In questo periodo la tolleranza è di gran moda, tanto che ha assunto lo statuto di “cultura (della)”. Nei dibattiti televisivi, di questi tempi non si sente altro che ripetere che i tifosi negli stadi non sono tolleranti verso gli avversari dell’altra curva, che la Chiesa non è tollerante verso le coppie di fatto, che i ragazzi nelle scuole non sono educati alla tolleranza nei confronti dei compagni con difficoltà. Giorni fa mi è capitata fra le mani una rivista medica. Incuriosito, ho iniziato a sfogliarla e, fra i vari articoli, ce n’era uno che parlava dell’intolleranza al glutine; riflettendo su quanto sono fortunato ad essere tollerante ai miei immancabili spaghetti, ho pensato che il termine “tolleranza” si presenta bene. Così come bisogna scartare dalla carta stagnola un cioccolatino per scoprire a che gusto è, allo stesso modo occorre smascherare il termine tolleranza e scoprire il suo significato recondito. Infatti, se prendiamo un vocabolario della lingua italiana, troveremo che la definizione di tolleranza è: “possibilità fisica o spirituale di tollerare ciò che risulta o che potrebbe risultare difficilmente sopportabile; in medicina, capacità di un organismo di tollerare bene farmaci o alimenti; virtù sociale che riguarda il modo di comportarsi civilmente con persone di opinioni politiche o di credenze religiose diverse dalle nostre; est. indulgenza verso i difetti, le mancanze altrui”. Ma allora un suo sinonimo può certamente essere “sopportazione”. Torniamo subito a sfogliare il nostro vocabolario e troviamo: “sostenere un peso; fig. subire un castigo, un disagio, un dolore fisico o morale; riuscire in qualche modo a sostenere la gravezza di q.c.; accettare cosa o persona sgradita con rassegnazione”. La frase “sostenere un peso” mi fa venire in mente un’immagine a me cara, e cioè una persona che ne prende un’altra sulle spalle. Cosa succede in questo caso? Succede che quello che sopporta il peso dopo due minuti si stanca e, soprattutto, che non può vedere negli occhi la persona che sta portando. Il nostro amico, che a questo punto sarà tutto sudato e affaticato, farebbe meglio a cambiare strategia. Invece di portarselo sulle spalle, lo dovrebbe abbracciare. Così, oltre a non fare fatica, lo potrebbe anche guardare negli occhi, cioè si metterebbe in relazione con lui. In parole povere, dovrebbe passare da una logica di tolleranza ad una logica di accoglienza. Questo passaggio culturale dovrebbe stare proprio alla base del nostro rapporto con la disabilità. Se non scartiamo la cultura imperante della sopportazione non possiamo fare quel salto di qualità per abbracciare e farci abbracciare dalla diversità.
E voi? Sono curioso di conoscere le volte in cui avete accolto l’altro senza sentirne il peso sulle spalle, e le volte in cui vi siete sentiti abbracciati.
Mi potete abbracciare cliccando su claudio@accaparlante.it.
E che dire… attenti alla carta stagnola!
Claudio Imprudente
 

Continua a leggere: