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Prendiamoci un po’ in giro, Il messaggero di Sant’Antonio, Febbraio 2014

«A carnevale ogni scherzo vale» dice il proverbio, perché sotto le maschere si può davvero nascondere di tutto. Il carnevale – il nostro caro Arlecchino ce lo conferma – è infatti il tempo dell’eccezionalità, del ribaltamento dei ruoli, del sovvertimento dell’ordine costituito. La festa è il momento in cui è il servo che la fa da padrone per svelare con il sorriso il profilo sotteso agli innumerevoli volti del potere e della socialità.

Spesso si dice che la maschera che scegliamo è una parte, se non addirittura lo specchio, della nostra personalità più profonda, e che grazie al travestimento ci concediamo di muoverci, di parlare e di comportarci come altrimenti non oseremmo. E così i poveri diventano ricchi, i belli brutti, e viceversa. La tradizione poi non si risparmia, e aggiunge molto altro alle nostre maschere della personalità. Si tratta non solo di costumi e oggetti caratteristici, ma anche di difetti fisici e di vere e proprie disabilità.

Alle origini, storpi e zoppi omaggiavano il carnevale con la loro stessa immagine, in un girotondo ai limiti della dannazione. Poi la prospettiva si è ribaltata, e il difetto fisico si è fatto «carattere», anomalia che diverge dal contesto e che si carica di mistero, di originalità e, talvolta, addirittura di eroismo. Ciò che è interessante è come qui si inseriscono i concetti di diversità e di disabilità. In queste settimane dedicate al paradosso, infatti, la società si presenta in tutte le sue sfaccettature, senza costringerci allo stupore e concedendosi al suo stato più puro. Lì tutto è possibile perché tutto è «normale», e così anche la disabilità entra in maniera naturale e spontanea nel mezzo della vita. Ma che cosa succede al di là, vale a dire a chi la maschera la porta davvero su di sé? Quante volte, infatti, la nostra identità si nasconde dietro la maschera, un’identità che spesso facciamo fatica ad accettare, a mostrare e a prendere in giro?
In questo senso, il carnevale ci offre l’occasione per giocare con noi stessi. Vi faccio un esempio. Vi ricordate Happy days, il telefilm ambientato a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta? Una volta, da ragazzino, ho deciso di travestirmi come il suo protagonista, non il giovane Ricky Cunningham, ma il suo amico Fonzie, con tanto di brillantina e giacca di pelle, a tutti noto per la sua ironia, per la bellezza e per la capacità di risolvere in un lampo ogni situazione. Un vero e proprio ribaltamento di categoria, soprattutto a quei tempi, indossare i panni di un personaggio tanto forte, spavaldo e soprattutto autosufficiente. Eppure, ho scelto di mettermi in gioco, di prendere in giro me e la mia dipendenza dagli altri, di liberare la paura di aver sempre bisogno di qualcuno. La maschera ci permette di mostrare un’altra faccia della medaglia, di superare il limite senza nasconderlo. E siccome anche quest’anno il carnevale è arrivato, tra gli schiamazzi, le stelle filanti, i coriandoli e le maschere che folleggiano, io vi chiedo: che maschera indosserete?

Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.
 




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