Quanti di voi, da bambini, non hanno passato ore a controllare la mamma, o la nonna, alle prese coi fornelli, mentre impasta, si infarina, sbatte le uova, mescola gli ingredienti? E quanti non hanno poi inventato “il gioco della cucina”, realizzando, con la fantasia, una copia dei gesti degli adulti?
Beh, io mi divertivo tantissimo. Sia a osservare chi cucinava dentro casa, magari provando a dare una mano, per quel che potevo fare; sia fuori, in cortile, con gli amici, dove contenitori di qualsiasi tipo, anche all’apparenza insignificanti barattoli di yoghurt vuoti, diventavano nelle nostre menti pentole e tegami professionali; dove bastava un po’ di fango e un po’ d’acqua per inventare “deliziosi” manicaretti; dove foglie, bastoncini di legno, ghiaia diventavano decorazioni di zucchero o verdura da accompagnare agli “sformati” di fango.
Quello che sembrava solo un gioco era in realtà una vera e propria palestra per la mente.
Non solo per quanto riguarda la fantasia e la creatività: non dimentichiamo che l’arte del cucinare è anche per gli adulti (e non solo per gli sguardi curiosi dei bambini) un’attività sì di procedure ben precise da seguire, ma anche di invenzione e di creatività.
Si parla di palestra per la mente più che altro perché in cucina, o simulando l’azione di cucinare, si sviluppano alcune abilità: innanzitutto l’osservazione, l’esplorazione e la manipolazione, attraverso l’impiego di tutti i sensi. Inoltre, con l’esercizio di semplici attività manuali e costruttive, si imparano la messa in relazione, in ordine, in corrispondenza; la costruzione e l’uso di simboli e di elementari strumenti di registrazione di ciò che accade; l’uso di misure convenzionali e non convenzionali sui dati dell’esperienza; l’elaborazione e la verifica di previsioni, anticipazioni e ipotesi; la formulazione di piani di azione tenendo conto dei risultati; l’uso di un lessico specifico come strumento per la descrizione e per la riflessione; il ragionamento conseguente per argomentare e per spiegare gli eventi.
Queste abilità servono poi al bambino per tutti i suoi sviluppi futuri, soprattutto per quanto riguarda la sua relazione con gli altri, la sua capacità di interagire, di spiegare a se stesso ciò che gli sta intorno e di essere in grado di spiegarlo ad altri. Queste abilità servono dunque alla sua integrazione.
Per questo, proprio da questa parola, è stava avviata, nel Comune di San Lazzaro di Savena, alle porte di Bologna, una vera e propria cucina didattica. Nei locali di “Habilandia” – nome scelto dal Comune per una sede aperta a tutte le abilità e anche a tutti gli handicap, perché ciascuno di noi sa fare meglio una cosa e peggio un’altra, e ognuno, dentro “Habilandia”, può proporre quello che sa fare e mettersi in gioco in quello che non sa fare – dentro questi locali, dicevamo, è stata innanzitutto attrezzata una cucina accessibile anche a persone con deficit, e poi, tra bicchieri e ciotole colorate, hanno preso il via i laboratori di cucina.
L’obiettivo è realizzare processi di integrazione e anche di sviluppo cognitivo per bambini e ragazzi con deficit di vario tipo, soprattutto intellettivo.
Si parte con un intervento uno a uno, un faccia a faccia tra bambino e operatore. Poi, a seconda del tipo di deficit e della necessità di percorsi integrativi, si coinvolgono per esempio genitori e parenti, ma soprattutto l’intera classe scolastica del bambino. I laboratori di cucina avvengono quindi non solo singolarmente, ma anche a gruppi, tra bambino con deficit e bambini senza deficit, in modo appunto da integrare l’intera classe.
Bambini e ragazzi possono sperimentare le potenzialità didattiche della cucina, rafforzando la relazione tra logica-matematica ed esperienza pratica, come nel caso della misura, del peso e del cronometraggio dei tempi di cottura dei cibi. In questi laboratori vengono inoltre favorite e supportate le competenze pratiche e manuali di ogni partecipante, permettendo grande autonomia. La cucina diventa così un luogo di scambio e di confronto su quesiti e questioni pratiche che si presentano durante la realizzazione di una ricetta.
Per un bambino con deficit intellettivo, la cucina è anche un ambiente dove avere almeno una prima comprensione delle quattro operazioni matematiche, delle sequenze temporali, dell’analisi logica.
Aggiungere un ingrediente a un altro, travasare un ingrediente dal suo contenitore originario a un altro, versare un po’ di un ingrediente da una parte e un po’ da un’altra, dividere un ingrediente in parti più piccole, mescolare, accendere il fuoco, aspettare, ecc. sono attività dove entrano in gioco dimensioni di tipo temporale, come la simultaneità, l’ordine, la successione e la misurazione delle durate.
Con pazienza, i risultati attesi o sperati, ovviamente adattati e dimensionati al tipo di deficit del bambino in questione, arrivano, spesso anche inattesi o insperati. E ciò che si cucina sono vere ricette, veri biscotti, marmellate, cioccolatini, torte… tutte da mangiare e condividere all’interno della classe.