Skip to main content

autore: Autore: Valentina Campana

Crescere nella legalità

Cos’è l’educazione alla legalità?
Negli ultimi anni, in particolare in seguito alle stragi mafiose del 1992 e a Tangentopoli, è maturata nella società italiana la consapevolezza della necessità di impegnarsi in processi di educazione alla cittadinanza e alla legalità. Se la lotta per la legalità non vuole essere un qualcosa di formale e astratto, deve essere condotta attraverso il coinvolgimento di tanti e basata sulla salvaguardia e sul rafforzamento della democrazia. All’attività della magistratura e delle forze dell’ordine bisogna allora affiancare un’azione sociale, educativa. Un’educazione alla legalità appare, dunque, fondamentale per combattere l’illegalità e la cultura mafiosa fatta di omertà, violenza, sopraffazione.
La scuola può svolgere un ruolo fondamentale: è la prima fondamentale istituzione, dopo la famiglia, con cui i bambini si confrontano e in cui sperimentano il rapporto tra le regole sociali e i comportamenti reali.
L’importanza del ruolo educativo della scuola nella lotta all’illegalità, e in particolare alla mafia, ha iniziato a farsi strada negli anni ’80, ma è nel 1993 con una Circolare del Ministero della Pubblica Istruzione (Circolare del Ministero della Pubblica Istruzione n. 302 del 25 Ottobre 1993) che la scuola è chiamata a svolgere un ruolo più continuativo e strutturato. Innanzitutto la scuola deve divenire promotrice di una riflessione e di un’azione “volta alla riaffermazione dei valori irrinunciabili della libertà, dei principi insostituibili della legalità”; “soltanto se l’azione di lotta sarà radicata saldamente nelle coscienze e nella cultura dei giovani, essa potrà acquisire caratteristiche di duratura efficienza”.
L’educazione alla legalità, secondo la concezione espressa dalla Circolare, consiste nella creazione e nella diffusione di una cultura dei valori civili “che intende il diritto come espressione del patto sociale, indispensabile per costruire relazioni consapevoli tra i cittadini e tra questi ultimi e le istituzioni”, che fa acquisire una nozione più profonda dei diritti alla cittadinanza, che aiuta a capire che la vita personale e sociale si fonda su un sistema di relazioni giuridiche.

Il Progetto Calamaio e l’educazione alla legalità
Il Progetto Calamaio pratica e diffonde da sempre una cultura che valorizza l’altro e la diversità. Proprio come vent’anni fa quando il Progetto Calamaio nacque con lo scopo specifico di diffondere una nuova cultura della disabilità, così oggi esso inizia a sperimentarsi più consapevolmente nell’ambito dell’educazione alla legalità attraverso un approccio di tipo culturale. In realtà il tema della legalità è strettamente collegato a quelli che da sempre sono i temi tipici del Progetto: il rispetto, l’aiuto, la solidarietà, la creatività, l’identità, il pregiudizio e la diversità.
La persona diversabile, in quanto soggetto attivo e promotore di cultura, si fa ora promotore della cultura della legalità e fa nuovamente della propria diversità occasione di arricchimento. Le modalità e gli strumenti utilizzati spesso sono i medesimi: l’incontro diretto, l’analisi dei pregiudizi, le fiabe, le drammatizzazioni, i giochi di ruolo, di associazione di idee e sulla comunicazione e sul conflitto. Trova, poi, il suo punto di forza nella discussione, strumento indispensabile per far entrare in contatto con le idee di un’altra persona. Infatti, anche i bambini più piccoli interagiscono e negoziano attraverso le discussioni.
La pratica pedagogica risulta allora un importante strumento preventivo; essa permette, infatti, di formare le nuove generazioni a una mentalità diversa attraverso l’uso di un pensiero che superi la realtà data e proponga differenti modalità d’interazione con i gruppi di riferimento. La diversità deve essere connotata positivamente, il conflitto utilizzato come risorsa per il cambiamento; la soggettività non deve dipendere da codici pre-formati, ma da autenticità, creatività. Per realizzare il passaggio dall’identicità all’autenticità, il Calamaio utilizza il gruppo come importante strumento di formazione, poiché favorisce l’abbattimento di stereotipi e l’apertura del pensiero; il gruppo, infatti, aiuta a porsi domande e a confrontarsi.
Il Progetto lavora, inoltre, sul pregiudizio; al riguardo la prima cosa da fare è verificare quali siano le idee ricorrenti, analizzare cioè l’immaginario collettivo. Gli stereotipi, infatti, sebbene abbiano la funzione di rassicurare e fornire una visione semplificata della realtà, demotivano i processi di conoscenza e, quindi, la problematizzazione delle idee e dei comportamenti usuali. Confermare il già noto, o presunto tale, non può che creare disinformazione, mentre l’informazione è il punto di partenza per la comprensione di ogni fenomeno e l’eventuale modifica di opinioni e atteggiamenti. Si tratta perciò di una pedagogia alternativa, ossia un’educazione alla critica, alla rottura dei dogmi, del già dato. L’educatore, individuati campi specifici di riflessione, stimola, infatti, altri modi di fare e pensare, in particolare rispetto a quei comportamenti di complicità e sudditanza ritenuti “normali”, o comunque non modificabili, dalla maggioranza della popolazione.
A partire da alcuni aspetti tipici della cultura mafiosa è possibile individuare delle altre possibili direzioni educative. Ad esempio, le gerarchie tipiche della struttura dell’associazione criminale, basate su un potere carismatico e sull’ineguaglianza nei rapporti interpersonali, sono un primo punto da cui partire per far acquisire una logica dei rapporti sociali in cui diritti e doveri dei cittadini sono previsti da regole oggettive, al di là delle sudditanze clientelari e dei favoritismi. Così l’educatore del Calamaio cerca di cogliere ogni occasione per sottolineare l’uguale dignità di ogni persona, a partire dalla persona con deficit, e per avviare un percorso di formazione etico-politica nei giovani.
Un altro aspetto tipico della cultura mafiosa è il maschilismo: la donna è inferiore all’uomo, essenzialmente legata al ruolo di moglie e madre. Si tratta di sovvertire questo maschilismo attraverso una pedagogia che favorisca l’incontro e il confronto e un’educazione alla differenza, alla relazione femminile-maschile che valorizzi ogni forma di alterità, ma anche le uguaglianze.
Per quanto riguarda gli atteggiamenti tipici dell’omertà, innanzitutto ci si deve chiedere a quali bisogni essa risponde. Sicuramente tra questi vi è la protezione, diversamente conseguibile attraverso la solidarietà e, quindi, attraverso la concretizzazione in spazi effettivi di una cultura solidale in cui il giovane possa sentirsi riconosciuto e confermato.
Alla svalutazione del lavoro propria della mafia e ai guadagni facili delle attività illegali, il Calamaio, senza negare le esigenze di gioco e convivialità, che anzi sono strumenti indispensabili per il lavoro dell’équipe, evidenzia l’insostituibilità dell’attività pratica ai fini dell’autorealizzazione personale.
Infine, alla violenza il Progetto contrappone, in un’ottica preventiva, modelli alternativi che esprimono chiaramente come l’aggressività non sia sinonimo di forza; è possibile raggiungere i propri obiettivi attraverso il confronto dialogico, che arricchisce, e il ricorso alla legge. Naturalmente le attività proposte tengono in conto la differenza di età dei ragazzi cui ci si rivolge, per cui ad esempio con i più piccoli il discorso parte da sé, dall’importanza del rispetto reciproco, fatto maturare attraverso il gioco cooperativo.
Il Calamaio, quindi, si pone, tra gli altri, l’obiettivo di fornire ai più giovani gli strumenti per interpretare correttamente la realtà, per distinguere legalità e illegalità, onestà e corruzione e gestire la propria esistenza come cittadini liberi e consapevoli. Non si tratta di “insegnare” qualcosa, ma di “condividere” stili di vita, valori e sentimenti, aiutando le nuove generazioni a crescere attraverso esempi positivi.