Non è un fotomontaggio.
Qualche settimana fa io, Elio e la “sua” band, rimasta nel fuori campo della fotografia, siamo stati invitati a Prato per parlare davanti a centinaia di ragazzi di disabilità ed affini. In particolare, il tema dell’incontro era: “Disabilità: sfiga o sfida?”…il gioco di parole del titolo doveva fare il “gioco” o stare al gioco (scusate il gioco di parole) di Elio, per far capire che l’incontro si sarebbe mosso su dei binari a lui consoni. Si sarebbe giocato in casa sua, dove i significati comuni dei termini sono ribaltati di continuo, le parole non sono mai quello che sembrano, e se ne fa l’uso che si preferisce. A volte sono gli accostamenti di parole a stravolgerne il senso, altre volte l’attenzione al solo “significante” portata all’estremo crea scivolamenti di significato esilaranti. Altre volte ancora…etc etc..
La questione è da sempre aperta, e mai si chiuderà: è giusto affrontare temi così delicati con lo strumento dell’umorismo? Non si rischia di fornire una versione edulcorata, superficiale ed ottimistica di situazioni davvero difficili e rispetto alle quali, letteralmente, ci sarebbe “poco da ridere?”, e via di seguito. Domande mal poste, a mio avviso, e non perché ingiustificate (mai vorrei banalizzare un discorso importante come quello sulla disabilità, tanto più perché un discorso su di essa è un discorso sulle persone concrete con disabilità), ma perché non colgono il nesso stretto tra disabilità ed ironia e, ancor più, autoironia.
Queste sono tecniche cui ricorro spesso, un po’ per indole, un po’ perché servono a sdrammatizzare argomenti piuttosto critici e tutt’altro che leggeri, un po’, ancora, per attirare con più facilità l’interesse del lettore.
Ma c’è una ragione in più, ed è proprio qui che volevo arrivare: l’ironia, e la comicità in genere, si basano sul ribaltamento delle regole su cui si fonda un “sistema”: ecco perché sono proprio il mezzo principe per scardinarlo, rimetterlo in discussione, farne emergere i lati più nascosti. Una persona diversabile quotidianamente è chiamata ad affrontare una realtà le cui regole andrebbero puntualmente ribaltate: sono le sue necessità quotidiane ad imporglielo.
Spesso la comicità, una persona disabile la esercita proprio nell’agire quotidiano, ad un livello, per così dire, preverbale, ovvero prima ancora di fare della sua disabilità strumento o oggetto “ragionato” di ironia. Una volta ero al ristorante con alcuni amici, tra cui Stefania, una collega anch’essa in carrozzina. Arriva il cameriere con una pirofila ricolma di patatine fritte, si avvicina a Stefania per servirla e lei, proprio in quel momento, ha uno spasmo tale che ribalta tutto il vassoio. Il cameriere, esterrefatto, non sapeva che fare: pulire, raccogliere, scusarsi…o mandare tutto in vacca? Ammettiamolo: o lo si vede come un problema, con sensazioni di rigetto o impazienza o, peggio ancora, con atteggiamento pietistico, così da vivere e far vivere la situazione con un enorme imbarazzo, o si ci fa una bella risata su… Una risata liberatoria, che aiuti ad alleggerire i pesi che possono gravare su situazioni apparentemente così drammatiche e difficili da gestire. Ma non a rimuovere quelle situazioni. Ecco perché difendo così spesso la chiave della comicità, dell’ironia e del divertimento per “aprire la porta” della diversabilità e della relazione con essa.

L’ironia e la comicità creano, peraltro, un rapporto di complicità tra me e il lettore. Credo sia anche questo a spiegare il numero delle risposte che ricevo: la voglia di confrontarsi su certi argomenti, certo, ma anche l’idea di non sviluppare questo confronto con una persona lontana ed estranea. Complicità, però, non significa accondiscendenza. Non è certo quello che cerco. Consapevole, infatti, della “parzialità” (non faziosità) di quello che scrivo, sento la necessità che siano altri, i lettori, a comporre insieme a me i pezzi, infiniti, di un discorso sulle cose. L’ironia facilita l’approccio a certi argomenti e stimola, a mio avviso, il desiderio del lettore o, nel caso dell’incontro con Elio dello spettatore, di collaborare alla creazione di una cultura dell’integrazione. Spero di essere riuscito a smuovervi, quindi: mi aspetto risposte numerose, come sempre a claudio@accaparlante.it o cercando il mio profilo su Facebook.

Claudio Imprudente
 

Continua a leggere: