per lo sviluppo della creatività e dei propri talenti, per favorire il dialogo interculturale e intergenerazionale.
Nuovi modelli, nuove frontiere
L’impatto sociale delle biblioteche può essere enorme e le biblioteche vanno dunque intese non soltanto come gangli del sistema della cultura, ma anche del sistema del welfare, luoghi di inclusione e coesione sociale, utili anche e soprattutto per le fasce più deboli della popolazione.
All’estero vi sono casi particolarmente eclatanti: pensiamo alle open libraries danesi, fortemente incentrate sulla digitalizzazione e al contempo luoghi di aggregazione sociale, in cui sono erogati anche numerosi servizi al cittadino, oppure alle Common Libraries del Regno Unito, dove vi sono spazi dedicati alla creatività, al tempo libero o al bricolage, eccetera. Ma le contaminazioni non finiscono qui, e in molte città, da Colonia a Pistoia, da Helsinki a Cinisello Balsamo, vediamo nelle biblioteche un fiorire di maker space e fab lab, laboratori del cosiddetto “artigianato digitale”, una versione tecnologica e digitale di quel “saper fare” che discende dalla letteratura grigia e dalla manualistica da bricoleur, che in vario modo ha sempre trovato ospitalità negli scaffali delle biblioteche pubbliche.
Pensiamo, infine, alle Idea Store di Londra: un modello innovativo di biblioteca di grande successo, che integra servizi bibliotecari, servizi per la formazione e il tempo libero, servizi per il cittadino e spazi di socialità. Anche esperienze recenti italiane, come la Biblioteca “Sala Borsa” di Bologna o la “San Giorgio” di Pistoia, il “Pertini” di Cinisello, la “Tilane” di Paderno Dugnano, il “Multiplo” di Cavriago, la MedaTeca di Meda (MB) e varie altre presentano risultati di tutto rispetto, e dimostrano come in questo settore sia l’offerta a creare la domanda, e come anche in Italia biblioteche concepite in modo innovativo riescano sempre ad avere un successo enorme e un enorme impatto sulla città e sulla comunità.
“Un bel posto dove andare”
Perché una biblioteca abbia successo, l’architettura dell’edificio, gli spazi e gli arredi in esso contenuti, sono fondamentali tanto quanto i servizi offerti. Gli edifici bibliotecari devono essere attraenti e confortevoli: devono essere dei luoghi speciali, in cui sia piacevole andare e intrattenersi, facili da utilizzare, ospitali. È questo uno dei principali motivi per cui in alcuni paesi del Nord Europa al progressivo calare dell’indice dei prestiti non corrisponde un progressivo calo della frequentazione delle biblioteche. Nel momento di massima diffusione dei social network le biblioteche devono puntare su quell’unica cosa che Google, Facebook o Amazon non hanno e non avranno mai: la fisicità di un bel posto dove andare, la possibilità di accedere a molte risorse documentarie contemporaneamente usufruendo della mediazione competente di un bibliotecario, la possibilità di incontrare amici o persone che non si conoscono.
Oggi le biblioteche sono al bivio, soprattutto in Italia in cui vertono in una situazione di grave arretratezza, tra la possibilità di acquisire un importante ruolo di “condensatore urbano” e il rischio di scomparire del tutto, soppiantato da altri servizi “pubblici”, dalle finalità commerciali più o meno palesi. Per sopravvivere la biblioteca deve essere in grado di accogliere la sfida e rinnovarsi, arricchirsi di contenuti, diventare un centro culturale integrato: di servizi per la cultura, la formazione, l’informazione, l’immaginazione, la creatività, lo studio, il tempo libero, la socializzazione. Ridefinendone il ruolo e le funzioni, è necessario ridefinire anche la configurazione e le caratteristiche dell’edificio biblioteca: ricercando forme, linguaggi e soluzioni architettoniche in grado di riaffermare il valore dell’istituzione, di comunicare contenuti innovativi e di esprimere fortemente il nuovo ruolo che essa può avere nella società contemporanea.
Le biblioteche pubbliche devono porsi, oggi, come “catalizzatori urbani per la promozione di politiche culturali”. E non è un caso che in questa mia definizione di biblioteca non vi sia un riferimento diretto alla promozione della lettura e dei libri, anche se questo deve restare il core business della biblioteca: ritengo infatti che, investendo soltanto nella promozione del libro e della lettura, la biblioteca non riuscirà ad attrarre quel 70% della popolazione che, stando alle statistiche correnti in Italia, non compra e non legge libri [ISTAT], oppure quel 36% della popolazione che in Italia non utilizza internet [CENSIS], o quel 47% di italiani che risultano essere “analfabeti funzionali” [OCSE].
Ma sono proprio queste persone ad avere maggiore bisogno delle biblioteche. E quest’utenza potenziale non la si può attrarre soltanto con la promozione dei servizi legati al libro e alla lettura, né si può lasciare solo ai centri commerciali e polifunzionali la delega di occuparsi del tempo libero di questa così ampia fetta della popolazione.
Le biblioteche pubbliche vanno dunque progettate per intercettare soprattutto coloro che non sono utenti abituali: o perché non sono interessati ai libri e alla lettura, oppure perché, al contrario, sono “lettori forti” ma non sono interessati ai servizi attualmente offerti dalle biblioteche. Una biblioteca “amichevole”, accessibile e aperta a tutti, che non intimorisca coloro che non sono abituati ad andarci ma che anzi li attragga e li incuriosisca, e che al contempo soddisfi tutte le necessità di coloro che invece già conoscono e usano le biblioteche e che qui troveranno potenziati tutti i servizi
2.2 La biblioteca vive, la biblioteca muore
di Alessandro Riccioni, bibliotecario e scrittore
Il titolo di questo breve contributo mi serve a sottolineare come il dibattito sul ruolo delle biblioteche sia sempre vivo ma, a volte, viziato da ottimismi e pessimismi eccessivi. Cercherò qui di sviluppare alcune riflessioni sul ruolo delle biblioteche, in modo particolare su quelle definite “di pubblica lettura”: quelle dei quartieri, dei paesi, delle realtà esterne al mondo della cultura accademica. È ormai evidente che proprio queste sono le biblioteche che devono sostenere una vera e propria sfida per la sopravvivenza.
Come premessa
La realtà del nostro paese presenta situazioni molto diverse, con servizi di eccellenza accanto ad altri sull’orlo della chiusura. La politica sembra sempre più dimenticarsi delle biblioteche, i finanziamenti sono spesso ridotti al lumicino e ancor più scarso è l’interesse per i luoghi del libro e della lettura. Eppure, in molte città e in molti paesi, anche piccolissimi, i bibliotecari continuano, pur tra mille difficoltà, a reinventare di giorno in giorno la propria biblioteca per farne un luogo vivo, accogliente, in cui la gioia dell’incontro sia il primo passo per ogni percorso di conoscenza, informazione, studio. Con una testardaggine e un coraggio davvero insoliti, per il tempo in cui viviamo, i bibliotecari cercano di rimanere fedeli ad alcuni semplici obiettivi: la gestione delle informazioni, il sostegno all’utenza, la promozione della lettura, l’educazione alla lettura come strumento principe di formazione di una consapevolezza dell’essere cittadini, tutti, qualunque lingua parliamo, dovunque siamo nati e cresciuti, di qualunque età o condizione siamo. Il vero lavoro dei bibliotecari, a mio avviso, ha oggi a che fare più con la formazione di una coscienza, di un’appartenenza, che con le competenze professionali o gli aspetti tecnici, per quanto importanti questi siano. La biblioteca è infatti uno dei crocevia di tutti i mutamenti della società contemporanea, uno dei punti di riferimento per un’utenza “allargata”, e per questo non può e non deve escludere nessuno, anzi, dovrà coniugare il verbo “includere” nel senso di invitare qualcuno a entrare in casa per farne lo spazio comune, il luogo della condivisione, il luogo della costruzione del patrimonio di conoscenze e informazioni che si accumulano, a volte con una velocità impensabile, e che hanno quindi bisogno di essere analizzate, sistemate, con un lavoro che non può essere delegato solo ai tecnici che vi lavorano. La biblioteca deve sapere incontrare i nuovi cittadini, le nuove povertà (economiche e culturali), i nuovi bisogni di utilizzo degli strumenti più aggiornati di ricerca delle informazioni, e le nuove modalità di comunicazione e fruizione di un patrimonio sempre in divenire, in continua mutazione eppure in continuo dialogo con quanto già esiste.
Partendo da queste premesse, la biblioteca non può più essere solo il centro di documentazione, il patrimonio che ospita, il luogo del protrarsi della memoria. Certo, essa è la “casa” dove quelle cose stanno e dovranno continuare a stare, ma è anche il luogo dove si cerca di comprendere il cambiamento e di viverlo insieme a tutti coloro che la frequentano. Un luogo libero, gratuito, aperto, inclusivo, vorremmo anche dire sicuro, un luogo di vita e non solo di cultura. Mai come oggi, la biblioteca è lo spazio dove cercare risposte, ma soprattutto dove continuare a farsi domande su quanto sta accadendo nel mondo, su quanta parte di ciò che accade possa essere compreso e magari anche modificato e migliorato.
Una biblioteca, per dirla in altre parole, vive solo se sa “andare incontro”, se sa essere appunto la casa di tutti. Perché ciò avvenga, è necessario che chi ci lavora, oltre a conoscere gli aspetti tecnici della sua professione, riesca a mantenere vivo l’interesse per il contesto in cui il suo servizio è inserito. È la comunità che dovrebbe creare la sua biblioteca, tramite l’esplicitazione di esigenze, desideri, curiosità, bisogni che solo lì possono trovare ascolto. L’ascolto, però, ha sempre bisogno di energia aggiunta, di fantasia aggiunta.
Un aiuto concreto, e uno stimolo al dibattito in corso, lo possiamo trovare nelle biblioteche e centri di documentazione che potremmo definire “a tema”, realtà il cui patrimonio documentale è stato costruito per rispondere alle nuove sfide che impongono cambiamenti al nostro modo di intendere e di vivere la società (diritti, disabilità, nuove povertà, esclusione sociale, immigrazione, nuovi analfabetismi).
Queste esperienze sono certamente una fonte di suggerimenti e di pratiche virtuose, lo sprone perché le biblioteche ripensino e rilancino il loro ruolo “sociale”, un ruolo che, in verità, hanno sempre svolto, magari senza gli strumenti e le competenze necessarie, ma con una volontà davvero encomiabile. La nascita e lo sviluppo di queste realtà ha avuto anche il merito di ribadire che il patrimonio di ciascuna biblioteca è e resta vivo solo se attorno a esso si costruiscono progetti, percorsi, attività, se la divulgazione e la promozione dei documenti ritrova un senso nel presente e riesce a farsi materia per il futuro.
Per parte mia
La mia piccola esperienza di bibliotecario “di montagna” (come amo definirmi), si origina da uno sguardo il più attento possibile alle trasformazioni del servizio bibliotecario nel corso degli anni e si basa su una visione forse non molto ortodossa di una delle regole fondamentali della biblioteconomia, e cioè che “la biblioteca è un organismo che cresce”, visto non tanto nel senso di patrimonio in espansione, bensì come organismo che cresce con gli utenti, nel tempo e nel luogo dove ha sede. In fondo, siamo tutti, e di nuovo, i bambini di Jella Lepman, la donna che iniziò un lungo e prezioso lavoro di educazione (rieducazione) degli adulti attraverso i bambini orfani dell’orrore nazista; siamo i bambini con nelle mani libri-ponte capaci di accendere il dialogo con l’altro e di farsi strumenti di un possibile e migliore futuro. Abbiamo perciò l’obbligo di considerare, e utilizzare, i libri (ma anche i nuovi strumenti oggi a disposizione) per crescere tutti lettori e cittadini forti, consapevoli, curiosi. Dobbiamo infatti dire che, quando una biblioteca è riuscita in qualche modo a sopravvivere, e a farlo anche abbastanza dignitosamente, lo ha fatto dove e se ha saputo dialogare con le altre istituzioni che hanno a che fare con l’educazione e la formazione, in primis le scuole di ogni ordine e grado. Se molte sono ormai le positive esperienze di relazione biblioteca-scuola, è invece ancora un tema da discutere e sviluppare quello dei progetti rivolti alle famiglie, poiché, spesso, l’ambiente in cui i nostri bambini crescono è un ambiente non solo senza libri, senza storie, ma anche senza più curiosità e voglia di scommettere su un futuro migliore.
Semi-finale
Ho cercato, spero non troppo confusamente, di riflettere sulla vita delle biblioteche, su quelle che ho imparato a conoscere e frequentare. Ho cercato di indicare una piccola strada, lastricata più da pietre di passione che da pietre teoriche e professionali. Ora è il momento di dare un senso, seppure con un leggero senso di paura, alla seconda parte del titolo: la biblioteca muore. La biblioteca muore se rinuncia al suo ruolo di luogo d’incontro, di possibilità aggiunta, di spazio libero e inclusivo. La biblioteca muore se chiude gli occhi al mondo, se crede di essere neutrale, salva, immune da tutto ciò che la circonda. La biblioteca muore, è doveroso dire anche questo, se le si toglie il carburante: risorse umane competenti e denari. E questo, soprattutto nel nostro travagliato paese, sta purtroppo accedendo spesso, troppo spesso.