Skip to main content

autore: Autore: Pierluigi Giacomoni e Carlo Loiodice

La storia del Cavazza (parte seconda)

Pubblichiamo ora una replica a quell’intervento [parte I] a cura del consiglio di amministrazione dell’istituto

la produzione di libri in Braille

L’anno scolastico 1975/76 iniziò per l’istituto Cavazza con la presenza di quattro convittori, studenti delle Scuole Medie Superiori.
L’attività convittuale, da sempre riservata agli studenti ciechi delle scuole medie inferiori e superiori, dell’Università e del Conservatorio di Musica, era ormai al tramonto definitivo, per via del mutato atteggiamento politico e sociale riguardante l’integrazione scolastica.
Non più ghetti nei quali ricoverare i diversi, ma processi di integrazione che vedessero le persone con handicap sedute fianco a fianco degli altri ragazzi, nella scuola di tutti; che vedessero quelle stesse persone permanere nelle proprie famiglie di origine per trascorrervi la vita di tutti.
La Regione Emilia Romagna e gli Enti Locali del suo territorio, in prima fila nel sostenere questo nuovo credo pedagogico, che segnava un vero e proprio scatto di civiltà, aprì un rapporto di collaborazione con l’istituto Cavazza tendente a creare strumenti di sostegno da offrire alla scuola, alle famiglie, agli operatori, per favorire la politica di integrazione.
Da tale collaborazione nacque nel gennaio 1977 una importante convenzione che vedeva coinvolte oltre all’istituto e alla Regione, tutte le Province dell’ Emilia Romagna, il comune di Bologna, l’università degli Studi e l’Unione Italiana Ciechi.
Sorse una vera e propria attività di produzione di libri Braille per la scuola di libri parlati per gli studenti e per una vasta fascia di utenti ciechi.
Fu resa stabile una iniziativa avviata sperimentalmente da un gruppo di studenti ciechi bolognesi, provvedendo sistematicamente alla registrazione su cassette di due periodi settimanali tra i più diffusi sul territorio nazionale, attraverso il contatto diretto o il circuito delle biblioteche di pubblica lettura.
In questi anni, sono stati stampati e distribuiti oltre trecento libri Braille e circa seicento libri parlati che hanno raggiunto migliaia di utenti ciechi nella regione Emilia Romagna e su tutto il territorio nazionale.

la formazione dei ciechi e degli operatori

Nel 1979, con un’iniziativa coraggiosa e pionieristica, nasce la formazione professionale per ciechi, con l’avvio del primo corso per Programmatori Elettronici, svolto grazie alla feconda collaborazione con l’I.B.M. A tale corso, ne seguono negli anni altri 17, ai quali si affiancano 15 corsi annuali e due corsi biennali per centralinisti, tutti finanziati dalla Regione Emilia Romagna, tramite il Fondo Sociale Europeo.
L’insieme dei corsi ha consentito ad oltre quattrocento giovani ciechi di conseguire un titolo professionale e di ottenere un decoroso e produttivo inserimento nel lavoro, sia come centralinisti (il 100% dei diplomati), sia come programmatori (1’80% dei diplomati).
Parallelamente sono stati organizzati e svolti nove corsi annuali e biennali di Specializzazione tiflopedagogica per insegnanti e operatori della scuola, che hanno permesso di diplomare circa 700 persone, alcune delle quali sono state direttamente impegnate in attività di sostegno scolastico gestite dall’istituto.

Prodotti e tecnologie per ciechi

Dal 1982 ha preso il via l’attività di distribuzione di prodotti e ausili speciali ad uso dei ciechi che ha permesso a molti non vedenti di entrare in possesso di oggetti e prodotti spesso introvabili, prevalentemente importati dall’estero (registratori 4 tracce, dattilobraille, carte geografiche, strumenti per la casa, per la scuola, per il tempo libero ecc.).
Tale attività si è progressivamente specializzata e indirizzata verso dispositivi ad elevato contenuto tecnologico, legati prevalentemente alle apparecchiature informatiche. Così nel 1987 è stato realizzato il primo terminale Braille italiano per Personal Computer, MB 20, distribuito in un centinaio di esemplari, al di sotto del prezzo di costo, per promuovere la diffusione delle apparecchiature informatiche tra i ciechi. MB 20 ha avuto molte successive versioni, l’ultima delle quali, MB 408s consente agli utenti ciechi l’uso del personal computer in ambiente MS DOS ed MS WINDOWS.
L’attività tiflotecnica, coordinata con l’Unione Italiana Ciechi Nazionale, ha prodotto oggi show rooms permanenti, oltre che a Bologna, nelle città di Roma, Milano e Bari, mentre sono state organizzate numerose mostre itineranti in ogni regione d’Italia che hanno avvicinato le nuove tecnologie ad un gran numero di utenti.

Il Cavazza in Europa

L’attività dell’istituto Cavazza non si è fermata ai confini nazionali ma ha trovato validi sbocchi anche all’estero, tramite un’attiva presenza nell’ambito del progetto europeo Helios e l’organizzazione di azioni formative e di trasferimento tecnologico con l’associazione Panrussa dei ciechi e con l’associazione Panellenica dei ciechi.
A Mosca e ad Atene sono stati allestiti laboratori informatici a cura dell’istituto Cavazza ed è stata realizzata la formazione di insegnanti per la preparazione di programmatori non vedenti, grazie anche al supporto scientifico dell’A.S.P.H.I.

Risorse e patrimonio

Il patrimonio immobiliare dell’istituto è stato in questi anni parzialmente rinnovato e ristrutturato, assicurando oggi un livello di redditività molto soddisfacente, sebbene una quota rilevante degli alloggi venga riservata a non vedenti ex allievi dell’istituto, con una riduzione di canone del 25% rispetto ai fitti correnti.
Su 81 appartamenti di proprietà, 26 sono occupati da non vedenti, con un impegno finanziario per l’istituto stimabile in circa novanta milioni annui. Il bilancio generale dell’Ente risulta sostanzialmente in equilibrio, la situazione finanziaria e patrimoniale si presenta stabile e positiva, pur in presenza della contrazione dei pubblici finanziamenti e dei ritardi nella erogazione delle somme previste. Crediamo si possa affermare che l’istituto Cavazza è uno dei pochi enti da molto tempo disabituati ad accedere alle anticipazioni bancarie e a dover sopportare di conseguenza il pagamento di forti interessi passivi.

Progetti per il futuro

Molti avvenimenti si sono susseguiti negli ultimi venti anni; molte attività e iniziative dell’istituto sono nate, sono fiorite e si sono consumate, secondo quella dinamica di evoluzione della società che tutto brucia così rapidamente. Nel pensare al futuro, il Consiglio di Amministrazione dell’istituto ha ben presente tale dinamica ed è sorretto dalla convinzione che le attività da sviluppare debbano risultare organizzativamente flessibili e qualitativamente di contenuto elevato.
Il panorama nazionale della sicurezza sociale e delle politiche per la disabilita va mutando molto celermente: nuovi soggetti sociali e istituzionali si affacciano alla ribalta, nuove filosofie e nuovi modelli organizzativi vengono proposti per il dispiegamento delle attività che riguardano il settore. In questo quadro movimentato e fluido appare a noi presuntuoso e sterile enumerare le lunga elencazione dei bisogni, delle aspettative, delle iniziative che dovranno adottarsi.
La politica consiliare dei prossimi anni sarà uniformata ad alcuni principi basilari già concordati e adottati come criteri discriminanti dell’opera del consiglio:

1. Economicità delle iniziative, che dovranno svolgersi entro compatibilità finanziarie chiare e secondo progetti ben strutturati;

2. Razionalità dell’apparato organizzativo, che dovrà corrispondere alle esigenze di funzionalità delle iniziative svolte, senza dispersione di risorse e senza inutili sprechi;

3. Flessibilità nelle attività da svolgere, pronti ad adeguare strutture e professionalità alle richieste che provengono dall’utenza;

4. Qualità nelle prestazione erogate, che dovranno risultare di prim’ordine e soddisfare l’aspettativa dell’utenza;

5. Coordinamento della politica istituzionale con i principali obiettivi espressi in ambito locale e nazionale, in conformità con gli orientamenti politici e sociali più avanzati.

Gli interventi da attuare dovranno coprire, nella misura più ampia possibile, le esigenze degli utenti ciechi bolognesi e italiani: sostegno all’integrazione scolastica, formazione professionale e inserimento al lavoro, promozione culturale e aggiornamento professionale, riabilitazione dei ciechi adulti, attenzione per i pluriminorati e per le persone anziane.

(vai al primo intervento)

La storia del Cavazza (parte prima)

L’istituto più aperto d’Italia

Fondato, come tanti istituti del genere, verso la fine del XIX secolo utilizzando una serie di donazioni e lasciti, l’istituto si è specializzato nella formazione e nell’istruzione di giovani non vedenti. In specie esso dal 1926 ha accolto ragazzi che dovevano frequentare le scuole medie e l’università oltre al conservatorio. Da sempre la cultura è uno dei suoi obiettivi trainanti e i dirigenti del tempo vollero immettere nella società non vedenti capaci di essere autonomi e dotati di solida preparazione. In quel periodo l’Istituto si configura come un convitto: il giovane mangia, dorme, svolge i compiti dentro, ma si reca a scuola fuori. Gli studenti di musica frequentano le lezioni internamente ma anche per loro sono previsti momenti di contatto con l’esterno.
Questo modello ne fa l’istituto più aperto d’Italia e per molti non vedenti esso è il miraggio da raggiungere perché si sa che al Cavazza c’è una libertà che altrove non esiste. Per chi è costretto a vivere in collegi chiusi dove si può solo uscire in casi eccezionali, il Cavazza e’ l’America.
Nei primi anni ’70 due fattori concorrono allo svuotamento del convitto: la contestazione interna e le nuove concezioni pedagogiche che si affermano nella società. I convittori contestano l’idea dell’istituto come comunità separata; i genitori e le amministrazioni locali iniziano a considerare praticabili altre forme di integrazione scolastica.
Al di là dei massimalismi dell’epoca, alcune delle questioni poste allora, conservano ancora oggi una loro validità, non essendo ancora del tutto superato il problema dell’inserimento di chi non vede nella società. Tuttavia la sorte dei convitti è segnata: verso la fine degli anni Settanta anche il Cavazza si vuota e si trasforma. Invece del vecchio collegio per non vedenti si impone l’idea di un centro regionale che offra dei servizi, pur mantenendo inalterate le finalità specificate nello statuto.
Vengono promossi corsi di qualificazione professionale, viene introdotta l’informatica, si producono vari ausili per l’uso autonomo del calcolatore elettronico anche per chi non vede.

Ritorno all’ente assistenziale?

Tutto sembra andare a meraviglia: giovani di varia provenienza affluiscono in via Castiglione per studiare come si programma col personal computer, altri cercano il modo di acquistare ausili che permettano loro di lavorare, leggere e scrivere con i nuovi mezzi, altri ancora frequentano corsi per divenire centralinisti. Sennonché il 22 febbraio scorso i dirigenti del "Cavazza" hanno indetto una pubblica assemblea con larga partecipazione di ciechi bolognesi, nella quale hanno dichiarato uno stato di crisi delle attività e hanno richiesto ai presenti un contributo di idee. In realtà ciò che veniva richiesto era l’assenso ad un progetto di "depubblicizzazione" dell’istituto che in pratica consiste in un ritorno alla situazione anteriore al 1926, a quando cioè il "Cavazza" non era ancora un Ente di Istruzione, bensì un Ente di Assistenza. Quali sono dunque le ragioni che farebbero venir meno la necessità di un impegno nel campo specifico dell’istruzione?
Un’analisi è stata fatta di recente ad opera di un Comitato di ex-allievi e Amici dell’Istituto "Cavazza", il quale ha reso pubblico un documento in cui si denunciano alcuni fatti importanti:

– mancanza di una progettazione complessiva;
– mancato rinnovo delle convenzioni con la Regione Emilia-Romagna e le Unità sanitarie locali per l’assistenza ai non vedenti in età scolare;
– inefficienza nella stampa di materiali in Braille o nella registrazione su nastro di opere e testi necessari allo studio
– dispersione di una delle maggiori biblioteche in Braille esistenti in Italia;
– rinuncia ad ogni tentativo di aggiornare la convenzione con il Conservatorio "Martini" onde permettere ai ragazzi ciechi portati per le attività musicali di affrontare un corso regolare di studi nella mutata situazione di superamento del convitto;
– inaridimento dei progettati corsi per programmatori elettronici e per centralinisti telefonici (quest’anno ha funzionato un solo corso per diciotto centralinisti, mentre l’istituto paga lo stipendio a quattordici dipendenti);
– pressoché totale latitanza nell’assistenza agli ex allievi, prevista dallo statuto, eccettuati alcuni contratti di affitto di appartamenti di sua proprietà che l’amministrazione ha stipulato con non vedenti a condizioni favorevoli rispetto al mercato.

Comunque la si guardi, oggi la situazione del "Cavazza" appare paradossale: c’è una struttura, c’è un patrimonio immobiliare, c’è una memoria pedagogica ed esistenziale, non c’è invece traccia di una reale volontà di rinnovamento, se è vero, come è vero, che una apposita commissione nominata dal presidente della sezione di Bologna dell’Unione Italiana Ciechi, dopo essersi insediata il 23 maggio scorso, da un lato ha proceduto con audizioni di esperti, ma dall’altro si è arenata su una richiesta di documentazione (programmi, bilanci, convenzioni attivate e disattivate, ecc.) che al momento non è stata ancora esaudita, malgrado, o forse proprio per lo strettissimo intreccio di uomini e funzioni oggi esistente fra l’istituto e l’Unione.

Il domani, un centro di servizi

Ciò che il comitato degli ex allievi e degli amici dell’istituto "Cavazza" vuole realizzare e’ un Istituto regionale e nazionale per la documentazione, la ricerca, l’aggiornamento e la consulenza sull’istruzione dei minorati della vista. Al di là della pomposa denominazione si vorrebbe creare un centro di servizi rivolto in generale ai minorati della vista, quindi anche a coloro che pur non essendo veri e propri ciechi, hanno bisogno di sussidi per integrare le loro carenze visive. Un centro di servizi articolato in vari settori: la musica, la cultura e la produzione di testi, la documentazione specifica, gli ausili informatici, la prevenzione delle malattie dell’occhio e così via.
Si tratta di un progetto di ampio respiro che punta sul sostegno degli enti pubblici (anche in prospettiva europea), ma anche dell’esperienza di privati in un’ottica di flessibilità e di programmazione.
Si vorrebbe inoltre fare del Cavazza un centro di aggregazione culturale, un luogo dove sia possibile incontrarsi, ascoltare musica, assistere a conferenze, incontri e convegni.
Un sito plurisettoriale, in poche parole, che non interessa solo chi non ci vede ma tutta la nostra città. Via Castiglione è una strada stretta dove non passa nemmeno l’autobus ad un certo punto si allarga all’improvviso. Lo avrà voluto il caso ma l’istituto è proprio lì, dove circola più aria, dove passa più gente. Basta con le chiusure…

[…to be continued]