Delle depressione se ne parla solo in cronaca nera, i luoghi comuni della gente poi, non aiutano certo chi vive in questa situazione di disagio. I pregiudizi vengono continuamente rinforzati dai mass media che li ripropongono ossessivamente. L’informazione corretta, che dovrebbe partire dai diretti interessati non esiste

Intervistiamo Maria Grazia De Terlizzi, presidente e fondatrice dell’ associazione "Insieme è Meglio", per conoscere meglio il problema della depressione e per fare un bilancio sul tipo di informazione che ne viene fatto sui mass media.

Può illustrare ai lettori le tappe significative della storia dell’ associazione?
L’associazione è nata nel maggio del ‘94, però la preparazione per inaugurarla è stata molto lunga, perché non si trovava la sede, lo psicologo o psichiatra che ci seguisse. E’ stata una cosa molto laboriosa poi il 17 maggio è stata inaugurata: c’era la RAI, c’era molta gente; evidentemente i bisogni da questo punto di vista ci sono, soprattutto dalla gente che ho visto affluire all’ inaugurazione. Io mi sono sempre occupata di depressione, anche di sofferenza psichica; per otto anni sono stata membro di un gruppo che operava a Rimini, un gruppo di pressione politica. Poi finita questa esperienza ho voluto farne una mia sulla depressione perché io sono sofferente di crisi depressive da molti anni, ormai ci convivo e ho imparato a conviverci anche se è molto dura, perché in genere la depressione è ciclica

Lei ritiene che i mass media diano un’ informazione sufficiente sulla sofferenza psichica, e sulla depressione?
L’informazione intorno a questo problema è poca, e qualitativamente scarsa, nel senso che non sanno cos’è esattamente la depressione e quindi non possono dare un’informazione giusta.

So che come associazione voi avete già avuto rapporti con la stampa e i mass media.
Una delle persone che ha condotto il gruppo, Gilberto Mussoni, ha scritto un libro sul suo rapporto con noi, una specie di diario, che è un po’ per tecnici però rivela lo stupore di Gilberto mano a mano che conosceva la depressione, cosa che prima non conosceva; è un libro che non è per tutti, è specifico di un operatore, però si, come diceva lei, è stato scritto parecchio attorno a noi

Anche dai quotidiani, dalla stampa locale.
All’inizio ci hanno dato molto spazio, poi i giornalisti si sono resi irreperibili perché appunto il tema fa paura, come tutto quello che gravita attorno alla sofferenza psichica.. La depressione è una malattia che fa ancora paura è un disagio che siccome non è capito fa paura.
Prima all’inizio hanno fatto degli articoli belli, quasi tutti belli, io li conservo ancora poi dopo quando li chiamiamo per le nostre conferenze, non vengono perché oramai danno per scontato che quest’associazione c’è dovrebbero andare indietro, rifare il punto della situazione sulla depressione e forse non ne hanno voglia, non so

Sulla sofferenza psichica, come lei prima del resto diceva, la stampa non da molta informazione tranne quando i sofferenti psichici finiscono sulle prime pagine dei giornali in relazione a fatti di cronaca nera, in questi casi allora le parole si sprecano..
Si scrivono fiumi di parole quando succedono queste cose ma sempre in modo scorretto quando si parla di omicidi lì non c’è la depressione, la depressione vera e propria non scatena l’omicidio; il depresso se la prende con se stesso, non uccide si suicida casomai. Salvo nel caso di una madre che porta con se i propri figli quando si suicida, ma è solo perché vuole proteggerli non vuole lasciarli soli, ma per il resto il depresso non ha neanche la forza di parlare figuriamoci se può uccidere una persona. Il raptus non c’è nel depresso vero e proprio; poi ci sono 27 tipi di depressione non so se magari in questi tipi ce n’è qualcuno di pericoloso. noi ci arrabbiamo molto quando sentiamo "ha ucciso la madre o il padre o la sorella perché era depresso: il depresso non uccide.

Secondo lei ci sono, nel senso comune, immagini sbagliate del depresso che la stampa va a rinforzare?
Il senso comune sul depresso è terribile, discriminante e crudele perché, anche se la depressione è una malattia vera e propria, dalle persone viene considerata una forma di lavativismo, di non voglia di fare, di menefreghismo. La gente pensa che il depresso sulla malattia ci marci, per non fare niente. I depressi disturbano gli altri, invece purtroppo il depresso non vorrebbe essere così.
I mass media parlano fra il serio e il faceto della depressione, non la considerano una malattia, è difficile che ci siano degli articoli belli fatti bene su questo problema; quelli di cronaca nera mi danno fastidio per le cose che dicono mentre quelli pseudoscientifici sono spesso pieni di menzogne.

Lei diceva, mi pare, che l’informazione non è sufficiente e, nella maggior parte dei casi oltretutto scorretta. Secondo lei , da che cosa può dipendere?
Dalla mancanza di informazione da parte dei giornalisti che non sanno niente, almeno quelli della stampa locale. Qualche bell’articolo si legge sulle pagine nazionali, e sono scritti da esperti sono articoli fatti bene nei quali noi depressi ci possiamo rispecchiare, ma ripeto, sono pochi. Vede è riduttivo pensare alla depressione come un fenomeno di costume, il male di vivere; poi è anche un fenomeno della società però io la vedo soprattutto in termini biologici, biochimici, anche se è molto più complicato di così.

Secondo lei quale potrebbe essere una strategia per fare acquisire, anche ai giornalisti, quelle informazioni che servono quando si parla di sofferenza psichica.
Penso che giornalisti e non, amici, vicini, quelli che dicono "fatti forza, esci fai questo, fai quello", trarrebbero beneficio da letture sulla malattia, letture facili e comprensibili che ci sono e poi dovrebbero avere una grande sensibilità; la sensibilità consente alle persone di sintonizzarsi con questa malattia e poi la lettura che serve da supporto magari anche sotto forma di manuale senza andare sul difficile. Informarsi anche sulle statistiche su ciò che c’è sulla depressione; ci sono dati seri ben fatti è lì che bisognerebbe andare a pescare; invece in genere si basano sempre sui luoghi comuni.

La vostra associazione funziona anche come gruppo di auto aiuto. Mi chiedo se ci sono mai stati giornalisti che prima di parlare di voi hanno cercato di conoscervi da dentro, non limitandosi magari a raccogliere dati sulla fondazione dell’ associazione o cose del genere…
No, giornalisti no. Abbiamo avuto come uditori persone in procinto di laurearsi in psicologia, che hanno tratto molto beneficio da questa esperienza, ma giornalisti no, non sono mai venuti a informarsi "da dentro".

Negli incontri del gruppo vi capita di parlare di informazione?
Sempre

Che cosa è che emerge?
Sa noi ci arrabbiamo quando si vede che c’è scarsa informazione. Personalmente ho iniziato la mia lotta contro il pregiudizio mettendo in piedi questa associazione, è stata una sfida; i pregiudizi li ho sempre vissuti sulla mia pelle, i pregiudizi e le ingiustizie e vedo che anche gli altri sono messi così, i familiari non capiscono, gli amici nemmeno, si è già fortunati se ci sono una o due persone nel proprio giro che attraverso l’intelligenza intuiscono questo grave malessere. Noi ci lamentiamo di questo, di non essere capiti di non essere considerati malati alla stregua di un cardiopatico, di un diabetico che si deve curare tutta la vita. Capisco che la depressione, come anche la sofferenza psichica sia qualcosa di più importante perché investe la sfera dei sentimenti, del pensiero, cose che non si possono dimostrare attraverso le semplici analisi del sangue anche se attraverso la PET si è visto che ci sono delle zone del cervello che normalmente sono colorate di rosso, mentre quando si è depressi diventano nere. Noi come associazione offriamo un supporto, un aiuto a chi è malato, perché confidarsi, aprirsi tra persone che hanno lo stesso problema è importante.
I familiari, a volte, non sono d’accordo sul fatto che vengano da noi, perché pensano che fra depressi ci si contagi, perché secondo loro ci si piange troppo addosso invece non è vero perché secondo me ironizzare, quando ci si riesce, sulla propria malattia è utile.

I pregiudizi mi pare di capire non ci sono solo tra chi non conosce il problema
I familiari sono i primi, sono terribili, sono i primi a massacrare i loro congiunti.

Ci sono anche familiari che vengono ai vostri incontri.
Avevamo anche fatto dei gruppi per loro con lo psicologo, ma non venivano. Adesso chiediamo che vengano insieme ai loro congiunti sofferenti perché secondo me dovrebbe essere interessante anche per loro. Capendo cos’è la depressione, capendo come si deve aiutare un depresso stanno meglio anche loro, perché altrimenti brancolano nel buio; il grosso problema è l’ignoranza, è tutta questione di ignoranza..

L’ignoranza come si può combattere
Per amici, familiari, conoscenti ci sono delle regole da imparare: non rimanere nel luogo comune per cui ad un depresso si dice "fatti forza", perché chi è depresso vorrebbe star bene e non ha bisogno di sentirsi dire "fatti forza", se potesse lo farebbe da solo. Altri dicono, "guarisci, datti un scrollata, applicati sul lavoro, fa l’amore", tutte cose che il depresso, se è veramente depresso, non può fare, a cominciare dal lavoro; sono pochi i casi di depressi che dicono che il lavoro li aiuta.
Poi col depresso bisogna essere, non compatirlo, bisogna essere diretti ma molto dolci, oppure raggirare l’ostacolo, fare vedere i diversi punti di vista su come risolvere le questioni momentanee, proporre delle cose, la prima cosa è quella di curarsi, perché molti pensano che la depressione non si debba curare, la paura delle medicine è enorme, persino io che sono più di trent’anni che mi curo ancora ne ho paura, non perché mi provochino chissà che cosa, certo mi provocano un disagio, ma sono cose non paragonabili al dolore della depressione e quindi ben vengano gli psicofarmaci, naturalmente sotto controllo medico.
Poi al depresso bisogna fargli delle proposte allettanti ma senza insistere. Il depresso che alla mattina non si vorrebbe mai alzare, se è possibile, bisognerebbe lasciarlo riposare di più, non spronarlo; col depresso bisogna raggirare l’ostacolo magari promuovendo certe cose che il depresso potrebbe fare (ma bisogna conoscere il singolo soggetto), magari vedere un film, leggere, anche se è difficile che un depresso legga.
Una cosa che io consiglio al depresso è di tenere un agenda, infatti noi all’associazione a Natale regaliamo sempre l’agenda. L’agenda serve, oltre ad annotare i pensieri o le cose che si sentono dire che colpiscono in maniera particolare. Anche come "carico" e "scarico" della propria quotidianità e delle proprie emozioni.
Il depresso non vive una realtà con i piedi ben piantati per terra, fa fatica da essere razionale. Credo che sapere queste cose sia utile sia per chi sta male, sia per i familiari.

Il bisogno di informazione è quindi primario, sia per la persona che si trova a dover affrontare la propria depressione, sia per i familiari quale strategia per soddisfare questo bisogno nel modo più adeguato?
Io avrei un’idea da dove dovrebbe partire l’informazione; dalla scuola, pensiamo che si dovrebbe cominciare dalle elementari; bisognerebbe parlare di sofferenza psichica, perché è ancora un tabù.

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