Skip to main content

C’è nessuno? – Il Messaggero di sant’Antonio, dicembre 2011

L’andamento degli eventi non segue un corso rettilineo, prevedibile. È la storia stessa a non svolgersi in maniera lineare o, meglio, la lettura che ne diamo in base ai dati che riusciamo a raccogliere (più o meno affidabili). Scarti, strappi, variazioni, eventi occasionali e forse irripetibili e periodi connotati da una maggiore regolarità, almeno all’apparenza: sono questi gli elementi che caratterizzano lo sviluppo e la successione temporale dei fatti. A volte, addirittura, sembra di vivere una condizione schizofrenica. Alcuni eventi li avvertiamo come discordanti, inconciliabili, quasi che un caso smentisse l’altro appena il primo ha avuto modo di mostrarsi e, magari, di suggerire un’interpretazione di quanto avvenuto.
Questa sensazione di straniamento si fa tanto più evidente quanto più breve è il tempo che intercorre tra un evento e quello successivo che smentisce il primo. In alcune occasioni questo scarto, questa negazione di un fatto da parte di un altro ci colpisce particolarmente, lasciandoci spiazzati, inermi e – perché no – offesi. Soprattutto se, come scrivevo, la nostra ragione aveva ricostruito, da alcune premesse, un’interpretazione che reputavamo credibile, resistente nel tempo, affidabile per noi e non solo.
 
Come già accennato nell’articolo pubblicato sul numero di settembre del «Messaggero», l’università di Bologna mi ha conferito pochi mesi fa la laurea honoris causa in formazione e cooperazione. Un riconoscimento che, in quanto indirizzato alla mia persona, vi confidavo, ho subito interpretato come frutto di un lungo lavoro collettivo e – è questo che qui ci interessa – anche come parziale segno dei tempi, almeno dello sviluppo della cultura negli ultimi cinque decenni. Non è cosa di poco conto dichiarare pubblicamente che un disabile è meritevole per le sue capacità professionali. Si tratta di un traguardo che è il risultato di un processo, di un’evoluzione che mi sembrava innegabile, evidente.
Ma, e questo passaggio dalla storia alla cronaca non deve sembrare inopportuno, dal giorno del conferimento della laurea mi è capitato, nella comunità di famiglie in cui vivo, Maranà-tha, di subire tre o quattro «non-riconoscimenti» che mi hanno colpito e fatto dubitare. È successo quando alcuni avventori occasionali, pur vedendomi in giardino o nell’atrio d’ingresso, si sono sgolati in cerca di qualcuno (che non c’era o non rispondeva) in grado di dare loro informazioni, senza nemmeno provare a interpellare me che ero lì a due passi e disponibile. Un salto indietro di trent’anni nel giro di una settimana…
 
A ben vedere, la cosa si faceva involontariamente ironica, perché chi chiama un qualcuno generico solitamente usa questa espressione interrogativa: «C’è nessuno?». Mentre io ero fisicamente lì, un qualcuno c’era, anzi ero l’unico a esserci, presente e senziente. Ma non venivo affatto tenuto in considerazione come persona in grado di fornire delle indicazioni. Di nuovo un’ironia dolorosa, proprio a pochi mesi di distanza da un riconoscimento accademico per le mie capacità formative e informative.
Questo episodio serve a segnare in maniera evidente quante contraddizioni possano coesistere, non solo nel medesimo arco di tempo, ma anche nella stessa area geografica, addirittura probabilmente prodotte da persone simili per cultura e grado di studio.
Ma tutto ciò non ci spinga a riconoscere le ambiguità come una condizione immodificabile. Ci induca semmai a farcene carico in maniera doppia, a cercare un intervento nel mondo ancora più efficace e ostinato. Una buona intenzione per l’anno che sta per iniziare. A proposito, buon Natale e buon 2012. Scrivete a claudio@accaparlante.it o sul mio profilo di Facebook.
  



naviga:

Continua a leggere: