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Una comunità garante, Il messaggero di Sant’Antonio, Giugno 2012

Vi ricordate l’argomento che affrontammo nel mese di febbraio? Raccontai cosa accadde una calda domenica mattina di maggio del 1970. Mentre tutti fischiettavano Let it be dei mitici Beatles, io mi apprestavo con gioia a ricevere il sacramento dell’Eucaristia.
Non credevo che mi avrebbero scritto tanti di voi, con innumerevoli testimonianze, e questo mi ha confermato la complessità e la delicatezza dell’argomento che, partendo dalla mia prima comunione, è arrivato a scenari più ampi: il rapporto tra fede e disabilità.
Dopo quell’articolo, un fatto di cronaca ha riaperto il dibattito: in un piccolo paese del ferrarese, alle foci del Po, un parroco si sarebbe rifiutato di ammettere alla prima comunione un bambino con disabilità, considerato non in grado di intendere e di volere.
La notizia è stata smentita e confermata varie volte, ma quello che veramente ci interessa è piuttosto il dibattito, la necessità di affrontare questi temi dati troppo spesso per scontati. Non mi sembra utile dare giudizi sull’episodio in particolare, anche perché tutte le lettere che ho ricevuto mi hanno dato conferma di quanto le esperienze-testimonianze (belle o brutte che siano) raccontino ognuna storie diverse: differenti sono le sensibilità, i parroci e i contesti.

Piuttosto che prendere una posizione netta – anche perché non credo ne esista una «giusta», o una «sbagliata», e oltretutto non tocca a me stabilirlo –, preferisco dare voce ad alcuni dei lettori che, con i loro contributi e le loro testimonianze, mi hanno aiutato ad alzare lo sguardo su altri punti di vista.
Paola mi scrive: «La disabilità non deve “infastidire”, soprattutto se si tratta di ricevere i sacramenti. Deve, al contrario, essere fonte di arricchimento per tutti. Un dare e ricevere».
Nicoletta ci racconta, invece, di suo fratello che «da bambino frequentava un centro diurno per “fanciulli subnormali” (a suo tempo era così!). Un anno è stata fatta l’esperienza straordinaria di ricevere la cresima: tutti i ragazzi del centro e in presenza del vescovo. Poiché era arrivato anche il mio momento, ho trovato naturalissimo partecipare alla cerimonia e ricevere la cresima con mio fratello e tutti gli altri ragazzini. Sono passati tanti anni. Sinceramente non so quanti di loro fossero consapevoli, ma l’esperienza andava fatta, e sono contenta ancora oggi di essere stata parte di quel gruppo».

Alla luce di queste testimonianze, non può che sorgere spontanea una domanda: siamo sicuri che tutti i ragazzini, disabili e non, siano realmente consapevoli dell’importanza del sacramento che stanno per ricevere?
E, soprattutto, da chi dipende questa consapevolezza?
Chi può farsi garante nell’accompagnare colui che sta per accogliere il dono di un sacramento?
Il parroco, certo, ma anche la comunità stessa, intesa non solo come testimone partecipe dell’evento, ma anche come contesto, capace cioè di sostenere il ragazzo sia durante la preparazione al sacramento, sia mentre lo riceve, sia nella fase successiva. Solo così, con una partecipazione condivisa in ogni fase saliente del cammino, sarà possibile parlare di consapevolezza, sia per chi riceve il sacramento, sia per chi è chiamato ad assistervi.
Questo tema è sicuramente interessante e affascinante, perché apre finestre su orizzonti nuovi. Credo, infatti, che la Chiesa abbia bisogno di recuperare quello che è uno dei suoi significati più importanti: essere e farsi comunità.
E voi, cosa ne pensate? Avete mai fatto da garante? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.




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