La comunicazione sociale nasce attorno alla diffusione e allo scambio di informazione sociale ossia attorno a quella sfera comunicativa fatta di soggetti, temi e pratiche che riguardano lo stare insieme, la convivenza civile, l’interesse comune. Non appartiene quindi a un settore circoscritto della società né della comunicazione. Tanto meno si tratta della sola distribuzione di pacchetti di informazione predefiniti riguardanti temi sociali. Ha piuttosto a che fare con lo scambio di informazioni volto a costruire nuove relazioni sociali, ossia nuove prospettive e forme di coesione sociale.
Nella comunicazione sociale – ancor più che in tutti gli altri tipi di comunicazione – lo scambio di informazione è un evento sociale. Non si tratta, come negli altri casi, di una comunicazione che si muove in un dato ambito di società, è piuttosto una comunicazione che fa la società, la rafforza, la integra e, almeno nelle intenzioni, la cambia. La comunicazione sociale parla di pratiche sociali, è fatta da pratiche sociali e ha come obiettivo il cambiamento di pratiche sociali.
Questo significa che dare una definizione di comunicazione sociale al di fuori del contesto in cui si attiva è difficile e pressoché inutile quanto raccogliere il mare con un cucchiaino. La comunicazione sociale si distingue infatti da altri tipi di comunicazione proprio per il fatto di non essere uguale per tutti, di non funzionare allo stesso modo in situazioni diverse e di non servire a tutti per le stesse cose. In altre parole, nella comunicazione sociale cambiando i fattori il risultato cambia. Eccome.
In questo senso l’aspetto fondamentale di una comunicazione sociale è il fatto di essere una dinamica locale e contestuale, ossia di dipendere imprescindibilmente dalle pratiche sociali e relazionali che la attivano. Per definirla occorre conoscere le premesse culturali e le condizioni sociali in cui si realizza, conoscere quindi chi fa comunicazione sociale e come, quando, con chi, per chi o per cosa si fa comunicazione sociale. La cosa importante è condividere la consapevolezza di fare una comunicazione che deve essere sociale negli obiettivi e nei modi.
Una comunicazione si qualifica e distingue in base al tipo di fonte, codice/registro, canale, messaggio e destinatario. Così dovrebbe succedere anche nel nostro caso: la comunicazione sociale si dovrebbe riconoscere per il tipo di attore sociale che la fa, per il linguaggio che usa, per il messaggio che veicola, per i canali che privilegia e per il destinatario a cui è rivolta. Questo è vero nella teoria così come nella pratica? Spesso diversi tipi di comunicazione si servono degli stessi canali e quasi sempre dello stesso codice; o ancora, diversi soggetti e operatori della comunicazione, occasionalmente o strategicamente, fanno uso di informazione sociale; e soprattutto, i pubblici di qualsivoglia comunicazione sono spesso sovrapponibili ai pubblici di qualsiasi altra rendendo estremamente alta la concorrenza per ottenere attenzione sul proprio messaggio, sulle proprie intenzioni e sulla propria identità di fonte credibile e autorevole.
Come uscirne? Come riconoscere la comunicazione sociale in mezzo a tante comunicazioni simili l’una all’altra? In un sistema complesso e omologo come quello della comunicazione, per trovare definizioni, analogie e differenze occorre fare attenzione ai modi e agli obiettivi della comunicazione piuttosto che ai contenuti che veicola. In altre parole, dove c’è informazione sul sociale non sempre c’è comunicazione sociale. Facciamo qualche esempio: il Comune X promuove una campagna di informazione contro il degrado urbano che prevede spot radiofonici e manifesti; l’operatore di telefonia radiomobile Y attraverso il servizio di messaggistica promuove la raccolta fondi a favore del paese Z colpito da calamità naturali; la sezione di partito K distribuisce in tutta la città manifesti a favore del voto ai cittadini immigrati. Siamo in presenza di casi in cui la comunicazione sociale si confonde rispettivamente con la comunicazione istituzionale, con il marketing aziendale, con la comunicazione politica. Le tre forme di comunicazione condividono con la comunicazione sociale il codice, i canali e – almeno a livello superficiale ed esplicito – il messaggio e i rispettivi pubblici di riferimento. C’è scambio di informazione sul sociale ma secondo modi e obiettivi non sociali.
D’altra parte pensiamo a uno spot televisivo e radiofonico contro il razzismo promosso da una rete della società civile; uno stand di una associazione di volontariato alla fiera del non profit; un pieghevole di presentazione dei servizi di una cooperativa sociale; un sito di presentazione di una ONP (organizzazione non profit); una conferenza stampa di una APS (associazione di promozione sociale) per la presentazione del calendario degli eventi della stagione. In questo caso è la comunicazione sociale a utilizzare gli strumenti della comunicazione di massa, del marketing comunicativo, delle relazioni pubbliche. C’è scambio di informazione sociale secondo obiettivi e modi non sociali o almeno non in prima istanza sociali.
Per definire una comunicazione che sia sociale nei modi e negli obiettivi occorre dare delle priorità nella scelta e nell’uso delle possibili dinamiche comunicative attivabili. E, soprattutto, occorre che queste priorità siano consapevoli, condivise e integrate nel contesto in cui si realizzerà l’azione comunicativa.
È la prossimità che rende sociali i modi e gli obiettivi della comunicazione. È la prossimità che fa la differenza tra informazione sul sociale e comunicazione sociale. È la prossimità che rende la comunicazione il più simile e integrata alle esigenze di coesione e qualità di vita della società in cui si interviene. Il modello progettuale e operativo che facilita la realizzazione della comunicazione in prossimità è quello della rete.
Un esempio attuale e chiarificatore del concetto di rete sociale per una comunicazione di prossimità possono essere l’agenzia di stampa Redattore Sociale (www.redattoresociale.it) e la rivista on line di informazione sociale BandieraGialla.it (www.bandieragialla.it). Entrambe – la prima a livello nazionale e la seconda a livello locale – lavorano secondo il modello della redazione diffusa. Hanno costruito cioè una rete di soggetti che lavorano, da diversi punti di vista, nel sociale e nella comunicazione con i quali hanno stabilito collaborazioni formali e informali per la raccolta e la redazione delle notizie e delle inchieste.
Un’altra forma di prossimità creata dalla messa in rete di competenze sociali e di comunicazione sociale sono i laboratori dell’Unione di Comunicatori Creativi, che lavora a Bologna e Roma e costruisce prodotti di video-documentazione su tematiche sociali in collaborazione con i Servizi Sociali territoriali e con gli Enti locali, coinvolgendo nei processi di produzione soggetti da diversi punti di vista esclusi o a rischio di esclusione.
Queste diversi interventi di comunicazione sociale hanno in comune il fatto di mobilitare soggetti che sono, sotto diversi aspetti, competenti e rappresentativi della realtà a cui e di cui si va a parlare, in modo tale da coinvolgerli più o meno direttamente nella realizzazione del prodotto finale nella veste di fonte primaria o, in alcuni casi, di comunicatori veri e propri.
 

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