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Spazio Calamaio – “Sì, viaggiare… evitando le curve più dure…”

Un dollaro, mille chilometri è il titolo del libro di Dominique La Pierre, resoconto dell’avventura che il famoso scrittore, nell’estate del 1948, a soli 17 anni, intraprese lasciando Parigi con soli 30 dollari, a bordo di una nave che lo fece sbarcare negli Stati Uniti, dove iniziò un viaggio di 30.000 miglia lungo tutto il continente Americano.

Qui fece i lavori più diversi e stravaganti, all’insegna dell’avventura, del divertimento e con la consapevolezza che avrebbe dovuto affrontare le situazioni più disparate e difficili che il viaggio gli avrebbe riservato.

“Una bici, mille speranze” è invece l’avventura di Mauro Talini, nato a Viareggio il 24 luglio 1973, che il 29 novembre scorso è partito in bicicletta da un paesino di Sasso Marconi (BO) per arrivare all’aeroporto di Bologna dove è decollato per La Paz (Bolivia). Qui ha iniziato la sua pedalata in solitaria, di circa 9.000 km, che realizzerà in Sud America, attraversando la Bolivia, il Brasile e l’Argentina e passando nei Centri di Accoglienza delle “Missionarie dell’Immacolata Padre Kolbe”.
Dal 2003 ad oggi ha realizzato diversi tour in Italia e in Europa (l’ultimo di 5.665 km nel 2007 attraverso Svizzera, Germania, Danimarca, Svezia, Finlandia, Norvegia con meta principale Capo Nord e conclusione a Tromso).
Fin qui sicuramente un’avventura che tutti potremmo dire coraggiosa e anche un po’ pericolosa, considerando che ha da poco attraversato le strade boliviane del traffico della droga e altri territori non del tutto raccomandabili, ma, al di là di questo, nulla di più. Tanti in passato e tanti altri in futuro si cimenteranno in competizioni e peripezie di questo tipo. Sicuramente non è il primo e non sarà l’ultimo. Se non per il fatto che Mauro Talini è una persona diabetica insulino-dipendente, che deve iniettarsi il farmaco per la glicemia 12 volte al giorno e quello per l’insulina 5 volte e che non può non farlo.
Allora ecco che tutto cambia, o per lo meno si complica… O si arricchisce.
“Nel 1984 mi è stato diagnosticato il diabete insulinodipendente – spiega Mauro in una delle tante interviste rilasciate – e nei primi anni di patologia ho cercato, per quanto possibile, di ignorare la malattia: non l’accettavo, la rifiutavo, la vedevo come un limite, come un elemento estraneo a me. Difficilmente nei primi dieci anni effettuavo uno stick durante la giornata. Poi sia per esperienza, sia per maturità capisci che se non l’accetti per quello che in realtà è, non vivi bene sotto nessun punto di vista e quando riesci a fartene una ragione, tutto ti è più chiaro, non lo vedi più come un limite, ma anzi come uno stimolo in più per migliorarti e dare il meglio di te, infatti adesso con l’impegno constante e l’autocontrollo giornaliero riesco a mantenere i valori nella norma e a condurre una vita regolare”.
Spiega Mauro che questo percorso, voluto e desiderato da lui, lo vedrà protagonista di una duplice sfida: lo scopo dell’impresa sportiva infatti vuole avere il significato simbolico di dare speranza di vita sana e fisicamente efficiente a tutti i giovani diabetici dimostrando come con l’applicazione, l’allenamento, la costanza e l’impegno nessun obiettivo è precluso ai diabetici, e il diabete non deve diventare una scusante per rinchiudersi in se stessi; il secondo obiettivo invece è quello di raccogliere fondi a sostegno del progetto “La Città della Speranza” di Riacho Grande in Brasile.
“Spero di aver dato e di dare una piccola speranza in più nel superare i propri limiti sia a chi è diabetico e sia a chi non lo è; il segreto è nell’accettarsi come siamo e nella volontà di voler cambiare; sono dell’idea che qualsiasi sogno vogliamo realizzare o qualunque cosa desideriamo fare nella vita, dobbiamo iniziarla il prima possibile!”.
È partendo dall’accettazione di una situazione e senza voler togliere o negare la fatica, la sofferenza, lo smarrimento che tale situazione porta, che si vuole cercare le possibilità per superarla o per viverla in modo diverso. Questo è anche quello che gli animatori del Progetto Calamaio vogliono, è ciò che il nostro progetto vuole trasmettere, e ciò partendo proprio da chi non potrebbe esporsi così tanto, o da chi non dovrebbe, in base agli insegnamenti della nostra cultura iperprotettiva.
Mauro ha voluto “trasformare la sfiga in sfida”, come esprime chiaramente il motto di Claudio Imprudente, presidente della nostra associazione Centro Documentazione Handicap: passare dal limite come confine che non mi permette di andare oltre, a limite come ostacolo-risorsa da saltare, da superare in una corsa avvincente, dalla condizione di vittima di una malattia a fautore di una rinascita, dal rischio di vittimismo alla possibilità di dinamismo e protagonismo, da persona con deficit e che non può fare, a individuo attivo che invece parte proprio da quella condizione di mancanza per dimostrare che può fare, per promuovere una nuova cultura dell’integrazione, ma preferisco dire della Possibilità, della Opportunità. E non solo, come dice lo stesso Mauro, legata solo ed esclusivamente ai diabetici (a chi ha un deficit, potremmo dire noi), ma per tutti. Questo sottintende ma significa anche fare un passo ulteriore così caro al nostro Progetto e cioè non considerare più l’esistenza di due mondi, disabili e non, malati e non, chi può e chi non può, ma un unico grande gruppo dove “tutti possono e non possono”, un nuovo spirito di fiducia, senza fare demagogia e quindi senza negare le difficoltà o gli effettivi impedimenti oltre i quali non si riesce ad andare, ma anzi cercare di arrivare a quei confini per poter dire: “Ho fatto tutto ciò che potevo. Ce l’ho davvero messa tutta”. In questo modo si vince sempre. Mauro aveva due possibilità: negare la sua malattia o metter su con essa una squadra. È già questa la prima e più importante vittoria di Mauro: essere riuscito a fare team con il collega più insopportabile.
E proprio lui in una delle sue ultime interviste dice queste testuali parole: “Il diabete non è un limite, anzi lo considero una scuola di vita. E così per questa avventura io non parto da solo: parto con la mia Bici e il Diabete. Ho loro come compagni di viaggio. Il diabete non è un mio nemico, bensì un mio compagno che non mi lascia mai. L’audacia racchiude in sé genio e magia ed è capace di fare emergere forze che anche noi stessi non sappiamo di avere”.
Il genio e la magia di cui parla Mauro potremmo paragonarli, farne un parallelo con ciò che noi del Progetto Calamaio identifichiamo con la Creatività, quello che ci permette di “tirare fuori” qualcosa da ognuno di noi in modo del tutto imprevedibile, che come dice Mauro, non pensavamo di avere. E il verbo “creare” deriva dal latino che condivide con “crescere” la radice kar: i due verbi vanno a braccetto, si cresce creando e si crea qualcosa di nuovo mentre si cresce; si cambia, ci si rinnova, si diventa ogni giorno nuove creature.
Da piccola a volte succedeva che mentre giocavo mi si rompeva un giocattolo e con la creatività cervellotica che mi è sempre appartenuta cercavo subito soluzioni pratiche per ripararlo e renderlo immediatamente riutilizzabile: una corda, un po’ di nastro adesivo, una graffetta, un filo di spago, un tronchetto di legno. Quando ci riuscivo lo facevo vedere con soddisfazione a mia madre e lei, ancor più compiaciuta di me nel veder che la sua bambina le studiava tutte per risolvere il problema, non mancava una volta che non mi dicesse: “Vedi: il bisogno aguzza l’ingegno!”.
Bisogno di sentirsi vivi, sentirsi ascoltati, considerati, sentirsi di appartenere a qualcosa e/o a qualcuno. Bisogno di ricevere fiducia e di darne, bisogno di non essere uno dei tanti, ma di essere uno, unico. Bisogno di essere riconosciuto e visto. Bisogno di essere utile: bisogno di dare e non solo di ricevere.
Non solo il bisogno pratico di riparare un oggetto. O quello fisiologico di bere e mangiare.D’altronde anche il famoso attore hollywoodiano John Malkovich in una sua recente dichiarazione ha detto: “In un mondo in cui tutto dipende dalla tecnologia essere bohémien offre maggior respiro… E per uscire dalla crisi si deve puntare sulla creatività”.     
Allora puntiamo su un numero vincente, noi stessi, e saliamo sul palco per il debutto. “Comunque vada sarà un successo”.

 




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