L’incontro fa parte delle iniziative mensili organizzate dalla commissione e dallo sportello e hanno come obiettivi prioritari quelli di: promuovere l’integrazione personale e sociale delle persone con difficoltà visiva; combattere l’isolamento agevolando i contatti tra vedenti e non vedenti e condividere le buone prassi; concorrere a favorire il superamento delle barriere, sia di quelle reali che di quelle psicologiche.

L’evento prevedeva la lettura di testi riguardanti il tema della bellezza, tratti da vari autori: Dario Fo, Erri De Luca, Fabrizio De André, Italo Calvino solo per citarne alcuni.

Vi proponiamo un’intervista a Lina Di Ridolfo, coordinatrice dei volontari dello sportello CIAO, che ci aiuta a capire meglio il rapporto tra bellezza e disabilità.

Come è avvenuta la scelta dei brani?

Innanzitutto siamo partiti da un brano di Calvino: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo tutti insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio” (I. Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano 2006, p. 164).

Poi ci siamo rifatti all’identità che Platone istituisce tra bello e bene: il bene è bello, anzi è il “vero” bello, e il bello, per essere veramente tale, deve avere a che fare con il bene, altrimenti è satanico. Viviamo in un mondo brutto e sporco e infelice: cercare la bellezza, dovunque si manifesti, darle spazio, significa trovare una pausa nell’inferno dei viventi, respirare una boccata d’aria pura. Quindi abbiamo cercato le varie manifestazioni della bellezza: la donna, la poesia, la città, l’istruzione, la democrazia, la libertà.

Secondo voi c’è ancora un nesso tra bellezza e disabilità? E qual è?

Ciò che spinge l’uomo fuori dalla caverna in cui siamo imprigionati dalla nascita, secondo Platone, è Eros, l’Amore per la bellezza. Il primo grado di bellezza da cui è attratto Eros è la bellezza dei corpi, segue la bellezza delle anime, quella delle leggi e delle istituzioni e, infine, la bellezza in sé che è solo dell’idea del Bene. La vera bellezza, quella che non muta, che dura nel tempo è la bellezza interiore. 

Un percorso di parole e di emozioni per sconfiggere antiche e moderne forme di negatività.

Quali sono le negatività a cui pensate con maggiore preoccupazione?

La paura, l’intolleranza, il pregiudizio, la violenza contro il diverso da noi e contro la natura, in ultima analisi tutto questo si ritorce contro noi stessi. Soprattutto domina la “negatività” della paura: il timore – angoscia di perdere quello che già si ha fa ossessivamente ricercare la sicurezza anche se spesso “ingannevole”.

Bellezza e disabilità: un problema che riguarda i disabili o un problema di chi guarda i disabili?

Certamente è un problema di chi guarda il disabile, spesso annebbiato da parametri pregiudiziali, che vogliono colui che non possiede o ha ridotte alcune abilità, necessariamente infelice o, peggio, inferiore rispetto ai normodotati. Eppure, conosco molte persone “normali” straordinariamente infelici…

È bene precisare che il tema della bellezza riguarda semplicemente l’umano, indipendentemente da chi guarda chi. E ciò risiede nel fatto che la bellezza è un assetto interiore, ha a che fare con il nostro senso della misura e con la capacità di trasformare ciò che siamo nella realtà in ciò che possiamo essere nella realtà, per come vogliamo e possiamo evolvere nelle nostre qualità.

È possibile educare alla bellezza? Quali strumenti si possono usare?

Innanzitutto, l’istruzione attraverso la scuola pubblica, e poi ogni volta che questo è possibile, “dare spazio” a tutte le occasioni di dialogo “vero”: frequentare luoghi dove si favorisce il confronto e si promuove “l’ascolto” e, soprattutto, si affrontano i problemi comuni e si opera per risolverli “insieme”, esercitando la pazienza e l’umiltà, sapendo che nessuno al mondo possiede il rimedio per essere felici, ma consapevoli che tutti insieme si può approdare a essere meno infelici.

In un mondo in cui i parametri della bellezza sono dettati dalle immagini, come si costruisce i suoi parametri una persona non vedente?

Paradossalmente, forse un non vedente ha un vantaggio: è portato a cogliere sempre la bellezza del cuore e generalmente non si lascia distrarre dall’esteriorità e dall’apparenza, ma non basta avere accesso al mondo delle immagini per comprendere i parametri della bellezza. Alle persone non vedenti, come a quelle vedenti, serve fornire principalmente una conoscenza storica e filosofica dei significati di volta in volta attribuiti a tali parametri. La conoscenza dell’idea del bello nelle immagini e nelle forme della rappresentazione, lungo il corso della storia, è un primo passo essenziale per capire come le immagini rappresentino le idee. L’idea di bello cambia nel tempo, nelle diverse aree geografiche e culture, persino nelle diverse circostanze di vita, poiché l’idea del bello è relativa a una configurazione di forme significative, volte a esprimere un concetto di armonia tra le parti, ma non solo, altrimenti non esisterebbero immagini non gradevoli che pure vengono percepite come belle perché espressive, corrispondenti al vero. Un’educazione estetica utile alla persona non vedente e vedente si basa sulla conoscenza delle categorie di senso attribuito alle immagini. Il resto, ovvero l’appropriazione dei concetti di forma che interessano il riconoscimento delle immagini, è cognizione. Tutto ciò interessa ancor più i sistemi della percezione e significazione delle immagini mentali che si creano in presenza di minorazione visiva: esse maturano attraverso l’esperienza del vero e la pratica della rappresentazione, per effetto di visioni mentali che, arricchite dalla facoltà dell’immaginazione e dalla potenza della metafora, fortificano i molti significati delle forme e ne permettono una estensione di senso. Le immagini del bello, maturate attraverso l’uso compensativo dei sensi residui, ad esempio del tatto vicariante la vista in caso di minorazione visiva, sono immagini che corrispondono a determinate idee codificate del bello; per questo esse devono maturare nella coscienza, sia percettivamente che concettualmente, in un percorso di studio che metta a confronto opere e poetiche diverse, metamorfosi del pensiero e del gusto, e permetta un discorso concreto sui modi della rappresentazione, sulla loro genesi e sul significato introspettivo dell’estetica.  

Nota dei curatori: Per la seconda volta affrontiamo il rapporto tra bellezza e disabilità, attraverso lo “sguardo” dei non vedenti. Questo, non perché crediamo sia l’unico modo per affrontare il tema, ma perché riteniamo affascinante scoprire come la mancanza di un senso importante come la vista ci permetta di valorizzare altri aspetti della bellezza.

Ringraziamo Lina e chi con lei organizza eventi di questo tipo, importanti a livello personale per chi vi partecipa ma anche a livello di cambiamento culturale.

Se volete sapete dove trovarci: claudio@accapalante.it.

Lasciate la vostra traccia di bellezza!