Una legge che esiste dal 1972. Disattesa, criticata, passata al vaglio più volte dalla Corte Costituzionale. Oggi, dopo vent’anni, continua a fare discutere la sua riforma. Quella dell’obiezione di coscienza e del servizio civile: una “guerra” combattuta all’ultimo codice. Fino a che una picconata…

Anche questa volta la storia si è ripetuta. Quando sembrava che l’approvazione della legge fosse ormai un dato di fatto, grazie a un’ampia base parlamentare che aveva espresso opinione favorevole, ecco intervenire l’ennesimo ostacolo, rappresentato da Francesco Cossiga, le cui obiezioni a molti aspetti del testo ne hanno impedito il varo definitivo. Dovremo così aspettare l’inizio della prossima legislatura per sentire riparlare di questa legge che, secondo quanto dichiarato dai nostri parlamentari, verrà ridiscussa secondo procedure preferenziali.
Il cammino a favore di una piena realizzazione dell’obiezione di coscienza e di una normativa che ne valorizzi il significato etico ed elimini ogni discriminazione rispetto alla leva militare è destinato, dunque, a proseguire. Si tratta di un processo ventennale, apertosi nel 1972 quando, con l’approvazione delle legge 772, se ne sancì la legittimità. Prima di quel provvedimento, l’obiezione era equiparata a un atto di disobbedienza civile, l’atteggiamento, cioè, di chi trasgredisce la legge – in questo caso l’art. 52 della Costituzione sul diritto-dovere alla difesa della patria – accettandone però la sanzione.
Con questa legge si consentì ai giovani che dichiaravano di "essere contrari in ogni circostanza all’uso personale delle armi per imprescindibili motivi di coscienza… attinenti a una concezione generale della vita basata su profondi convincimenti religiosi, filosofici e morali" di poter sostituire il servizio militare armato con quello non armato (svolgendo incarichi di carattere logistico, tecnico e amministrativo) oppure con il servizio civile.
Pur avendo valorizzato per la prima volta la coscienza individuale, quel testo presentava molti limiti. Così negli anni ’80 numerose furono le sentenze costituzionali che intervennero per modificarne le incongruenze.
La sentenza 164/1985 ha dichiarato la legge 772 conforme alla Costituzione, facendo cadere le riserve di legittimità che alcuni tribunali amministrativi regionali avevano sollevato in relazione all’art. 52 della Costituzione. La Corte Costituzionale, infatti, affermò in quell’occasione che il servizio militare non esaurisce da solo il dovere di difesa, ma ne costituisce soltanto una delle possibili attuazioni. La difesa della patria veniva così concepita in maniera più ampia, cioè come difesa e sviluppo del territorio nazionale e della popolazione, ambiti che richiedono un impegno sociale non armato.
Nello stesso anno il Consiglio di Stato ha ridimensionato l’idea dell’obiezione di coscienza come beneficio dello Stato modificando le funzioni della commissione ministeriale che, secondo la normativa del 1972, era chiamata a esprimere un parere obbligatorio ma non vincolante sulla fondatezza della domanda di obiezione stessa. Per il margine di discrezionalità insito in un’operazione del genere che trasformava questo organo in un vero e proprio "tribunale delle coscienze" – dal momento che una motivazione individuale non è assoggettabile a un giudizio giuridico – la sentenza dichiarò che "l’obiettore ha solo l’onere di indicare i motivi che dal legislatore sono stati astrattamente ritenuti meritevoli della deroga all’obbligo militare". La commissione doveva valutare esclusivamente la loro attendibilità, con la possibilità di dare un giudizio negativo solo in caso di "mancata fondatezza" di quei motivi.
Un’ulteriore modifica della legge 772 si è avuta nel 1986 quando la Corte Costituzionale ha stabilito l’illegittimità dell’art. 11 che poneva gli obiettori sotto la giurisdizione dei tribunali militari, scelta dubbia dal momento che non facendo parte delle Forze Armate hanno anch’essi diritto, come un qualsiasi cittadino, di riferirsi alla magistratura ordinaria.

LA SVOLTA DELL’89

Nel 1989 altre due sentenze della Corte Costituzionale dichiararono rispettivamente che la pena per chi, non ammesso al servizio civile, rifiuta quello militare per motivi di coscienza dovesse essere uguale a quella di chi rifiuta a priori la chiamata alle armi senza addurre alcun motivo, prevedendo un periodo di reclusione da 6 mesi a 2 anni invece che da 2 a 4 anni, e che il servizio civile avesse durata uguale a quello militare, e cioè di 12 mesi invece che di 20, pur ammettendo la possibilità di una durata maggiore per esigenze formative.
Proprio su questo aspetto la recente legge non approvata prevedeva una serie di riforme innovative, tra le quali un periodo di formazione di tre mesi da attuare prima dell’entrata in servizio dell’obiettore e altri più brevi da inserire durante il periodo del servizio stesso per valorizzare il lavoro svolto.
Ma le novità più rilevanti riguardavano il diritto stesso dell’obiezione di coscienza, considerato soggettivo e non più concesso dall’alto, e la smilitarizzazione della gestione del servizio civile. Nonostante il carattere alternativo del servizio civile rispetto a quello militare fino a oggi la gestione degli obiettori era in mano al Ministero della Difesa, fatto contraddittorio se si pensa al carattere antimilitarista del servizio civile stesso. La legge rinviata prevede, invece, l’istituzione di un Dipartimento apposito presso la Presidenza del Consiglio diretto da personale civile, con il compito, tra gli altri, di controllare che il servizio svolto presso gli enti convenzionati – in numero maggiore e più diversificati rispetto prima – sia realmente utilizzato per il bene della comunità.

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