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autore: Autore: Pio Campo

Leggere la speranza

Ci muoviamo persi nei sentieri di un mondo poco comprensibile. Mi guardo intorno e vedo i giochi di potere, le guerre, la distanza fra gli uomini, l’incomprensione, il dolore. I miei passi ogni tanto si appesantiscono e mi viene la tentazione di pensare che questo mondo, quello “ufficiale”, non cambierà mai. Sono passati 13 anni dal giorno in cui mi sono avventurato in questa terra del sud. Mi riconosco ancora nell’ansia di cambiamento che dava un impulso forte ai miei passi, nel des????????/Fr [CENTER][FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue][/COLOR][/SIZE][/FONT]
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89.148.25.221193.188.105.227on sono bravo abbastanza da spiegare con parole cosa sento quando li vedo scambiarsi dei baci. In quei momenti avverto che è vero che il mondo non cambia, ma mi pare che nel sorriso di questi bambini risiede il segreto per continuare a sperare.
Mi ritorna in mente una immagine veloce che deve risalire ai miei primi anni di vita perché mi rivedo, forse a tre o a quattro anni, appena sveglio e col volto di mia madre che mi sorride. Durante l’infanzia e anche dopo, mi si stampava negli occhi quando avevo paura ma allora tutto sembrava più facile: mi ricordavo semplicemente che qualcuno mi amava. Credo che se possiamo seminare anche nei nostri piccoli ospiti, immagini come la mia che, nei momenti difficili, diffondono un sapore di sicurezza, qualcosa che sa di casa, allora la nostra azione avrà avuto senso.
E in questo seminare senza certezze colgo la sfida contro l’inerzia, contro il male che ci affligge e ci porta a pessimistiche considerazioni piuttosto che ad attive azioni o reazioni.
Nell’ospizio dove lavoro da cinque anni con la danza di Maria Fux, è arrivata Aparecida. Rispetto agli altri ospiti riconosco che è stata più fortunata perché è approdata a questo porto dopo una esistenza agiata, con marito e figli, come si dice, ben sistemati. Ma ne’ il denaro ne’ i figli le hanno evitato il morbo di Alzheimer e la tristezza di essere internata in un istituto. Di discendenza araba, Aparecida si esprime in una lingua di “taratatà”, qualche parola araba e un po’ di portoghese, di tanto in tanto. La sua realtà è altra. I cieli che la sua mente percorre farebbero desistere da qualsiasi tentativo di comunicazione. Eppure nei nostri incontri di danza mi riconosce a fiuto, già che la vista se n’è andata. Insieme balliamo e ci scambiamo i nostri “taratatà” interminabili. Leggo in quei momenti una eterna felicità che la scuote. So che esprimersi con “taratatà” o in un buon portoghese non fa molta differenza. La differenza sta nel nostro stare insieme, nel concederci un piacere reciproco, che apparentemente è un perdita di tempo, e nel lasciarsi trasportare dalla danza che è la danza della vita.

Produrre incanto

Mai come oggi comprendo le parole di Robson che in questi anni mi ha instancabilmente trasmesso l’importanza di PRODURRE INCANTO. Incanto che lotta contro la miseria, la tristezza, l’ignoranza. E così mi ripeto che se nel nonsenso di tutta questa confusione che viviamo oggi troviamo ancora la forza di incantare gli altri, allora sì, il mondo potrà cambiare.
Vedo la mia maestra di danza e di vita, Maria Fux, che oggi, a ottanta anni, propone seminari di danza in una Argentina sconvolta da un processo di degrado terribile. “Danzare per lottare, per resistere, per scuotersi di dosso il dolore, il nonsenso, la paura”. Così mi dice Maria. E così incanta.
Nelle sue parole, nell’azione testarda e quotidiana dei miei compagni, nelle ore coi bambini, nella danza con Aparecida e i suoi colleghi un po’ folli, mi ricarico di speranza e me ne rivesto perché i miei occhi sappiano leggere. Mi dico che va bene così, nonostante tutti gli errori che commetto, la stanchezza e le disillusioni, so e sento col cuore di avere ancora la capacità di leggere la Speranza.
E leggerla mi permette di vivere, di continuare il cammino anche quando sento che ci muoviamo persi in questo mondo poco comprensibile.

Il volo dei tucani

Pio Campo*
*educatore a Vila Esperança – Goias (Brasile)

Credo che  molti abbiano assistito al film “Il pianista”. Non so se  sia piaciuto o meno. Su  di me ha avuto un effetto “apnea”. Per tutta la sua durata ho creduto di non poter respirare e  mi ha accompagnato il pensiero fisso che  quell’orrore faceva parte di una storia non troppo lontana da me. Ripensando alla mia vita ho creduto di poter minimizzare i problemi che mi accompagnano se paragonati allo scandalo vergognoso che una guerra rappresenta. Ma poi, conversando coi miei compagni di vita, siamo giunti alla conclusione che, in realtà, le guerre nascono all’interno di ogni nostro atteggiamento di chiusura; nodi che creiamo nello spazio che ci circonda, negli affetti malati, nel non fluire di sentimenti di pace. Credo che questo ci responsabilizzi in prima persona sugli eventi bellici che flagellano il mondo e che corriamo il rischio di vivere con una distanza che ci salva dallo spavento di sentirci in qualche modo partecipi. E penso anche che sarebbe opportuno se i Bush sparsi nel mondo avessero la possibilità di incontrare, almeno una volta nella vita, un pianista che facesse riflettere sulle conseguenze di un nodo ben dato intorno al cuore. Noi tutti abbiamo bisogno di note che trasformino l’ambiente in cui viviamo in uno spazio aperto, libero dalla violenza; un campo aperto per l’amore.
Scrivo di Lucas, lo chiamerò così stasera, che è arrivato qui carico dei suoi sei anni di guerra, anni in cui nessun pianista ha suonato per lui. Nel  gruppo della prescuola si distingue per una aggressività disperata. Un giorno, una delle insegnanti della Vila,  mi mostra un po’ frastornata i segni di un morso che Lucas le ha inferto nel braccio, facendolo sanguinare. Non è la prima volta che succede. In qualsiasi momento in cui cerchiamo di stabilire dei limiti, Lucas si ribella e elargisce  aggressioni fisiche ai compagni, insegnanti, a chiunque gli stia vicino. Non è l’unico, ma diciamo che lui si contraddistingue per la frequenza degli attacchi. Niente pare interessarlo e il suo unico vanto è quello di saper dare pugni in pieno viso, senza alcuna remora. Cerchiamo aiuto in un ente pubblico che dovrebbe fornire  assistenza psicologica alle famiglie. Mi dicono che conoscono il suo caso. “Si sa” che Lucas tutti i giorni riceve bastonate e che lo picchiano in pieno volto. Entriamo  in contatto con la madre.
Alta e magra, la pelle scura, un viso segnato da una timidezza dura, qualcosa di strano che disegna i lineamenti con un misto di terrore e tenerezza. Mi ascolta con gli occhi bassi e alla fine le chiedo di raccontarmi un po’ la storia del bambino. È nato sei anni fa nel Mato Grosso da una storia d’amore con un uomo che lavorava la terra in una fazenda. Amore e povertà estrema nutrono i  primi due anni di vita del bambino, ma i vermi prolificano tanto dentro la sua pancia da provocargli una serie di disturbi ogni giorno più violenti. Non ci sono medici né ospedali e lei, la chiameremo Ana, decide di tornare a Goiás, la sua terra natale, per farlo curare. Un viaggio che non so dire, senza soldi, distante. Il padre che amava Lucas e che Lucas amava, si perde nei chilometri che li separano. Mai più lo si rivede, per un motivo così incredibilmente crudo e reale come la mancanza di soldi per il biglietto di autobus. La storia di Ana è la storia di tante donne e uomini che, per  mancanza di mezzi e per situazioni che si dipanano nel corso dell’esistenza, ricreano famiglia e fuggono dalla solitudine e dal dolore. Ana si unisce a un nuovo compagno, ha due figlie con lui. Lui beve e spende tutto in alcol, è violento, duro, arrogante. I fallimenti e le amarezze ricadono sui figli, un circolo senza interruzioni di violenze e fame. Ana mi dice che Lucas dorme tutte le notti in un posto diverso. A volte per terra, a volte sul divano sfondato. Non ha mai avuto un vestito suo, né un giocattolo. Sogna con una stanzetta tutta per lui che vorrà un giorno condividere con la sua fidanzata. Rimango in silenzio, non so cosa dire. Mi pare che galleggiamo entrambi, Ana e io, in un mare senza risposte, senza soluzioni. L’apnea ritorna come un vuoto grigio e mi ricordo delle note, del pianista. Le dico se ha tempo, per dieci minuti al giorno, di prendere in braccio Lucas e di baciarlo e fargli delle tenerezze. Mi guarda coi suoi lineamenti in disordine, forse la proposta sembra banale, strana. L’esperienza dell’amore, del contatto fisico di pace, ha sempre toccato le corde della  mia anima facendola suonare. La sua musica è indimenticabile e marca fedelmente i cambiamenti più profondi della mia esistenza. Le note da piccolo di mia madre, le note di chi mi accompagna nella vita, le note di Maria Fux nella danza, di Pai Marcos che mi guida nel cammino della spiritualità. Tanti nomi che hanno prodotto e producono musica nella mia vita. Mi ricordo di questo e guardo Ana che non sente la musica. Se ne va e so che non ho il potere di imporle i dieci minuti d’amore fra lei e il figlio ma sento che l’intuizione ci può condurre nella direzione di un incontro con Lucas.
Tutti qui alla Vila iniziamo con lui, e con altri piccoli con problemi simili ai suoi, una vera e propria crociata di baci. Lucas resiste all’inizio e mi dice che a lui i baci non piacciono, ma ogni giorno di più cede alla musica del cuore e si abbandona a una tenerezza senza limiti. I morsi scompaiono, le crisi diminuiscono e lentamente appare un bambino coi ricci, gli occhi dolci e neri senza fine, la pelle scura come quella di Ana. Oggi all’uscita di scuola hanno tardato nel venirlo a prendere e mi si è addormentato in braccio, al suono delle note del pianista.
Adesso è pronto a iniziare il suo volo, come i tucani che hanno portato qui quasi un anno fa senza penne, appena nati, sequestrati da non so dove e senza un destino certo che non fosse lo zoologico. Li abbiamo tirati su, in un luogo chiuso per proteggerli dai predatori notturni. Un mese fa li ammiravamo nella bellezza del piumaggio adulto, ma abbiamo aperto le porte della grande gabbia per restituirli gradualmente al cielo al quale appartengono. Ho temuto per un po’ che si facessero fregare, che si facessero male, che morissero. Ma loro volano e volano ogni giorno più in alto. Non se ne vanno mai troppo lontano e non è raro vederli appollaiati alle finestre, assistendo alle lezioni. Sarebbe bello se potessero stare sempre da queste parti, ma so che un giorno il bando passerà e andranno. Mi rallegra la sensazione incredibile di vederli librare alti nel cielo. Non c’è niente di più meraviglioso che assistere al volo di qualcuno, anche se questo comporta distanza e una certa dose di sofferenza. Non so descrivere. I tucani mi parlano, durante i loro voli, di Lucas e dei suoi compagni. Aspettiamo, noi della Vila, che questi bambini si nutrano e crescano. Questa è la nostra funzione con loro. Seminare baci e note musicali, iniziare al volo, stabilire limiti e, a volte, “esser duri ma senza perdere la tenerezza”.
Il volo ci sarà, come per ciascuno di noi.
I tucani non mentono mai. Con le ali spiegate e il becco colorato del colore del sole ci guardano dall’alto e, ci giurerei, oggi li ho visti sorridere.

Informazioni su Vila Esperança
Vila Esperança è una associazione il cui scopo è lavorare sul riscatto e sulla valorizzazione della cultura brasiliana e quindi sulle radici culturali indigene e africane, che sono i due ceppi che compongono, insieme alla razza bianca, la mescolanza che è il popolo brasiliano. Ci sono duecento bambini che frequentano assiduamente la Vila. Quello che colpisce è il suo essere una scuola a cielo aperto, un labirinto di stradine e sentierini che collegano “l’aula di geometria” (una scalinata composta da figure tridimensionali) al tendone del circo, dalla sala cucina al teatro indigeno, e ad altri posti ancora, sempre immersi nella vegetazione, circondati da “totem” e da una grande varietà di animali. La scuola di Vila Esperança è rivolta alla classe povera, ai bambini che vivono nella favela.

Per saperne di più su Vila Esperança contattare:
Casa della Solidarietà – Rete Radiè Resch
Via delle Poggiole 225 – C.P. 74 – 51039 Quarrata (Pistoia)
Tel. 0573/75.05.39-71.85.91-71.71.79 – Fax 0573/71.85.91
e-mail: a.vermigli@rrrquarrata.it
www.rrrquarrata.it/index.htm