Una rondine non fa primavera se intorno a lei non fioriscono novità. Proprio qualche tempo fa, precisamente lo scorso 21 marzo, si è celebrata la Giornata mondiale della Sindrome di Down, una delle disabilità più familiari e discusse non solo per la sua frequenza ma anche per le contraddizioni che spesso porta con sé, dalla diagnosi non sempre immediata alle sue risorse e imprevedibilità.

Ovviamente, per l’occasione, ne sono spuntate sul terreno di tutti i colori… a cominciare da due esperimenti mediatici di sensibilizzazione che mi piacerebbe condividere con voi.

Il primo è un video che ha girato molto anche sui social network,

"DearFutureMom" (Cara futura mamma), promosso dal CoordDown, diretto da Luca Lucini in collaborazione con l’agenzia di pubblicità Saatchi&Saatchi, rivolto alle mamme in attesa. Quale sarà il destino di mio figlio? Si chiedono per l’appunto le mamme. A rispondere ci pensano quindici ragazzi e ragazze provenienti da tutta Europa, con sdD, offrendo loro tutte le rassicurazioni possibili, dalle abilità alle possibilità effettive di inclusione sociale e nel mondo del lavoro.

Al di là del desiderio più che legittimo di coinvolgere l’opinione pubblica sul tema mi chiedo sempre quanto queste immagini corrispondano alla realtà di cui facciamo esperienza nel quotidiano. Il rischio è quello di dare una visione se non falsa di certo un po’ edulcorata e di ritrovarci ancora una volta sospesi tra il ruolo di emarginati e quello di supereroi, un concetto detto e stradetto ma ancora evidentemente presente. Ciò non toglie tuttavia l’impegno e il lavoro rigoroso che il CoordDown sta mettendo in atto in questi anni, anche sul piano internazionale, che ha comunque il merito di mettere al centro la voce delle persone con disabilità.

Ad andare ancora più oltre, in termini inclusivi, è stato poi quest’anno il programma "Hotel sei stelle" , in onda il lunedì sera, in seconda serata su Rai Tre. In televisione se ne è già parlato abbondantemente, per esempio a TV Talk con un interessante intervento del regista Claudio Canepari, che ha spaziato tra il concetto di "format" e quello d’integrazione. Perché non si può parlare di un’esperienza comune come la ricerca del primo impiego, anche per persone con disabilità, senza per forza cadere nella riduzione di un format narrativo? Non si può più semplicemente parlarne? Così si chiede il regista e francamente me lo chiedo anch’io… Difficile assumere una posizione netta perché il rischio della spettacolarizzazione è sempre in agguato, eppure la prospettiva è intrigante… E voi, cosa fareste se alla reception di un hotel di lusso vi trovaste di fronte una persona con sindrome di down?

Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook. (Claudio Imprudente)

 

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