Una domenica, terminata la messa, un fotografo mi ha fermato e mi ha chiesto gentilmente di prestarmi per uno scatto davanti all’ingresso della Chiesa.
Qualche giorno dopo, lo stesso fotografo mi ha proposto di commentare la foto (quella che vedete sopra) e mi sono venute in mente due cose che avevo pensato proprio mentre lui mi stava immortalando …
Partiamo dai palloncini colorati: in fondo che cosa sono e che idea ci restituiscono, ci stimolano? Sono una realtà leggera, danno gioia, allegria; i bambini si divertono a giocarci, li fanno scoppiare, li fanno volare e li guardano mentre prendono la via del cielo; li lasciano liberi di andare dove vogliono, se li passano l’un con l’altro cercando di non farli cadere; i palloncini si conservano anche dopo giorni come ricordo di una festa a cui si è partecipato e in cui ci si è divertiti. Esprimono la nostra voglia di libertà in due sensi, cioè quello di essere liberi e quello di dare libertà, perché quando li si lascia prendere il volo, anche se si prova dispiacere, si sa che è stata fatta la scelta “giusta”.
Il palloncino è un oggetto che può prendere la forma di tante altre cose: un cane, un fiore, una giraffa, una spada… si adatta alla richiesta del bimbo. Inoltre non è di un solo colore, ma può essere di tanti ed è proprio per questo che la sua sola presenza rende un ambiente allegro. In fondo cos’è una festa senza palloncini? Questi, infatti, annunciano e connotano la festa stessa.
Poi però, mentre attendevo lo scatto fotografico definitivo, pensavo alla frase del pannello sulla mia destra: “la forza della vita nella sofferenza”… oh! Ho sentito un pugno nello stomaco! Non era, peraltro, un caso, che io fossi posizionato a fianco di quelle parole…
Né me ne sono risentito: che male c’è ad essere considerato una persona forte nella “sofferenza”? Al massimo potrei puntualizzare che non proprio di sofferenza si tratta, ma questo non cambia il discorso… Ringrazio per il complimento, anzi.
Eppure, per quanto non fosse una frase di segno negativo, mi sembrava che quelle parole e quei palloncini fossero due presenze inconciliabili. Perché?
Perché l’immagine diffusa delle azioni che si possono compiere per vivere nonostante e insieme alla sofferenza, si portano dietro un’idea di fatica, di lotta continua, di azioni eroiche, dell’individuo che con le sue sole forze cerca di fronteggiare il “male”: un’idea comunque greve, limitante, angusta, l’idea di un risultato che in realtà non è mai raggiunto né raggiungibile, ma sempre incompleto.
Io mi trovavo proprio in mezzo, tra la frase e i palloncini…a tentare di mediare tra questi due supposti estremi. Ecco quello che ho pensato da quella posizione privilegiata: la disabilità sta e deve stare proprio lì, tra queste immagini e stati del mondo, e può rivelarsi un ponte attraverso il quale veicolare immagini diverse.
La disabilità può essere un ponte per superare il limite e l’ostacolo del pregiudizio e delle immagini consolidate, fornendo una rappresentazione che non nega la sofferenza stessa, ma sa parlare di quella e della condizione di chi la vive con la leggerezza ed il colore che noi riconosciamo ai palloncini.
Una chiave per interpretare la realtà in modo non univoco o non schematico, così come la realtà stessa ci chiede. Infatti le cose non stanno esattamente nei termini in cui quella fotografia, senza la presenza del “mediatore”, sembrerebbe suggerirci.
Pensavo, allora, che avrei volentieri cambiato la parola “forza” con la parola “leggerezza”, o “colore”: “la leggerezza nella sofferenza”; “il colore nella sofferenza”.
La disabilità può veicolare questa immagine più lieve e, come dire, più condivisibile con le altre persone. Non perché meno pungente, ma perché per realizzare leggerezza ed effetti di colore si chiede la partecipazione di tutti, e non la forza di un solo individuo.
Scrivete a claudio@accaparlante.it o cercate il mio profilo su Facebook e raccontatemi casi di forza leggera e colorata…

Claudio Imprudente
 

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