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autore: Autore: Paolo Meucci

6. La tecnologia come supporto della relazione: il progetto RODDI

Intervista a Paolo Meucci, ricercatore, Istituto Nazionale Neurologico “Carlo Besta”, Milano

Chi siete e qual è il vostro ambito lavorativo?
Siamo tre ricercatori, Paolo, Ambra e Milda, che all’epoca della progettazione di RODDI, lavoravano per la stessa unità di ricerca, la SOSD Neurologia, Salute Pubblica e Disabilità, coordinata da Matilde Leonardi che fa parte della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico “Carlo Besta” di Milano. Il nostro approccio di ricerca e di intervento/trattamento si basa sul modello biopsicosociale che pone attenzione all’interazione tra l’individuo e l’ambiente. La nostra formazione è di base pedagogica e psicologica ma per scrivere questo progetto abbiamo lavorato con diverse figure professionali di altre realtà. Infatti, criterio fondamentale per la buona riuscita del progetto è stata la sinergia tra diverse competenze professionali (medici, psicologi, pedagogisti, ingegneri e designer). Questo ha permesso di integrare la prospettiva strettamente medico-riabilitativa con quella pedagogica.
Oggi le nostre strade si sono professionalmente divise anche se porteremo sempre con noi questa esperienza e questo modo di lavorare in équipe. Io mi occupo a tempo pieno di autismo, sia in ambito di ricerca che di intervento. Ambra lavora come psicologa presso il Centro sclerosi multipla dell’Istituto, dove si occupa di ideazione, sviluppo, sperimentazione e valutazione di modelli di intervento e presa in carico del paziente affetto da patologia cronica neurologica. Milda si occupa di ricerca e supporto psicologico dei pazienti adulti con tumori cerebrali e dei loro famigliari, da quest’anno sta facendo la Scuola di specializzazione in Psicoterapia della Gestalt.

Da quando avete cominciato a interessarvi a giochi e/o giocattoli accessibili e cosa vi ha spinto in questa direzione?
Tutto è nato nel 2012 quando ci siamo trovati a predisporre un progetto per il Bando del Ministero della Salute rivolto ai giovani ricercatori. In quel periodo collaboravamo molto con l’Associazione l’Abilità Onlus di Milano che fa del gioco una delle attività principali dei propri interventi rivolti a bambini con disabilità e alle loro famiglie. Tramite le interazioni che avvengono durante il gioco, i bambini si divertono e hanno l’opportunità di sperimentarsi, di utilizzare funzioni di base (attenzione, memoria, imitazione, discriminazione, relazione tra gli oggetti e problem solving) e capacità più complesse, arricchendosi e riflettendo sulle proprie idee, i propri pensieri e sentimenti. Inoltre, imparano a entrare empaticamente in contatto con gli altri.
Abbiamo deciso di mettere questo approccio al centro di un progetto di studio per bambini con autismo. Questi bambini sono solitamente inseriti in protocolli riabilitativi intensivi, il gioco può invece rappresentare un momento di relax e di stacco che, se pensato e gestito adeguatamente, ha il potenziale di aiutarli a crescere, inserendosi in una quotidianità meno sanitaria e più spontanea, gravando meno sulla loro qualità di vita, restituendo loro il diritto all’infanzia. Tornando alla scrittura del progetto per il Bando, dovevamo organizzare un protocollo di ricerca a partire da questo aspetto.

Tornando ai giochi, quali sono i criteri per capire se un gioco è più o meno accessibile?
In generale non è possibile rispondere in modo univoco a questa domanda, ogni bambino, con la propria condizione di salute e il proprio funzionamento, potrebbe richiedere di apportare adattamenti specifici sul giocattolo o sull’attività di gioco.
Nello specifico caso del nostro progetto, considerando l’importanza del gioco e il fatto che i bambini con autismo hanno alcune caratteristiche che possono limitare la loro possibilità di imparare tramite il gioco e di divertirsi durante tale attività, è importante modificare o creare dei giochi che possano facilitare l’attività ludica di questi bambini, ma che cerchino anche di raggiungere l’obiettivo di coinvolgerli in interazioni sintoniche con l’ambiente così da aiutarli a sviluppare e migliorare le loro capacità comunicative e di interazione.

Perché nel vostro lavoro avete introdotto le tecnologie?
Finora la letteratura scientifica ha dimostrato l’utilità delle tecnologie al fine di creare stimoli stabili e ripetitivi in grado di attirare l’attenzione dei bambini con autismo. Inoltre, ci permette di pensare a un gioco che possa stimolare il bambino attraverso diverse modalità sensoriali, modulate in base alle reazioni che possiamo cogliere nel bambino. In più volevamo anche valutare se l’utilizzo della tecnologia potesse svolgere un ruolo di facilitatore nelle interazioni tra il bambino e il suo ambiente.

Parliamo allora del progetto RODDI.
Il progetto RODDI si è focalizzato sullo sviluppo di una piattaforma gioco che possa essere utilizzata nella prospettiva di studiare in maniera multidisciplinare il problema della relazionalità dei bambini affetti da autismo con deficit cognitivi di livello moderato o grave.
Nel corso della prima fase di progetto è stata sviluppata la piattaforma robotica RODDI. La seconda fase ha previsto il test e l’uso della piattaforma precedentemente ideata all’interno di uno studio case serie longitudinale. Hanno terminato lo studio 9 bambini (8 maschi) dei 19 inizialmente selezionati, di età compresa fra 6 e 10 anni, con diagnosi di autismo e disabilità intellettiva moderata o grave. Per ciascun bambino sono state realizzate due sessioni di gioco in interazione con un’educatrice. Nella prima sessione alla diade bambino-educatrice era richiesto di interagire utilizzando dei giochi tradizionali, mentre nella seconda sessione era richiesto l’utilizzo di RODDI.
La piattaforma robotica realizzata grazie al progetto RODDI ha permesso di raggiungere, con bambini con autismo e ritardo cognitivo moderato/grave, i seguenti obiettivi, utili per la gestione e la continuità di un programma abilitativo/riabilitativo: aggancio del bambino e motivazione al gioco proposto; miglioramento delle performances come l’attenzione sostenuta sul compito; incremento del livello di interazione tra il bambino e la piattaforma che ha facilitato, durante la sessione di gioco, la diminuzione di comportamenti stereotipati.
Il raggiungimento di questi tre obiettivi, attraverso l’utilizzo di un solo prodotto, ha risposto a quanto la letteratura scientifica mette in evidenza rispetto agli scopi primari dell’uso delle nuove tecnologie nel campo dell’autismo.
La piattaforma, in quanto facilmente riproducibile, può essere proposta e utilizzata nelle diverse realtà che lavorano con bambini con autismo e facilita la strutturazione e la definizione del setting utile allo sviluppo delle abilità del bambino. Il vincolo della piattaforma è che può essere inserita all’interno di contesti strutturati con finalità abilitative o riabilitative e serve una formazione adeguata per il suo utilizzo. Con RODDI però siamo voluti andare oltre. Ci siamo confrontati con una domanda di ricerca ancora sostanzialmente aperta: la capacità di interagire con le persone, da parte del bambino con autismo, migliora? Diversi autori mostrano nei loro studi, attraverso la raccolta di dati qualitativi, che i bambini hanno mostrato interesse verso i robot. La letteratura scientifica in materia sprona però anche verso la raccolta di dati che rispondano a un’altra domanda: è possibile che la tecnologia funga da mediatore nella relazione tra il bambino con autismo e altri soggetti? Vengono ipotizzati futuri esperimenti che potrebbero adottare una procedura di analisi in grado di misurare la direzione dello sguardo e le parole o gli enunciati che il bambino con autismo rivolge ai compagni di giochi. Dalle analisi dei dati del progetto RODDI, per rispondere a questa domanda, è emerso che nella condizione di gioco con la piattaforma robotica, i bambini producono un numero significativamente minore di enunciati e di sguardi rivolti all’educatrice. Inoltre, in questa condizione, anche le educatrici parlano di meno ai bambini, hanno una ridotta varietà lessicale e tendono a usare più richiami di attenzione per stimolare l’interazione. I risultati dello studio fanno sorgere qualche dubbio sull’effettivo vantaggio dell’uso della tecnologia per stimolare un aspetto fondamentale nella riabilitazione del bambino con autismo: la relazione.
RODDI apre a un uso della tecnologia che supporti ma non sostituisca mai la relazione. Giocando si apprende a socializzare e comunicare in maniera efficace e adeguata sia con i coetanei, sia con gli adulti. Il progetto RODDI ha introdotto elementi utili per mediare al meglio questo apprendimento, tra i bambini con lo spettro autistico e coloro che vogliono crescere e giocare con loro, e questo progetto si pone quindi come un primo passo nella definizione di uno strumento utile per studiare il gioco e l’interazione sociale nei bambini con autismo e moderata o grave disabilità intellettiva.