All’interno di un festeggiamento come quello di novembre 2006 in occasione dei 20 anni del Progetto Calamaio, diverse erano le nostre intenzioni e i nostri desideri.
Oltre a fare realmente festa con le persone, con le storie, con le idee realizzate e in fase di realizzazione, era nostra intenzione fare anche una ricognizione di quelli che per noi e per la nostra storia rappresentano i punti imprescindibili e fondamentali della nostra modalità operativa. Non solo quindi un punto sulle idee e su come sono evolute in questi anni, ma anche sugli strumenti e sulle modalità che utilizziamo quando entriamo a scuola.
Non poteva quindi mancare una riflessione e una esperienza legata all’idea di gruppo come strumento privilegiato di lavoro e luogo di esperienza di relazioni.
… Sto conducendo un corso di formazione rivolto a educatori, animatori e insegnanti.
Siamo disposti in cerchio. Abbiamo fatto un bel gioco di conoscenza, ci siamo scaldati creando un clima familiare e positivo. Anch’io mi sono presentata e soprattutto ho raccontato il mio ruolo all’interno del Centro Documentazione Handicap di Bologna: coordino il Progetto Calamaio. Entro nel merito dei contenuti, degli obbiettivi, della metodologia di lavoro. Racconto qualche aneddoto simpatico e divertente che faccia capire qualcosa della quotidianità di chi vive e fa vivere il progetto. Un corsista mi chiede approfondimenti in merito agli strumenti utilizzati dalla équipe degli animatori. Sono pronta a elencare: fiabe, canzoni, giochi di ruolo… Ma subito mi fermo. Sono ancora con la mente agli aneddoti appena condivisi, al clima di alcuni momenti più o meno divertenti e piacevoli vissuti con i miei colleghi e decido di spendere questo momento per raccontare del più importante fra gli strumenti del nostro progetto, uno strumento che non si potrebbe mai sostituire con altri, uno strumento che è fondamentale sia dentro al Centro Documentazione Handicap, nei momenti di preparazione e programmazione dei percorsi a scuola, sia dentro la scuola, durante gli incontri con i bambini, i ragazzi, gli insegnanti.
Si tratta del gruppo, il gruppo degli animatori, ma anche il gruppo che ci ospita, i destinatari dei nostri interventi. Sono le relazioni che nascono e crescono dentro ai diversi gruppi in cui ci troviamo a lavorare…
Il gruppo di lavoro
Il primo gruppo su cui ci troviamo a lavorare e a investire energie e risorse è lo stesso gruppo di animatori del Progetto Calamaio. Un gruppo di persone, di professionisti al cui interno si trovano le differenze, le difficoltà, i deficit e gli handicap che da molti anni rappresentano i contenuti del nostro lavoro.
Il gruppo Calamaio ha in sé due anime e due facce.
La prima è rappresentata dal gruppo di animatori – diversamente abili e “normodotati gravi e meno gravi” – che quotidianamente si ritrova nel luogo di lavoro – la bellissima e coloratissima stanza del Calamaio all’interno del Centro Documentazione Handicap di Bologna – e che con un ritmo sempre serrato lavora per la realizzazione del progetto. Ognuno ha abilità personalissime e interessi particolari da cui si prende spunto per definire le mansioni e i ruoli. Mansioni e ruoli che si integrano fra loro e rendono possibile l’espressione di un gruppo tanto variegato e tanto complesso.
Ma fare parte del gruppo Calamaio non significa soltanto progettare, programmare, fare cose, realizzare idee, contattare persone. Fare parte di un gruppo come il nostro significa anche, e prima di ogni altra cosa, mettersi in gioco su un piano personale. Comporta mettere in gioco e spesso anche in discussione un proprio modo di essere, con se stessi e con gli altri; analizzare, avere consapevolezza e essere disposti a rivedere il proprio modo di mettersi in relazione, la propria percezione di sé e delle altre persone, le proprie difficoltà e la propria disponibilità e capacità a superarle, lasciando entrare gli altri in dinamiche a volte piuttosto personali e intime.
Tutto questo non solo e non tanto perché crediamo che in un gruppo di lavoro le relazioni, il livello di condivisione e il benessere siano importanti, ma soprattutto perché tutto ciò rappresenta il materiale di lavoro che portiamo ai bambini e ai ragazzi di tutte le scuole che ci accolgono. Se non facciamo “palestra” di relazioni – e spesso relazioni difficili, dove è presente un deficit e quindi svariati handicap che a noi piace tradurre come difficoltà – come possiamo “convincere” i ragazzi della validità dei nostri argomenti?
Siamo credibili agli occhi dei ragazzi perché quello che portiamo loro altro non è che il risultato di un confronto costante tra noi, di una esperienza in continua crescita di relazioni tra le differenze.
Tutto questo è strettamente legato all’altra faccia del Calamaio: il gruppo educativo. Alcuni degli animatori del gruppo svolgono anche una funzione educativa nei confronti di alcuni animatori diversabili, facendo coincidere così un’attività lavorativa con un percorso di conoscenza e crescita per entrambi. Il percorso di accettazione e consapevolezza della propria condizione di disabilità diventa fine e mezzo allo stesso tempo di un lavoro per sé e per i destinatari dei nostri incontri.
La realtà lavorativa del Calamaio diventa così occasione per fare emergere e valorizzare le proprie reali abilità e interessi, trasformandoli in competenze professionali. Il gruppo di lavoro e le relazioni diventano una base di esperienza delle proprie abilità e delle proprie competenze per spendere il proprio ruolo professionale dentro e fuori il Centro Documentazione Handicap.
Il gruppo classe
La modalità operativa del Progetto Calamaio si riferisce a una concezione di uomo, di persona che sottolinea gli aspetti di “sanità” rispetto a quelli di patologia e che di conseguenza si ripropone di rinforzare le aree positive della persona, facendo leva su quelle caratteristiche considerate come più tipicamente umane come la consapevolezza, la libertà, la creatività, la socialità, ecc. Ed è proprio in questo contesto che il gruppo diventa un luogo in cui questi aspetti possono essere più facilmente attivati e potenziati; strumenti particolari che ricorrono alla corporeità, all’uso della creatività, della fantasia, ecc.
Tutto questo permette di lavorare e sperimentare all’interno di un clima piacevole, accogliente e rispettoso dove ognuno è in grado di esprimere le proprie potenzialità senza il timore del giudizio e delle aspettative degli altri. Solo a queste condizioni è possibile aprirsi alla possibilità di nuove modalità relazionali.