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Autore: admin

Caro nipote ti scrivo, Il Messaggero di Sant’Antonio, Marzo 2014

Alcuni giorni fa sono rimasto affascinato da una lettura. Una lettera aperta di Umberto Eco, rivolta al suo piccolo nipote sul tempo che verrà. Una missiva – alcuni di voi l’avranno letta – per entrare in dialogo con una generazione che sta crescendo con ritmi e strumenti culturali molto veloci e frenetici, sicuramente diversi dai nostri. È sotto gli occhi di tutti. Pensate alle abitudini dei nostri figli, dei nostri nipoti attaccati ai computer e bombardati da continue informazioni… Riconoscersi risulta difficile, tanto è mutata la società negli ultimi anni.

Vorrei anch’io, dunque, scrivere a un nipote. A un nipote che ha una disabilità, per regalargli qualche consiglio a partire dalla mia esperienza, dalla mia vita vissuta, perché anche lui possa fare altrettanto, se non di più.

«Caro nipote, ritorno ai banchi di scuola, ai tempi in cui frequentavo le scuole speciali. Sai che cosa erano? Immagina delle scuole costruite e pensate esclusivamente per persone con disabilità, in cui l’unico normodotato è la maestra, divisa tra deficit e abilità davvero differenti tra loro… Forse oggi il tuo compagno di banco ti aiuta a fare i compiti insieme con la tua insegnante di sostegno e poi ti porta a giocare a calcio, a basket o a quello che più ti piace. Tutto ciò non è scontato. È il frutto di anni di fallimenti, prese di coscienza, riflessioni, lotte e conquiste che ci hanno portato fin qui, a un’immagine della disabilità capace di contaminazioni, incontri e confronti con altre discipline ed esperienze. Se oggi c’è ancora qualcosa da fare è proprio recuperare quella voglia lì, il desiderio cioè di non dare nulla per assodato e la capacità di andare sempre oltre, per arrivare, finalmente, a non dover più parlare di integrazione, ma semplicemente a viverla. Sapere quello che c’è stato prima di te è importante. La memoria storica, come ricorda Umberto Eco, è fondamentale per il futuro, tuo e anche mio, perché mi piace pensare che la mia opera possa proseguire in te, nelle tue battaglie e nei tuoi traguardi.

Di certo non ti mancheranno gli strumenti: oggi l’innovazione è a portata di click. Mi permetto però di dirti che questo non basta, perché non è su Facebook che incontrerai lo sguardo degli altri e, soprattutto, non è lì che ne sentirai il peso su di te. Ricordati che, se qualcuno ti guarderà negli occhi e tu abbasserai lo sguardo, avrai perso; ma se tu ricambierai il suo sguardo allora avrai vinto. E su questo, credimi, non c’è ausilio o tecnologia che tenga. Non avere paura del tuo corpo, anche se è deforme. Usalo, mettilo sempre al centro degli altri e sappi essere artista di te stesso. Non vergognarti dei tuoi desideri. Ricordati che sei una persona completa, che potresti anche innamorarti e far innamorare. Il mondo che noi adulti lasciamo in mano a voi ragazzi non è certo “il migliore dei mondi possibili”. Ma questo serve a ricordarti che cos’era qualche anno fa, perché senza conoscere il nostro passato non possiamo cambiare il nostro presente. Ciao e buona vita!».

Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.
 

Sotto la maschera, Superabile, Marzo 2014

A Carnevale ogni scherzo vale? Il carnevale – le nostre care maschere ce lo confermano – è il tempo dell’eccezionalità, del ribaltamento dei ruoli, del sovvertimento dell’ordine costituito.

Di questo chiacchieravo con i miei colleghi del Progetto Calamaio. Stefania era d’accordo con il mio punto di vista: "Le maschere sono il segno del cambiamento e del rovesciamento di ruoli, in generale sono completamente d’accordo con te. Grazie al nostro lavoro sono andata nelle scuole dell’infanzia e per anni abbiamo drammatizzato varie fiabe, mi sono travestita, ho interpretato diversi ruoli. Con il travestimento ho cambiato la mia solita immagine di persona con disabilità presentandomi con un’altra identità. La disabile protagonista. Un rovesciamento dello stereotipo appunto."

A Mario, il filosofo del gruppo, ho chiesto se avrebbe indossato la sua maschera preferita per tutta la vita, nascondendo così la sua disabilità. La sua risposta è bellissima: " È bello essere spettatore nel grande teatro della vita, scoprire il copione svolgersi poco per volta, rivestendo le maschere emozionali di tutti: protagonisti, comprimari, caratteristi e figuranti. Saltellando, freneticamente o pacatamente, da un ruolo all’altro, è stuzzicante vestire i panni altrui e i propri in una girandola vorticosa di successi e fallimenti. La maschera che si indossa muta sembianza a seconda delle diverse circostanze nelle quali ci si trova ad agire e ciclicamente torna ad emergere nella sua integrità. La vita conduce in direzioni che non sono sempre dettate dal timoniere, dal titolare della maschera che, dunque, adatta le sue caratteristiche più peculiari all’ambiente circostante, perdendo e ritrovando un filo conduttore che non gli appartiene ma che sente comunque suo. È più che naturale, in questo gioco di ruoli, desiderare di rivestire compiti e immagini diversi per accettare, maggiormente e di buon grado, la realtà che si sta vivendo. È fondamentale però non staccarsi troppo dal proprio copione e saperne sposare la sua tipicità unica ed irripetibile. Infatti, uno dei segreti per vivere quanto più possibile bene, è accettare le infinite maschere del proprio essere con la curiosità tipica del fanciullo che inizia a scoprire il mondo".

Tiziana, la più giovane del gruppo, mi ha confidato di aver cambiato la sua maschera tante volte, dovendo adattare la usa disabilità ai contesti più differenti. Tra le tante considerazioni ed esperienze è emerso comunque un concetto fondamentale condiviso da tutti. Va bene la maschera il giorno di Carnevale, ma per il resto dell’anno cerchiamo di essere noi stessi. D’altra parte la disabilità è stata fin troppo nascosta. E’ ora di mostrarci per quello che siamo. Cosa ne pensate? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook. (Claudio Imprudente)

 

Il camaleonte di Tatiana, Superabile, Febbraio 2014

Ma che ci fa un Camaleonte verde sulla mano di una persona disabile? Vi sembra un fatto più possibile o più impossibile?
No, non voglio proporvi uno scioglilingua ma un’interessante riflessione a partire da una fresca lettura “Impossibili possibilità “ per l’appunto (Erickson edizioni), un libro di Tatiana Vitali, educatrice disabile che con la sua famiglia, insieme alla pedagogista Rita Mastellari e all’esperto di Comunicazione Aumentativa Alternativa Francesco Ganzaroli, ha raccolto la sua esperienza autobiografica in un racconto, semplice quanto efficace, che si apre all’esperienza creativa della diversità, attraverso l’incontro e l’incrocio di più voci, tra cui la prefazione di Andrea Canevaro.
Il camaleonte, che Tatiana ha scelto come immagine della sua copertina, è il classico simbolo del cambiamento, emblema di adattamento a nuove forme e colori a seconda delle sfide che ogni giorno si troverà ad affrontare. Ma dove si posa quest’astuto e simpatico animale? Su una mano “rattrappita”, quella dell’autrice, appoggio insolito ma proprio per questo né fermo né neutro. Perché quella mano può anch’essa farsi camaleonte, capace di cambiare il contesto su cui lei stessa agisce e si posa con la sua presenza.
“Impossibili possibilità”, lo dice il titolo, è un libro fatto di contraddizioni e di ambiguità, che continuamente s’intervalla di schiaffi e di carezze, tra difficoltà di partenza e improvvise risoluzioni.
Ma che differenza c’è tra schiaffo e carezza? La differenza è labile e per lo più è una questione di equilibrio e di dosaggio di forze. Dipende da chi lo dà ma anche da chi lo riceve. Il limite, ci insegna Tatiana, è faticoso ma è anche uno stimolo, una risorsa che va coltivata, per essere duttili e cambiare il contesto così come il camaleonte cambia colore.
E voi, quanto siete stati camaleonti nella vostra vita? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.
Claudio Imprudente

 

2014

Quattro chiacchiere con Salvatore Usala, Superabile, Febbraio 2014

Mentre ammiravo il panorama mozzafiato che mi offriva il vecchio bastione di Cagliari, in una soleggiata mattinata di fine autunno, ripensavo a quell’uomo incontrato il giorno prima…

Salvatore Usala non ha bisogno di presentazioni, il suo coraggio, la forza d’animo sua e dei ragazzi del "Comitato 16 novembre" stanno finalmente conquistando un po’ di spazio sui media nazionali. Approfittando della sua presenza gli ho fatto alcune domande… Combattere e arrabbiarsi ma credere ancora in un futuro migliore. Salvatore ne è davvero la testimonianza. Ecco uno stralcio della nostra conversazione.

Ho letto che la condizione dei malati di Sla viene accumunata a quella dei terremotati… Sai bene che io vivo a San Giorgio di Piano, tra Bologna e Ferrara… Sentite davvero di essere così abbandonati dalle istituzioni?
In tante regioni c’è una totale indifferenza per i malati gravissimi che hanno un bisogno assistenziale vitale di 24 ore. Parlo di assistenza a tracheostomizzati, ventilati 24 ore, casi di coma e tutti coloro che possono morire se lasciati soli anche pochi minuti. Le regioni preferiscono spendere 100.000€ per ricoveri in istituti e nulla per le famiglie che si prendono cura del congiunto. Si vende la casa, si abbandona il lavoro, un vero terremoto.

Come avete intenzione di proseguire questa giusta battaglia?
Abbiamo preparato un progetto sul modello Sardegna, "Restare a Casa". In sintesi prevede la libertà di scelta con un finanziamento alle famiglie pari al 50% del costo in istituto. Ci sarebbe un risparmio notevole per finanziare i nuovi livelli di assistenza e il fondo per la non autosufficienza. Purtroppo in Italia non è facile fare riforme nell’interesse del popolo.

Cos’è che ti spinge a persistere?
Una convinzione ineludibile: bisogna lottare per le cose senza le quali la vita non avrebbe senso. Comunque sono onorato e gratificato di essere utile ai disabili pur essendo in condizioni critiche. Guai a piangersi addosso, le battaglie vanno fatte, nonostante la guerra di certi partiti, sindacati e associazioni che prendono tangenti dalle lobby.

Assistenza domiciliare… quale soluzione? Ho letto che basterebbe davvero poco per garantire l’assistente domiciliare a tutti…Cosa propone il comitato?
In Italia si spendono 20 miliardi per ricoverare disabili, anziani e malati in istituti, una cifra impressionante. Vediamo tutti i giorni sui media i trattamenti vili ai quali vengono sottoposti gli utenti. Gli imprenditori del settore sono spesso improvvisati, l’unico loro scopo è solo fare profitti. Il nostro obbiettivo è la "Libertà di Scelta", si risparmiano miliardi. In Sardegna il numero di ricoverati è la metà della media nazionale. Alla fine vinceremo, ne sono certo.

Grazie Tore… Ci vediamo al prossimo mirto!
E voi cosa ne pensate?Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.

Claudio Imprudente

(10 febbraio 2014)

 

Prendiamoci un po’ in giro, Il messaggero di Sant’Antonio, Febbraio 2014

«A carnevale ogni scherzo vale» dice il proverbio, perché sotto le maschere si può davvero nascondere di tutto. Il carnevale – il nostro caro Arlecchino ce lo conferma – è infatti il tempo dell’eccezionalità, del ribaltamento dei ruoli, del sovvertimento dell’ordine costituito. La festa è il momento in cui è il servo che la fa da padrone per svelare con il sorriso il profilo sotteso agli innumerevoli volti del potere e della socialità.

Spesso si dice che la maschera che scegliamo è una parte, se non addirittura lo specchio, della nostra personalità più profonda, e che grazie al travestimento ci concediamo di muoverci, di parlare e di comportarci come altrimenti non oseremmo. E così i poveri diventano ricchi, i belli brutti, e viceversa. La tradizione poi non si risparmia, e aggiunge molto altro alle nostre maschere della personalità. Si tratta non solo di costumi e oggetti caratteristici, ma anche di difetti fisici e di vere e proprie disabilità.

Alle origini, storpi e zoppi omaggiavano il carnevale con la loro stessa immagine, in un girotondo ai limiti della dannazione. Poi la prospettiva si è ribaltata, e il difetto fisico si è fatto «carattere», anomalia che diverge dal contesto e che si carica di mistero, di originalità e, talvolta, addirittura di eroismo. Ciò che è interessante è come qui si inseriscono i concetti di diversità e di disabilità. In queste settimane dedicate al paradosso, infatti, la società si presenta in tutte le sue sfaccettature, senza costringerci allo stupore e concedendosi al suo stato più puro. Lì tutto è possibile perché tutto è «normale», e così anche la disabilità entra in maniera naturale e spontanea nel mezzo della vita. Ma che cosa succede al di là, vale a dire a chi la maschera la porta davvero su di sé? Quante volte, infatti, la nostra identità si nasconde dietro la maschera, un’identità che spesso facciamo fatica ad accettare, a mostrare e a prendere in giro?
In questo senso, il carnevale ci offre l’occasione per giocare con noi stessi. Vi faccio un esempio. Vi ricordate Happy days, il telefilm ambientato a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta? Una volta, da ragazzino, ho deciso di travestirmi come il suo protagonista, non il giovane Ricky Cunningham, ma il suo amico Fonzie, con tanto di brillantina e giacca di pelle, a tutti noto per la sua ironia, per la bellezza e per la capacità di risolvere in un lampo ogni situazione. Un vero e proprio ribaltamento di categoria, soprattutto a quei tempi, indossare i panni di un personaggio tanto forte, spavaldo e soprattutto autosufficiente. Eppure, ho scelto di mettermi in gioco, di prendere in giro me e la mia dipendenza dagli altri, di liberare la paura di aver sempre bisogno di qualcuno. La maschera ci permette di mostrare un’altra faccia della medaglia, di superare il limite senza nasconderlo. E siccome anche quest’anno il carnevale è arrivato, tra gli schiamazzi, le stelle filanti, i coriandoli e le maschere che folleggiano, io vi chiedo: che maschera indosserete?

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Mentre la Befana ritorna a casa…Superabile, Gennaio 2014

Ce l’abbiamo fatta! Mentre la Befana se ne ritorna nei suoi appartamenti il 7 gennaio 2014 il Centro Documentazione Handicap di Bologna entra finalmente nella sua nuova sede, in Via Pirandello 24 nel quartiere Pilastro.
Qualcuno di voi forse ricorderà la telenovela di terremoti, tubi rotti, crepe, comitati di salvaguardia e ricostruzione, girotondi e abbracci che ha accompagnato la vita del Centro nell’ultimo anno e mezzo, sfollati dalla storica sede di Borgo Panigale e riuniti in città in due sale dell’AIAS di Bologna grazie alla quale siamo riusciti a continuare a esistere e soprattutto resistere, motivo per cui la ringraziamo di cuore.
Nuove sfide ci attendo per il nuovo anno, input di rinnovamento e di ampliamento di contenuti e prospettive, dove il patrimonio della Documentazione potrà crescere e svilupparsi, grazie alla riapertura della Biblioteca con nuovi volumi e una sezione tutta dedicata ai ragazzi. Uno spazio aperto a letture, corsi, laboratori di formazione per scuola e Università ma non solo, un luogo dove contaminare con la nostra presenza e essere contaminati, a livello cittadino come a livello nazionale, dall’incontro con la cultura dell’integrazione.
Un ritorno alla missione originaria del Centro: fare rete con tutti i contesti per alimentare e coltivare l’humus politico e sociale su cui abita la disabilità.
Che dire…anno nuovo vita nuova, nuova sede e nuovo indirizzo per nuovi progetti e nuove avventure! Vi aspettiamo in Via Pirandello 24! Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.
Claudio Imprudente

 

Il razzismo? E’ quadrato! , Messaggero di Sant’Antonio, Gennaio 2014

Ormai nei nostri stadi i fischi ai giocatori di colore sono all’ordine del giorno, regalando del nostro Paese un’immagine di certo non molto ospitale… Il pericolo del razzismo è sempre in agguato e cresce nei tempi di magra, quando è facile mettere in atto meccanismi di rivalsa scorgendo nell’altro, in cui ci si specchia, lo spettro del rischio. Eppure, chi di noi non ha uno zio d’America, emigrato in cerca di fortuna in terra straniera?

A questo proposito, qualche tempo fa a Milano ho preso parte a un’interessante manifestazione antirazzista, legata per l’appunto al gioco del calcio. Sto parlando di un torneo davvero inclusivo, nato nell’ambito del progetto «W il calcio!» e dedicato alla memoria di Arpad Weisz. Chi era costui? Nato nel 1896 a Solt, in Ungheria, da famiglia ebrea, Arpad è un punto di riferimento storico tra gli appassionati del pallone e non solo. Già allenatore del Bologna e dell’Inter, la sua figura si è distinta a suo tempo soprattutto per la passione che sempre lo ha legato alla cultura calcistica e che ne ha fatto un testimone attivo d’inclusione, nonostante la prematura morte nel 1944 per mano dei nazisti.

Così, mentre guardavo la partita, ho avuto una specie di folgorazione. Mi è venuto da pensare: «Il pallone è rotondo, il razzismo è quadrato». Fateci caso: il pallone porta in sé l’idea e la forma del cerchio, che avvolge, ingloba, che permette di guardarci l’un l’altro mantenendo lo sguardo sullo stesso livello. Il quadrato, all’opposto, è figura emarginante che può indurci a sostare sugli angoli. Il quadrato ha quattro spigoli: il primo si chiama «pregiudizio», il secondo «non riconoscimento dell’altro», il terzo «essere costretti in un sistema chiuso», infine, il quarto «non lasciarsi coinvolgere».

Il pallone, inoltre, può rimbalzare, saltare, passare da un piede all’altro, è in continuo movimento. Il quadrato invece è statico, rimane racchiuso nei suoi confini. Così, il pallone è illimitato tanto quanto il limite è il tratto del quadrato. Sostare sui margini senza gettarsi al centro del campo significa proseguire su binari paralleli che non si incontrano mai, e di conseguenza generare spigolature isolate. Il pallone, al contrario, ci insegna a uscire dal campo e a rientrarci da angolazioni diverse.

Una metafora semplice, certo, quella del pallone e del quadrato, che tuttavia rende bene l’idea e l’immagine del razzismo, che è un limite dello sguardo, una strettoia che non conosce, perché sceglie di non voler uscire da sé.

Quello che colpisce, inoltre, nonostante l’impegno di molti per azzerare le distanze, è la libertà linguistica, la «normalità» con cui oggi vengono perpetrate certe accuse, negli stadi ma anche su piani ben più alti, come se i luoghi comuni – inibiti dalla cultura o dall’educazione – trovassero lì un’esplosione che sa di uso comune più che di eccezionalità. La diversità genera pregiudizio perché fa paura, perché non la conosciamo. Per questo la evitiamo o la insultiamo: un comportamento che, lasciatemelo dire, in fondo è la stessa cosa.

Ciò detto, io me ne ritorno in campo, tra la polvere, a ricordare le gesta di Arpad Weisz. E voi, vi sentite più rotondi o più quadrati?
Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.

 

Un Natale a tutta birra, Messaggero di Sant’Antonio, Dicembre 2013

Ci siamo. Le luci iniziano ad accendersi, nei balconi, nei negozi, nelle strade. Le statuine del presepe vengono spolverate, i vivai brulicano di persone a caccia dell’albero giusto. La televisione propone continuamente programmi e spot che ci ricordano, proprio come quelle luci, come sia caldo, bianco e dolce il Natale. E come sia il caso di correre a far regali…

Nonostante la crisi, infatti, la pubblicità ci chiama allo shopping. Eppure quest’anno, tra dolciumi che ci fanno sentire più buoni, giocattoli imperdibili e diamanti per sempre ho notato qualcosa di diverso.

Una nota birra irlandese ha scelto una comunicazione particolare e rischiosa. Lo spot mostra una partita, forse un allenamento, di basket in carrozzina. Al termine della competizione, a sorpresa, tutti gli atleti si alzano. Tutti, tranne uno. La scena finale poi li ritrae tutti insieme al pub a gustarsi una birra.

Appena finito di guardare lo spot, ho iniziato a rifletterci sopra. Perché un marchio di birra così noto a livello mondiale utilizza la disabilità per pubblicizzarsi? La birra, nell’immaginario collettivo, non vuol dire gioventù, compagnia, freschezza e festa? Che c’azzecca tutto questo con la disabilità? La disabilità non viene forse associata con i termini opposti?

Considerazione prima: qualcosa è cambiato. Se una multinazionale di quel calibro, con esperti di marketing e comunicazione di primo livello, considera la disabilità un traino per il proprio prodotto, vuol dire che qualcosa a livello socio-culturale si sta modificando, non fosse altro che dal punto di vista dell’immagine.

Nel mondo globalizzato, la pubblicità è di certo una delle componenti sociali che aiutano a formare gli stili di vita delle persone, facendo loro conoscere il prodotto, forse plagiandole. Ma certo, nel bene e nel male, influenza la nostra società. Vedere in prima serata normodotati e persone con disabilità fare sport insieme e condividere una birra al pub è un messaggio che ci piace, e che alcuni anni fa non era pensabile.

Seconda considerazione: il rischio strumentale. La multinazionale in questione non ha di certo fatto una pubblicità per cambiare la prospettiva sull’handicap o per fare integrazione. L’ha realizzata per vendere un prodotto, per migliorare la propria etichetta. Qui si corre il rischio, plausibile, di interpretare la disabilità come puro mezzo utilitaristico, «sfruttandola» a fini commerciali. Sarebbe un film già visto: il povero sfortunato disabile usato per fare tenerezza, diciamolo pure, per impietosire. E si sa, visto che a Natale siamo tutti più buoni…
Lo spunto pubblicitario però è di certo innovativo ed è giusto discuterne. Nell’insieme credo che tutto questo sia positivo, una testimonianza di cambiamento che sposta il livello della discussione a uno stadio successivo, dalla presenza alle esigenze di normalità. Purtroppo, il rischio di svuotare e inflazionare la disabilità, lo sappiamo, è sempre dietro l’angolo.

Chissà se tra un bollito e una pasta al forno, al pranzo natalizio con i vostri parenti non parta questo dibattito.
Voi cosa ne pensate? Vi auguro buone feste.
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E’ uscito il magico Alvermann, Superabile, Dicembre 2013

Vi ricordate il magico Alvermann? Forse qualche brizzolato come me, essendo un cult della generazione ’70. Sto parlando di una serie televisiva, trasmessa sulla TV dei ragazzi, che aveva per protagonista un simpatico folletto… Questa l’ispirazione ideale per un ironico gioco che ha dato il nome allo spazio libero di commento che il Centro Documentazione Handicap ha dedicato negli anni alla letteratura, alla poesia, alla musica e all’opinione sulla rivista HP-Accaparlante.

Una rubrica eclettica che ci parla di diversità nel senso più ampio del termine, tra immaginazioni e esperienze concrete. La diversità infatti non si esaurisce mai in se stessa ma porta con sé un’eco di storie, di percorsi che hanno accumunato voci e persone in obiettivi ambiziosi, come quello di costruire ponti tra chi parla e chi legge. Ci sono gli adulti che spesso ci restituiscono episodi di crisi, inadeguatezza e rinascite e ci sono i bambini, protagonisti centrali de Il magico Alvermann con i loro sogni e le loro fantasie, capaci di sovvertire la direzione di sguardo dei grandi.

"Essere, semplicemente essere, è una sfida", ecco il titolo di uno dei tanti interventi che si sono succeduti in questi anni. Un titolo a me particolarmente caro per l’immagine che ci propone e il senso di cui si fa testimone.

Il titolo della rubrica invece porta con sé un errore di trascrizione, una "n" finale in aggiunta all’originale che non fu mai corretta e che si è scelto di mantenere a sottolineare l’aspetto della diversità.

Oggi Il magico Alvermann è diventato un libro, Erickson edizione, a cura del Centro Documentazione Handicap, in uscita come quarto numero della rivista HP-Accaparlante di quest’anno per festeggiarne i trent’anni. Si tratta di "trenta Alvermann", una raccolta, ovvero, di trenta articoli scelti tra tutti quelli comparsi sulla rivista dalla sua prima edizione. Attraversamenti, incontri e scoperte che ci parlano di futuro. Insomma, un ottimo regalo di Natale! Buona lettura!

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Claudio Imprudente

 

Ma scusi, lei è disabile? Superabile, Dicembre 2013

Nella mia vita, mi piace ripeterlo, ho visto davvero un po’ di tutto, compreso qualche siparietto di teatro dell’assurdo. Sapete di che si tratta? Senza tirare in ballo i vari Ionesco e Beckett pensate agli sketch comici di Ale e Franz e ai loro esilaranti dialoghi non-sense sulla panchina del parco. Quello che fa scattare la risata, al di là della bravura dei due attori e i rimandi al quotidiano, è soprattutto il fatto che il loro pensiero, e di conseguenza le loro parole, viaggiano sempre su binari diversi e paralleli che non si incontrano mai. E’ proprio quello che è successo, leggevo qualche giorno fa, a Leornardo Melle, quarantaduenne disabile che si apprestava a entrare a uno spettacolo di teatro dialettale a Manduria.
Giunto alla biglietteria con il suo accompagnatore, Leonardo si è trovato, suo malgrado, protagonista insieme alla cassiera di un’insolita pièce…Vi riporto un paio di battute:
“Cassiera – Ma lei è disabile?
Leonardo- No, sono in sedia a rotelle per comodità…
Cassiera- Mi mostra il tesserino da disabile?
Leonardo- Sinceramente non esiste un tesserino… E se anche esistesse si tratterebbe di dati sensibili che forse non andrebbero mostrati…
Cassiera- E noi poveri addetti al botteghino come facciamo a riconoscere un vero disabile da uno falso?”.
Questo, concedetemelo, è un dialogo degno di Ale e Franz e quasi quasi mi viene la tentazione di mandarglielo, magari lo riutilizzano!
Un tipico caso della sindrome di “panico da falso disabile” che profuma di paradosso. Perché, come giustamente si chiede Leonardo, c’è ancora bisogno di ribattere a certe accuse? I tempi di crisi, si sa, favoriscono la guerra dei poveri, la diffidenza e il sospetto e di certo i media ci vanno a nozze…
Chissà quante volte anche voi siete stati protagonisti o testimoni di dialoghi assurdi…Me li raccontate? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.

 

La disabilità costa più del mirto?, Superabile, Novembre 2013

Quando vedo comparire sul display del cellulare il nome di Marco Espa la mia mente corre subito al sapore del mirto bianco e ai mari della Sardegna…Poi comincio a tremare, pensando a quello che mi proporrà…

Di solito non c’entra solo il mirto, come nel caso del prossimo dibattito che mi vedrà atterrare a Cagliari lunedì 25 e martedì 26 novembre nell’ambito del convegno " Investire in tempo di crisi e costruire diritti nella fragilità che ci avvolge. Una sfida per la sanità e il sociale", promosso dal Consiglio regionale della Sardegna e rivolto a famiglie, operatori e istituzioni.

Due appuntamenti, il primo per riflettere sul potenziale produttivo della persona disabile nel contesto della crisi attuale, tra tagli lineari alle risorse e poche risposte alle crescenti richieste dei cittadini, che oggi più che mai desiderano sapere "come" vengono distribuiti i propri contributi. Il secondo più mirato all’integrazione scolastica e alle sue pratiche. Sono argomenti, questi, che su SuperAbile abbiamo già ampiamente affrontato. Il contributo economico del disabile alla collettività che si rivela fondamentale, nell’ambito scolastico come in quello privato e familiare.

Resto dell’opinione che il confronto su questi temi debba essere continuo e in evoluzione, aprire nuovi orizzonti e scenari, per non perdere diritti acquisiti e fare marcia indietro. L’indotto che una persona con disabilità crea e la forza lavoro che produce è sicuramente una risorsa, non mi stancherò mai di ribadirlo, tangibile, misurabile e concreta, non un peso, né un ostacolo, né un problema da risolvere.

Un buon mirto vale sempre meno della disabilità, parola d’intenditore…di mirto s’intende! E voi cosa ne pensate? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook. (Claudio Imprudente)

 

“Stelle sulla Terra”, Superabile, Novembre 2013

Ed eccoci qua, reduci dalle intense giornate di Rimini, dove in molti ci siamo ritrovati o per la prima volta incontrati al Convegno Erickson, come ogni anno ricco di stimoli e novità. Si è ovviamente parlato di integrazione scolastica, della bollente questione BES ma anche di arte, affettività e sessualità e il divertimento non è mancato.
Nel viaggio di ritorno mentre mi interrogavo sul futuro (tra due anni il Convegno giungerà alla sua decima edizione) mi è tornata alla mente una storia davvero affascinante…Chiudete gli occhi e immaginate per un momento di trovarvi immersi tra i colori e i profumi speziati dell’India…E’ proprio qui infatti che si sviluppa l’indimenticabile incontro tra Ishaan, bambino dislessico e Ram Shankar il suo insegnante di educazione artistica, anch’egli dislessico. Una storia vera, narrata nel film “Stelle sulla Terra”, produzione bollywoodiana con tanto di canti e balli , capace di parlarci di integrazione con rara sagacia e poesia, attraverso codici “altri”, non occidentali e scontrandosi con pregiudizi di carattere culturale che nel paese restano ancora fortemente legati alla disabilità.
Il film, uscito un paio di anni fa, ci mostra l’importanza fondamentale dell’insegnante di sostegno nel percorso educativo, a livello personale come all’interno del gruppo classe.
Fondamentale poi si rivela anche il rapporto con la famiglia del ragazzo, che parte dalla paura e dall’indifferenza per sfociare nella messa in gioco reciproca e nella fiducia incondizionata nel maestro.
“Stelle sulla Terra” non è solo una storia commuovente sotto lo scenario di un cielo esotico ma un esempio concreto d’integrazione da far vedere a tutti gli insegnanti, altro che BES! Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.

 

La zappa dell’integrazione, Superabile, Ottobre 2013

La mania della verdura fai da te sta sbucando un po’ dappertutto. Sarà la crisi, saranno le esigenze della dieta mediterranea ma sempre più di frequente capita di vedere del verde sui tetti, i terrazzi, ovunque sia possibile dentro e fuori gli appartamenti. Perfino il presidente Obama, nella casa che simboleggia il potere, la Casa Bianca, è da un po’ che ha iniziato a coltivare il suo orticello.Anche a me ultimamente sta prendendo il pollice verde, non perché sia particolarmente amante di pomodori o cipolle, ma semplicemente sto scoprendo sempre di più come l’orto, la terra, la natura possano essere strumenti d’integrazione inaspettati.

Alcuni giorni fa, proprio su SuperAbile, ho letto di un bellissimo viaggio tra fattorie sociali nella zona di Roma, dove l’obiettivo non è semplicemente quello di vedere crescere ciliegie o zucchine ma aumentare l’autostima e le abilità delle persone con disabilità. Un approccio terapeutico, leggo, in grande ascesa… eh già!

Noi da alcuni anni promuoviamo un’esperienza molto simile. L’associazione Streccapogn di Monteveglio (Bo), promossa dalla cooperativa sociale "Accaparlante" e da "Monteveglio Città di transizione", si occupa proprio della cura di diverse porzioni di territorio agricolo e gestisce le attività di produzione, trasformazione e distribuzione dei prodotti. In questo contesto vengono impiegati lavoratori con disabilità, chiaramente inseriti in situazioni diverse a seconda delle difficoltà. Dietro una melanzana si nasconde un discorso pedagogico molto più profondo. Ho molte volte scritto (anche su questa rubrica) di come lo sport e l’arte possano essere strumenti integrativi importanti. Lo stesso discorso può valere, come abbiamo appena visto, per l’agricoltura.

Ricordando sempre che ciò che conta è l’approccio e solo di conseguenza lo strumento che si utilizza.

Inizia a fare freddo, che ne dite di un bel passato di verdure? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook. (Claudio Imprudente)

 

Una pinta scura, Superabile, Ottobre 2013

L’altra sera sonnecchiavo davanti alla televisione via cavo perso nei miei pensieri, quando una pubblicità ha risvegliato la mia attenzione. Si trattava del messaggio promozionale di una nota birra irlandese, che ritrae una sfida molto accesa di wheelchair basket (basket in carrozzina per intenderci). Al termine della partita gli atleti si ritrovano al pub, a gustarsi tutti insieme una pinta di birra…Non vi svelo tutto il resto della breve storia che vi invito a guardare da soli per scoprirne l’originalità.
La prima cosa che mi è venuta in mente è un articolo scritto a quattro mani con la giornalista Valeria Alpi nel 2003, anno europeo delle persone con disabilità, dove a prendere la parola era proprio un boccale di birra, che ci raccontava il suo punto vista a una serata tra amici in un pub. Quella volta si parlava di barriere, di accessibilità fisica e culturale. Questa volta… Beh, sentiamo cosa ne pensa il boccale di birra:
“Anche io ho riflettuto su questo spot, e dico che dieci anni fa, quando raccontavo le storie di quei tre amici seduti attorno al tavolo mai avrei pensato che si potessero utilizzare dei ragazzi con disabilità, o la disabilità stessa, per promuovere e pubblicizzare un prodotto come la birra. Nell’immaginario collettivo infatti la disabilità e la birra sono agli antipodi. La birra è compagnia, freschezza, gioventù, festa… La disabilità di contro è solitudine, a volte vecchiaia, spesso è tristezza e malinconia”.
Allora?
Allora probabilmente in questo decennio che sembra volato, da quel 2003 a oggi, qualcosa a livello socio-culturale è cambiato. I pubblicitari delle grandi multinazionali sanno sempre che aria tira e ne hanno preso atto… Certo il rischio di strumentalizzare la carrozzina è sempre in agguato, anche se, in questo caso, forse è stato fatto un salto in più.
L’argomento, seppur presenta qualche contraddizione, è a mio parere ricco di molte suggestioni interessanti che spaziano non solo sull’immagine e la sempreverde questione dell’accessibilità ma prima di tutto sui concetti di divertimento e di normalità. E voi quante volte vi siete fermati a sorseggiare una pinta in compagnia dopo o durante una partita?
Per ora vi lascio, ne riparliamo presto alla prossima pinta!
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Claudio Imprudente