Senza di loro la vita dei disabili in Italia sarebbe stata certamente più difficile: sono migliaia gli obiettori di coscienza che hanno svolto il servizio nel campo dell’handicap. A volte si è trattato di un contributo innovativo, altre si è concretizzato in un’azione politica. Per alcuni obiettori l’incontro con l’handicap ha anche trasformato completamente la loro vita. Intanto la nuova legge sull’obiezione tornerà presto in Parlamento.

II lavoro svolto dalle associazioni dei disabili e dai gruppi di volontariato deve sicuramente molto all’apporto degli obiettori di coscienza che, da quando esiste la legge, hanno prestato il servizio civile in questo settore. Molti progetti non sarebbero mai stati realizzati senza il loro contributo.
L’affossamento della riforma della legge sull’obiezione di coscienza voluta principalmente da Francesco Cossiga, creerà necessariamente un disagio anche in questo ambiente, dove la precisa regolamentazione del servizio civile è il presupposto per il suo buon funzionamento.
La sua rilevanza per il mondo dell’handicap proviene direttamente dalla constatazione che la maggioranza degli obiettori viene impiegata proprio nel settore dell’assistenza. Secondo i dati più attuali forniti dal
ministero della Difesa nel 1990, su 9525 obiettori operanti ben 3842 (più del 40 per cento) si sono occupati di assistenza contro il 32 per cento impiegato in attività socio-culturali, 1112 per cento in protezione ambientale e il 3 per cento nella protezione civile. Nel 1991 la quota degli obiettori impiegati nel campo dell’assistenza è salita al 50,9 per cento del totale. La percentuale sale al 57,8 per cento se ci si riferisce agli enti convenzionati con il ministero della Difesa che operano nel settore dell’assistenza.
Da questi dati emerge chiaramente che, pur tenendo conto del fatto che per assistenza si intende anche il servizio con i tossicodipendenti, gli anziani e i minori, il lavoro con l’handicap ha rappresentato e rappresenta una parte considerevole del servizio civile in Italia. Parte destinata ad aumentare vertiginosamente dato l’incremento geometrico delle domande per l’obiezione di coscienza che si sta verificando negli ultimi tempi (basti sapere che nel 1991 sono state presentate 18254 domande).

Un lavoro di assistenza e di animazione

II lavoro svolto dagli obiettori nel campo dell’handicap è stato ed è importante, anche se le prime generazioni di obiettori erano mediamente più agguerrite dal punto di vista delle motivazioni e dell’impegno. Dieci anni fa chi faceva l’obiettore viveva questa esperienza come un’avventura, ora il clima è cambiato, nonostante il problema legislativo irrisolto.
A questo si possono aggiungere i progressi ottenuti dai disabili per cui ciò che era innovativo e sperimentale 15 anni fa, ora è un servizio svolto dal servizio sociale, così normalmente un obiettore viene impiegato in un progetto già collaudato.
Nonostante tutto ancora oggi è facile rilevare l’importanza del lavoro svolto dagli obiettori, anche perché nel campo dell’handicap ci sono ancora delle grosse aree da esplorare come quelle che riguardano le questioni abitative.
"Da noi si fa un servizio civile molto impegnato, a tempo pieno, del resto chi viene da noi sa già cosa l’aspetta"; chi parla è Antonio De Filippis, 34 anni, responsabile degli obiettori della Comunità Giovanni XXIII. Quando fece il servizio civile nell’86 si autoridusse il periodo secondo una forma di lotta politica usata dagli obiettori di allora. Processato, è stato assolto dopo la sentenza della Corte Costituzionale che equiparava la durata del servizio civile a quello militare. Antonio si è anche fermato nella Comunità ed è ora responsabile di una delle case famiglia.
La Giovanni XXIII dispone ogni anno di una quarantina di obiettori che vengono impiegati nelle case famiglie (dove sono presenti delle persone handicappate) con funzioni assistenziali e di animazione; alcune di queste comunità sona nate grazie all’impegno di un obiettore e sono ancor oggi funzionanti.
Chi fa obiezione di coscienza molte volte ha anche alle spalle un’esperienza politica o comunque di impegno sociale che si traduce immediatamente nel nuovo servizio. NeII’89 un gruppo di obiettori della stessa Comunità distribuirono un questionario agli abitanti di Igea Marina per sensibilizzarli sul problema delle barriere architettoniche nella cittadina: l’azione ebbe dopo dei risultati concreti per quanto concerne il comportamento dell’amministrazione pubblica. Questo è solo uno dei tanti esempi che si potrebbero fare.

Un tuffo nel passato

A Bologna dal 1979 al 1981 un gruppo di obiettori lavorarono per l’inserimento di 8 ragazzi handicappati gravi nella scuola secondaria superiore: "A quel tempo c’era un clima carico di pregiudizi – ricorda Massimo Manferdini membro del gruppo – e nessuno al di fuori di noi poteva fare questo lavoro, la dimensione promozionale era la nostra competenza e in quegli anni ci sentivamo dei pionieri". Di fatto il loro compito era quello di fare da mediatori tra l’alunno disabile e professori, i bidelli, gli alunni; un campo nel quale allora c’era solo la sperimentazione ed era anche necessario trovare nuovi strumenti per comunicare, per far entrare in rapporto i disabili con il resto della scuola.
Da questa esperienza è stato tratto anche un libro, "Ti presto un braccio", pubblicato dalle edizioni Dehoniane nel 1983. Dal testo si capisce chiaramente il nesso che lega un obiettore al mondo dell’handicap: il rifiuto della violenza porta direttamente al discorso della solidarietà, così come il rifiuto degli sprechi (che comporta il mantenimento di un esercito e la costruzione e l’acquisto di armi), porta alla richiesta di una diversa distribuzione delle risorse, soprattutto verso i bisogni sociali.
Altri esempi di contributo del servizio civile all’handicap possono rifarsi alla nostra stessa esperienza; il Centro di Documentazione Handicap di Bologna nato nel 1982 è la creazione di un gruppo di obiettori di coscienza che prestavano il servizio civile all’AIAS e di un gruppo di disabili che ebbero l’idea di creare un luogo dove raccogliere tutto ciò che si pubblicasse sull’handicap.
Un luogo dove rielaborare il materiale raccolto, soprattutto tramite le riviste edite dal Centro, un luogo dove affrontare luoghi comuni sull’handicap e per proporre un tipo diverso di cultura dove il disabile non era più visto come un "oggetto" da curare, da riabilitare, ma come un portatore di esperienze, di bisogni, di una sua cultura per molti aspetti anticonformista. Certamente un’esperienza di questo tipo difficilmente sarebbe scaturita da un servizio pubblico e nemmeno da un’associazione tradizionale che non poteva contare sul contributo di nuove idee portate dagli obiettori.

Si dà e si riceve

D’altra parte è vero anche l’opposto; per molti obiettori il contatto con il mondo dell’handicap ha significato un cambiamento profondo della loro vita.
"Se gli obiettori sono stati e sono essenziali per le nostre comunità, anche per loro questa esperienza si rivela fondamentale" – così afferma Michelangelo Chiurchiù, 36 anni, responsabile degli obiettori della Comunità di Capodarco e presidente del Coordinamento Enti Servizio Civile. Sono decine le persone che hanno prestato il servizio civile nelle varie comunità di Capodarco sparse per tutta la penisola e circa il 30 per cento di loro si è poi fermato stabilmente una volta finito il servizio civile. Recentemente un ex obiettore ha fondato a Bergamo una nuova comunità.
"Per molti obiettori si forma una sorta di legame di tipo educativo – continua Chiurchiù – il tempo passato con noi diventa cosi una sorta di iniziazione alla vita, una presa in carico di responsabilità dato che ai nostri giorni nè la famiglia, nè la scuola riescono a dare un certo grado di maturità".
I risultati di questa formazione si realizzano poi nei modi più disparati, in un lavoro come operatore, in una scelta di vita ancora più drastica o semplicemente in una sensibilità particolare verso la diversità.
Un problema che si pone a questo punto è anche quello delle nuove generazioni di obiettori, che sono destinate ad essere molto più consistenti rispetto al passato; si tratterà cioè di dare un’adeguata formazione (nei tre mesi previsti dalla legge che dovrà essere approvata nella nuova legislatura, salvo imprevisti) a delle persone che, nella maggior parte dei casi, non sono mai venuti a contatto con il mondo dell’handicap.

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