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Autore: admin

Il diritto della donna con deficit alla visita ginecologica

A Roma da pochi giorni presso il consultorio familiare diocesano "Al Quadraro" è stato aperto un servizio rivolto specificatamente alle donne disabili.
Tale consultorio attualmente è dotato di un apparecchio ecografico completo di sonde, monitor e stampante a colori, oltre alla presenza di un lettino ginecologico adattato per i vari tipi di deficit fisici; l’ambulatorio, inoltre, è privo di barriere architettoniche e possiede dei servizi igienici adeguati. Infine tale centro è caratterizzato dalla presenza di personale medico volontario, appositamente formato per assistere le pazienti disabili.
L’obiettivo di questo consultorio è quello di "promuovere la salute della donna in tutte le fasi della vita, sia in termini di prevenzione che d’intervento mirati" come spiega la dottoressa Enrica Cichi, responsabile del Centro; e aggiunge: "Si effettueranno interventi sanitari in ambito materno infantile… Tutte le consulenze possono essere accompagnate da un sostegno psicologico, etico e legale, per il singolo e per la coppia, e da una consulenza ostetrico ginecologica e neuropsichiatrica."
Tale consultorio, già attivo sul territorio da ormai dieci anni, è comunque aperto a tutto il pubblico per quattro giorni alla settimana; attualmente ha aperto questa nuova sessione rivolta appunto alle donne con deficit fisico. Per quanto concerne l’assistenza a donne con deficit psichico, il servizio veniva già erogato in passato anche attraverso la presenza di un neuropsichiatra.
È stato raggiunto un traguardo oppure si è creata un’ulteriore divisione tra i cosiddetti "normali" e "disabili"?
Difficile dirlo, anche perché tale valutazione varia a seconda dei diversi punti di vista considerati.
Sicuramente si tratta di un progetto molto innovativo visto che offre non solo consulenza a livello fisico, ma anche psicologico; spesso, infatti, la donna con deficit si trova a dover affrontare diversi ostacoli in tale campo: può risultare complicato fare una semplice visita ginecologica a causa dei suoi impedimenti fisici; ancora più difficile è seguire la maternità della donna disabile o, prima ancora, guidarla nel percorso che la porterà ad avere una gravidanza. E ovviamente, questi ultimi esempi, e non solo, richiedono anche  un sostegno psicologico non essendo situazioni facili da affrontare.
Pertanto è lodevole l’apertura di questo Servizio a Roma. Il problema però è un altro: perchè un solo  Centro in tutta Italia? Tutte le donne disabili si dovranno recare a Roma da oggi in poi per fare una semplice visita ginecologica adeguata oppure, come è più ovvio pensare, le "non – romane" dovranno rinunciare a tale servizio e accontentarsi dei soliti ginecologi, privi di attrezzature adeguate e magari con ambulatori irraggiungibili a causa della presenza di barriere architettoniche?! Da considerare, infatti, che già può essere imbarazzante per una donna dover affrontare una visita ginecologica; tale stato aumenta nel caso in cui si incontrino delle difficoltà nell’eseguire la visita e che talvolta possono addirittura impedire una diagnosi completa.
È particolare anche il fatto che tale Centro sia stato d’iniziativa della Diocesi, in collaborazione con il Comune e la Provincia di Roma. E le Ausl? Perché tale tipo si servizi non vengono erogati dalle Aziende Sanitarie? E perché non sono presenti sull’intero territorio nazionale? A tutte le donne disabili e non, residenti al Nord, al Centro o al Sud dovrebbero essere garantite visite mediche adeguate e soddisfacenti.
Da considerare ovviamente anche il fatto che i problemi che si incontrano nell’affrontare una visita ginecologica possono riguardare anche tutte le altre tipologie di visite mediche. Può capitare, infatti, di incontrare ambulatori caratterizzati da impedimenti architettonici, oppure con lettini troppo alti o troppo stretti, ecc.
Per quanto riguarda, invece, il personale medico e sanitario in generale, tutti dovrebbero avere una preparazione adeguata ad incontrare i vari "tipi" di pazienti, compresi quelli disabili ovviamente. Un’altra osservazione merita il fatto che questi medici impiegati nel nuovo Consultorio fanno del volontariato, rivolto appunto alle donne con deficit. Perché devono essere dei volontari ad eseguire queste visite? Le donne con deficit non dovrebbero essere considerate alla pari delle altre donne e, pertanto, meritare un medico ugualmente retribuito?

La Signora Locomotiva

Il lavoro triennale svolto dal Progetto Calamaio nel territorio della Bassa Bresciana ha coinvolto 57 classi di 25 scuole diverse, dalle scuole dell’infanzia fino alle medie superiori incluse, per un coinvolgimento diretto di 18 comuni (Alfianello, Bagnolo Mella, Brandico, Dello, Gambara, Ghedi, Gottolengo, Isorella, Leno, Lograto, Maclodio, Manerbio, Pontevico, Pralboino, San Paolo, Seniga, Verolanuova).
È stata un’esperienza straordinaria, frutto dell’équipe di animatori ma soprattutto della disponibilità e collaborazione del corpo docente, del supporto dei Direttori Didattici e dei Capi d’Istituto e dell’entusiasmo degli alunni e degli studenti che hanno realizzato moltissimo materiale di documentazione (disegni, temi, storie, giochi, eccetera). Abbiamo raccolto questo materiale e cercato di riversarlo in una pubblicazione, La signora locomotiva (a cura di Roberto Ghezzo e Roberta Giacobino, con la splendida grafica realizzata da Miranda Di Pietro) al fine di testimoniare da un lato l’efficacia del lavoro educativo svolto e dall’altra la ricchezza e varietà delle esperienze realizzate, collegate nel loro insieme dalle finalità perseguite, ma anche diverse per metodologia, strumenti e materiali prodotti. Tale pubblicazione è pensata innanzitutto per essere piacevole e di pronta fruibilità (anche per i bambini e i ragazzi), un buon strumento di informazione per chi non ha mai conosciuto il Progetto Calamaio.
Vogliamo ricordare la nostra collega animatrice Cinzia Pirazzini, che è scomparsa di recente, e che dall’inizio alla fine di questi tre anni di lavoro ha infuso nell’incontro con bambini, insegnanti e genitori, tutta la sua grande umanità e simpatia, rendendo il Progetto qualcosa di unico e bello. Questa pubblicazione è stata possibile grazie al contributo dell’Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Ghedi.
Per chi sia interessato ad avere una copia de “La signora locomotiva” la può chiedere direttamente  a noi, telefonando allo 051/641.50.05 o mandando un’e-mail a questo indirizzo: cdh@accaparlante.it

E poi ci troveremo come le star…al Roxy Bar!

Ecco, anche stasera mi stanno preparando, insieme agli altri “colleghi” boccali di birra, per essere trasportato in uno dei tanti tavoli del locale. Anche stasera c’è il pienone, e andrò a rallegrare con un po’ di buon malto le persone che cercano un po’ di svago. In che tavolo sarò servito? A quanto pare mi sto dirigendo verso quel gruppo di amici, che stanno ridendo scherzosi, ma… uno di loro è in carrozzina! Speriamo che non si mettano a fare solo discorsi sui disabili! Ops, forse dovrei dire diversamente abili, per usare un termine che sento dire sempre più spesso dalla gente. Comunque, sempre lì, questi diversamente abili, a chiedere pensioni di invalidità, pass per entrare in centro con l’auto, agevolazioni fiscali sull’acquisto di un computer, abbattimento delle barriere architettoniche… Barriere? Ecco, lo sapevo, stanno proprio parlandone in questo momento. Uffa, sarà la solita noia, il disabile che si lamenta perché non riesce a fare le scale e non c’è l’ascensore, o perché non può entrare nei negozi se c’è anche un solo gradino all’esterno… Non è che si possono cambiare tutti i palazzi solo per una categoria di persone, una minoranza, o no? Ma vediamo cosa dicono, sono curioso. Inizia a parlare Mario, a quanto pare di mestiere elettricista. Una volta si è trovato a dovere trasportare un frigorifero in un palazzo con molti piani e ovviamente la persona che aspettava il frigorifero stava all’ultimo! Meno male, c’era l’ascensore, ma… Una chimera! L’ascensore era troppo stretto! Frigorifero in spalla, allora… Ridono, nel gruppo, mentre Mario muove le braccia con ampi gesti per evidenziare il poco spazio dell’ascensore e la grandezza invece del frigorifero. Sorge spontanea una considerazione da parte di tutti: se l’ascensore fosse stato accessibile veramente, o diciamo a norma di legge per consentire l’entrata di una carrozzina, ci sarebbe passato anche il frigorifero! E Mario si sarebbe risparmiato una bella sudata! Uno degli altri amici ha un altro aneddoto: è un manager di successo e viaggia sempre per lavoro, su e giù dagli aerei, fuori e dentro gli hotel; spesso sta fuori città anche parecchie settimane, e porta con sé valigie e borsoni molto voluminosi, tra vestiti, computer portatile, documenti dell’ufficio… Certo è un uomo forte, abituato al movimento, ma ogni tanto rimpiange di non trovare una rampa al posto dei gradini! Le valigie, con le rotelline sotto, sarebbero molto più comode da trasportare su un pavimento in salita piuttosto che sollevate a braccia su per una scalinata! Anche qui a ridere, al pensiero del robusto Luca che si “arrampica” con i borsoni, stremato dal fuso orario… Interviene di nuovo Mario, novello papà, a raccontare di come sua moglie si lamentasse sempre, durante la gravidanza, di tutti gli ostacoli che trovava per la strada, negli uffici, nei palazzi, nei negozi… camminare con il pancione non era così semplice! Tante volte non ci si rende conto di quante barriere architettoniche ci siano fuori casa, o magari anche dentro casa!, finché non ci si trova con i movimenti limitati. Bravo Mario, commentano gli altri, e aggiungono altri esempi, i primi che vengono in mente tra una sorsata di birra e l’altra: mamme che girano con i figli piccoli nei passeggini, ragazzi che si sono rotti una gamba a sciare, persone anziane che camminano con il bastone… E poi ancora tanti mestieri, come Mario l’elettricista: i facchini, i fornitori dei negozi, i pony express… Persone che devono tutte trasportare dei pesi, e spesso si ritrovano a farlo in luoghi pieni di barriere architettoniche: non che non ci riescano, non sono disabili, quindi alla fine ci riescono, però che fatica! O anche i volontari sulle ambulanze, che spesso si trovano ad esempio a trasportare barelle su e giù per marciapiedi con gradino, senza la famosa “discesina” per le carrozzine… Interessanti, questi racconti, perché portano alla conclusione di una grande svolta culturale, di un ribaltamento della situazione tradizionale: un mondo accessibile ai disabili è un mondo accessibile a tutti! Lo dice con un grosso sorriso l’amico Claudio, quello del gruppo che è in carrozzina. Non si tratta di fare battaglie e di chiedere dei diritti solo per una categoria di persone, una minoranza, una nicchia della società. È vero, i disabili sono una minoranza, ma quello che vorrebbero che fosse realizzato per loro aiuterebbe parecchie altre persone, anzi, decisamente aiuterebbe tutti! Perciò abbattere una barriera anche solo per una persona significa comunque fare il bene della collettività. Ciò che migliora la qualità della vita dei disabili, migliora la qualità della vita di tutti. Sembrano slogan, se la ride Claudio, e anche gli altri amici lo prendono in giro, gli dicono che parla come le pubblicità televisive. Già, però è anche vero che allargare la logica di una minoranza a quella della maggioranza è un ribaltamento di prospettiva importante, e per niente banale, anche se a prima vista può sembrarlo. È il ribaltamento che fa emergere quel qualcosa in più affinché si diffonda una volta per tutte la cultura dell’abbattimento delle barriere architettoniche. L’ultimo amico del gruppo fa l’educatore di un ragazzino disabile, e racconta il nervoso che prova ogni volta che vede una struttura appena costruita, magari un nuovo cinema, in cui i costruttori non hanno pensato a determinati problemi di mobilità. Sono strutture nuove, c’è una legge sull’abbattimento delle barriere architettoniche in vigore dal 1989, usiamola! Già ristrutturare i vecchi edifici, musei, chiese sembra un’impresa impossibile, perché si ha paura di “deturpare” le strutture già esistenti, se poi non si fa attenzione neppure al nuovo… Manca proprio la cultura giusta, concludono tutti. Per questo non è una banalità dire che ci sono delle vere e proprie barriere culturali, oltre che fisiche!
Oh, ma come? Se ne stanno andando, lasciano il locale. Beh, almeno stasera mi sono ritrovato in una tavolata molto interessante oltre che divertente, e anche molto istruttiva! Cin cin a tutti allora! E quando siete per strada e trovate un ostacolo, ripensate a questa serata!

“Cartoline per tutti”

Come è nata l’idea di occuparti di turismo?

Ho sempre amato l’idea del movimento e della libertà e apertura mentale che il viaggiare offre. Decisi di studiare alcune lingue straniere tra cui l’inglese, il francese, lo spagnolo e il tedesco. Dopo la laurea in Scienze Politiche era  tanta la voglia di  esplorare il mondo e il mondo fu generoso. Mi spalancò i suoi orizzonti e per dieci anni lavorai come Project Manager e Information Officer alle Nazioni Unite (ONU) risiedendo o viaggiando in vari Paesi del mondo nella mia veste di manager e di relatrice in convegni internazionali (mass-media,  donne e leadership, persone disabili, turismo per tutti). Ho visitato per lavoro e per vacanza  quattro dei cinque continenti sulla mia quattro ruote cioè la  sedia a rotelle che uso dall’età di sei anni. Nel 1995 accettai degli incarichi dirigenziali rientrando così in Italia. Su richiesta del Dipartimento del Turismo, all’epoca facente parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentai come esperta l’Italia su “Turismo per Tutti – Vita Indipendente” presso la Commissione Europea (Belgio). Decisi anche di riprendere a carezzare un mio vecchio sogno… curare quel talento che avevo manifestato già all’età di pochi mesi di vita: “la comunicazione”. Così durante la settimana lavoravo in Friuli e i fine settimana li trascorrevo a Milano per seguire un corso biennale di doppiaggio. Da tre anni ho intrapreso una nuova carriera che è quella dell’autrice, scrittrice e conduttrice radiofonico-televisiva specializzandomi in turismo e in comunicazione dopo alcune esperienze all’estero di conduzione televisiva di programmi inerenti il turismo, come ad esempio Travelog per la televisione Channel 4 in Gran Bretagna. Così nel 2002 ho ideato un programma radiofonico sul turismo e i viaggi che contiene itinerari e informazioni utili a tutti, inclusi i turisti a mobilità ridotta temporanea o permanente. Tra le varie emittenti radiofoniche nazionali alle quali lo avevo presentato, Radio24/Il Sole 24 Ore mi è sembrata la più interessante per presentare questo magazine di servizio sul turismo, unico nel suo genere nel panorama italiano. Da lì è iniziata l’avventura con “Cartoline per Tutti”, che curo e conduco dall’agosto 2002,  in onda le domeniche alle 13.30.

In base alla tua esperienza chi sono i turisti a mobilità ridotta a cui spesso dedichi attenzione nel tuo programma “Cartoline per Tutti”?

Chi sono? Le donne in cinta, le persone con un arto ingessato, i genitori con i bambini piccoli ma anche i turisti con allergie da polline, ambientali o alimentari, i turisti con disabilità motorie o sensoriali o mentali o invisibili, i viaggiatori obesi o seniors, e perché non includere anche le persone vegetariane, celiache e in ultimo chi non ha accesso a molte strutture perché viaggia con il proprio animale domestico. Pensiamo alla popolazione italiana: il 12% è anziana (over 60 anni),  il 9% è obesa,  il 10% ha una qualche forma di disabilità visibile e non, senza contare le persone allergiche, i genitori con i bimbi piccoli, le donne in stato interessante. Tutti potenziali turisti che si ritrovano in condizioni di ridotta mobilità. “Cartoline per Tutti”, pur non essendo un programma rivolto ai turisti con mobilità ridotta temporanea o permanente è l’unico programma a livello nazionale di questo genere che presta loro particolare attenzione. In Italia ci sono informazioni e gruppi attivi nel contesto di un turismo di qualità e per tutti, ma ho l’impressione sia tutto ancora a macchia di leopardo e l’informazione spesso non usa parametri standard e non circola bene. Ecco che allora ho pensato di far incontrare attraverso il microfono la domanda e la richiesta turistica.

Cosa intendi per parametri standard?
Se penso alla disabilità allora faccio riferimento ai parametri della Classificazione Mondiale della Sanità (OMS).Il punto focale della classificazione dell’OMS è la sequenza di definizioni che porta dalla menomazione all’handicap. La menomazione è il danno biologico che una persona riporta a seguito di una malattia (congenita o meno) o di un incidente. La disabilità è l’incapacità di svolgere a vari livelli le normali attività della vita quotidiana a seguito della menomazione. L’handicap è lo svantaggio sociale che deriva dall’avere una disabilità. Ad esempio, una persona su sedia a rotelle è sicuramente disabile, ma potrebbe potenzialmente non essere handicappata (parola inglese che significa “svantaggiata”) se venissero eliminate tutte le barriere architettoniche permettendole  l’accesso ai vari  settori della vita sociale. Infine, oggigiorno l’OMS evidenzia che una persona va considerata nell’insieme delle sue  abilità e talenti e non in base a ciò che non riesce a fare.
Sempre con riferimento alle Nazioni Unite e al turismo vorrei aggiungere che i principi e i valori che sono alla base delle Norme Standard delle Nazioni Unite e del Programma di Azione Mondiale per le Persone Disabili dell’ONU e delle sue agenzie specializzate in merito alla mobilità ridotta e al turismo sono accettati anche dall’Italia quale sua Paese membro. Le Nazioni Unite così definiscono le eguali opportunità: "il processo attraverso il quale i vari sistemi della società e l’ambiente, come i servizi, le attività, l’informazione e la documentazione,  siano messi a disposizione di tutti, particolarmente alle persone con disabilità”. Nel 1994 l’ Assemblea Generale adottò le Regole Standard per le Pari Opportunità delle Persone Disabili che riassumono in 22 regole il Programma di Azione Mondiale. Delle regole la n. 11 incoraggia gli Stati perché sensibilizzino l’industria turistica e i suoi operatori nel formare adeguatamente il personale e nell’offrire un servizio turistico fruibile da tutti incluse le persone con  disabilità. Io cerco di farlo per quelli che sono gli strumenti che ho a disposizione.
Certamente le campagne di sensibilizzazione delle Nazioni Unite prima e poi dell’Unione Europea hanno giocato un ruolo fondamentale in materia di pari opportunità per tutti anche nel settore ludico e turistico. Si è affermata la consapevolezza del diritto a viaggiare di chi ha una mobilità ridotta e di offrire un turismo di qualità da parte degli operatori del settore. Le chiavi sono: informazione e formazione adeguate, strutture turistiche e  luoghi  di vacanza a misura d’uomo, mezzi di trasporto o itinerari accessibili e privi di barriere. E non dimentichiamo il momento di svolta nell’ambito della legislazione turistica italiana  segnato dalla Legge Quadro n. 135 del 2001 che per la prima volta include a pieno titolo disposizioni in materia di turismo per tutti.

Cosa sta accadendo da un punto di vista pratico in Italia? Ci sono agenzie o operatori turistici che includono località e itinerari fruibili anche dalle persone con disabilità, siano esse motorie, sensoriali, mentali o invisibili?

Per l’Italia ci sono dei gruppi, specie associazioni più o meno conosciute, che cercano di attrezzarsi per promuovere un turismo per tutti. Personalmente ho l’impressione però ci sia molto da fare perché non diventi un turismo “specializzato” cioè gestito solo da gruppi che ruotano nel settore sociale, del volontariato o che ricevono sostegni dalla Stato. In più le opportunità commerciali offerte da questo bacino di mercato sono molte e anche l’industria turistica italiana se n’ è accorta e inizia ad attrezzarsi. Insomma, ci sono operatori e agenzie turistiche italiane che sempre più includono nelle loro destinazioni informazioni sulla accessibilità dei luoghi che propongono anche alle persone con disabilità. Ci sono ancora lacune però tra avere accesso a un luogo e poterne fruire.  Non basta entrare nei luoghi ma bisogna anche poterli visitare agevolmente. Purtroppo però l’informazione circola con difficoltà e di qui la necessità di dar vita a un programma di azione puntuale e strutturato. Io ci provo con “Cartoline per Tutti” e altre attività collaterali alla mia collaborazione con Radio24, come articoli su riviste italiane ed estere, e seminari formativi, convegni e presenze televisive.
In base alla tua esperienza che fotografia ci daresti della realtà estera?
In alcuni Paesi Europei come la Germania e la Gran Bretagna da tempo le associazioni non profit si sono attivate nella creazione di percorsi turistici accessibili, adattati alle esigenze di chi ha disabilità motorie o sensoriali. L’Australia è molto avanti nella eliminazione sia delle barriere architettoniche che di quelle culturali.  Nei Paesi del Nord America oltre ai turisti con disabilità, da tempo ormai  si presta attenzione un po’ a tutti i turisti a mobilità ridotta sia essa temporanea o permanente. Una dimostrazione è l’esistenza e l’operato di SATH che è un’associazione non profit statunitense, affiliata all’ONU, con sede a New York, che raggruppa tutti i Tour Operator a livello mondiale che si occupano di viaggi per persone con disabilità. Nel passato avevo frequenti contatti con loro perché spesso trascorrevo lunghi periodi a New York City per lavoro e sono veramente molto efficienti e affidabili. D’altronde hanno un’esperienza di alcune decine di anni. Infatti SATH fu fondata nel 1976 con l’obiettivo di sensibilizzare gli Stati Uniti, e anche il resto del mondo, sulle necessità dei viaggiatori con disabilità, sulla rimozione delle barriere culturali e architettoniche e sul fatto che si tratta di un bacino di utenti molto grande e quindi economicamente interessante per l’industria turistica. Lo slogan che SATH propone è “Everyone gains from opening the doors for people with disabilities who want to travel like everyone else” che tradotto significa ”Tutti ci guadagnano nell’aprire le porte alle persone con disabilità che vogliono viaggiare come chiunque”.

Potresti salutare i lettori con un frase che ti rappresenta?

Sarebbe scontato se facessi riferimento a Martin Luther King quando dice “Io ho un sogno”, quindi saluterei tutti con un pensiero di Goethe: “Qualsiasi cosa si sia in grado di fare, o si sogni di fare, iniziamo a farla. La caparbietà ha in sé genialità, potere e magia”.  

Accessibilità: parlarne si può.Piccoli consigli a uso dei colleghi giornalisti

1. Nel nostro mestiere non c’è di peggio che improvvisare. E invece, come è noto, l’emergenza è la parola più diffusa nelle redazioni, quando viene affidato un incarico rispetto al quale appare evidente che non è facile documentarsi in fretta. Dunque il primo consiglio che credo debba essere messo in valigia è quello di avvicinarsi al mondo delle persone con disabilità o comunque con mobilità ridotta, per problemi di varia natura e origine, utilizzando le risorse professionali ben note, ossia quelle della curiosità, umiltà, verifica delle fonti, buon senso, disponibilità ad approfondire.

2. Il tema dell’accessibilità turistica è davvero interessante per un giornalista, specie se specializzato proprio nel turismo. Questo aspetto dell’accoglienza, infatti, ha molto a che fare con lo stile e con la qualità complessiva della proposta turistica del luogo del quale siamo intenzionati di parlare.

3. Accessibilità, infatti, non ha a che fare con la normativa sulle barriere architettoniche e basta, come si potrebbe erroneamente pensare. Un giornalista turistico, infatti, difficilmente può essere incuriosito dai maniglioni di un bagno attrezzato, o dalla pendenza di una rampa all’ingresso di un albergo o di un museo. Ma sicuramente avrà memorizzato alcuni dettagli, specialmente in viaggi nelle capitali straniere, dai quali si desume sicuramente un’attenzione all’accessibilità per tutti. È un’attenzione che si concretizza in diversi modi.

4. Prima di tutto le guide: è opportuno informarsi subito se esistono pubblicazioni locali, non necessariamente aggiornatissime, che diano conto del livello di accessibilità delle strutture e dei servizi. Spesso nelle aziende di soggiorno questo materiale, magari dimenticato, esiste. È opera di qualche associazione di volontariato, con il patrocinio degli enti locali o di associazioni come Lions e Rotary. Dal 1981, Anno Internazionale delle persone handicappate, al 2003, Anno Europeo delle persone con disabilità, non sono cambiate solo le parole, ma c’è stato anche un fiorire di iniziative nel territorio, poco conosciute e a volte estemporanee, ma comunque in grado di fornire almeno qualche utile ragguaglio generale.

5. In secondo luogo i siti internet: quasi sempre, negli ultimissimi anni, alcune informazioni, anche se generiche e incomplete, sull’accessibilità delle strutture ricettive e delle località nel loro complesso (beni architettonici, luoghi pubblici e di spettacolo, parchi, ecc.) sono reperibili e spesso accompagnate dal riferimento telefonico e dall’indirizzo di chi ne sa di più.

6. In terzo luogo, dunque, è utile chiedere, nel visitare un parco, o una città d’arte, o un museo, o una località di villeggiatura, anche le informazioni disponibili in via veloce sul tema dell’accessibilità per tutti. Il giornalista turistico, infatti, non deve, a mio giudizio, sentirsi obbligato a certificare l’accessibilità, come se improvvisamente ne fosse un esperto imbattibile, ma deve – e soprattutto può – fornire ai propri lettori almeno alcune informazioni di massima circa il livello di accessibilità delle strutture delle quali parla.

7. Negli itinerari enogastronomici, o culturali, o ambientali, ad esempio, consiglierei di cominciare a prevedere, a corredo dei propri servizi, un box contenente le informazioni utili per chi vuole saperne di più. In mancanza di fonti all’origine è possibile rivolgersi quanto meno ai numeri verdi nazionali già esistenti (Vacanze serene o SuperAbile). Il salto culturale rappresentato dall’attenzione, anche grafica, a informazioni che fino a oggi non sono mai state prese nella dovuta considerazione, è di sicuro impatto, ma anche, se non soprattutto, di efficace effetto per la fidelizzazione di lettori vecchi e nuovi.

8. Occorre infatti tenere conto che in ogni famiglia, più o meno, il problema dell’accessibilità dei luoghi di vacanza o di soggiorno breve, di week-end o di viaggio esotico, è tutt’altro che casuale. Non si capisce, ad esempio, perché venga ritenuto più logico fornire notizie sull’accoglienza riservata agli animali domestici, rispetto a quella destinata a persone in sedia a rotelle, a bambini sul passeggino, ad anziani col bastone. Se è vero che almeno un milione di persone disabili italiane viaggiano regolarmente, è assai prevedibile che lo scoprire, nelle riviste di viaggio, nei quotidiani, nei servizi radiofonici e televisivi, anche questa attenzione inedita, non potrà che aumentare la schiera dei lettori, degli ascoltatori, degli spettatori.

9. È importante anche avere occhi, orecchie e naso aperti: dopo le giornate di formazione sicuramente un buon giornalista vedrà il mondo che lo circonda con un occhio leggermente diverso. Un parcheggio in pendenza e pieno di ghiaia, ad esempio, balzerà all’occhio con assoluta evidenza, e non c’è bisogno di conoscere l’intera legislazione sulle barriere architettoniche per comprendere che, fra le cose da segnalare nei propri servizi, potrebbe trovare una riga anche questa notazione di servizio, non solo per mettere sull’avviso chi andrà nella località segnalata, ma anche, auspicabilmente, per contribuire a migliorare la ricettività complessiva.

10. Non tutto è accessibile, e soprattutto non tutto è facile da risolvere, specialmente in un Paese storico come l’Italia. Ma alcune cose fondamentali vanno tenute presenti. Il viaggiare ad esempio è un diritto e non una concessione che riguarda solo alcuni, i più sani e i più forti. Descrivere le località, gli ambienti naturali, le strutture ricettive anche dando conto delle difficoltà che potrebbe incontrare chi è cardiopatico, oppure obeso, oppure con problemi di alimentazione, è ad esempio un modo per dimostrare una sensibilità maggiore e più completa.

11. Occhio ai buoni esempi: una volta divenuti leggermente meno inesperti, i miei colleghi della stampa turistica sapranno cogliere al volo quelli che possiamo considerare esempi di buone prassi, sempre più diffusi – fortunatamente – nel nostro Bel Paese. Sarebbe dunque auspicabile che nei prossimi mesi si ponga attenzione non casuale alla segnalazione privilegiata di proposte di viaggio che siano effettivamente alla portata dell’intera popolazione. L’accentuare, anche attraverso le immagini e la titolazione (a volte basta un’efficace didascalia) un accorgimento di buon gusto per superare un ostacolo, o per favorire la comprensione dell’ambiente a chi non vede, o a chi ha problemi di orientamento, sicuramente accresce e non diminuisce la qualità complessiva del pezzo.

12. Un ultimo consiglio: non si deve mai pensare che parlare e scrivere di accessibilità significhi intristire gli articoli o i servizi. Occorre infatti mantenere intatto il proprio stile professionale e il proprio taglio informativo, riuscendo a inserire questa nuova, doverosa, attenzione accanto alle altre cose che fanno parte del bagaglio professionale ordinario. Per esempio, chi è esperto di gastronomia, spesso descrive con cura anche l’arredamento di un ristorante, notando lo stile dei tavoli, la ricchezza del tovagliato, la scelta dei cristalli: nulla vieta, in tale contesto, di fare cenno all’ampiezza dello spazio fra un tavolo e l’altro, alla comodità del luogo, alla cortesia del personale che sa risolvere anche problemi leggermente più complessi.

13. L’attenzione all’accessibilità, in conclusione, deve e può diventare una buona abitudine professionale, un marchio di qualità e di accuratezza del proprio lavoro, e non semplicemente un’occasionale curiosità legata alla circostanza della celebrazione europea.

Viaggiare ti rivolta come un calzino

Intervista ad Antonietta Laterza

Cosa rappresenta la dimensione del viaggio nella tua esperienza personale?

Per me la dimensione del viaggiare è una delle cose più belle che la mia mente possa immaginare. Soprattutto viaggiare come una full immertion in altre realtà, in senso globale. A me piace il turismo culturale, andare in una città europea  o extra europea e cercare di fare la vita che fanno tutti i cittadini di quella città. Prendere contatto con la storia, la cultura, la vita quotidiana di questi paesi, di queste persone. Viaggiando ti rendi conto di quante diversità e stili di vita ci sono nel mondo: è  molto divertente e interessante fare questi confronti. Per via della mia professione di cantante mi è capitato di fare viaggi in Danimarca, in Francia, in Inghilterra, in Germania e stranamente lì trovavo con la gente del posto una sintonia che magari non trovavo a Bologna o a Roma o a Milano. Questo è molto bello perché considerare il pianeta terra  come un’incubatrice di idee, di qualità di vita, di stili di vita immenso ti dà anche una grande speranza. Permettersi di viaggiare è come vivere di più la vita, diventa più vita perché puoi trovare delle sintonie anche imprevedibili, importanti sul piano della ricerca personale che uno fa, sul piano del suo lavoro o della sua passione, della sua arte. Sarà perché ho la luna in Sagittario ma mi sento una viaggiatrice nata, nel senso che mi piace provare  a vivere l’avventura, mi piace imbarcarmi in un tipo di viaggio dove io so da dove si parte ma non so dove arrivo e non so quando ritorno. Diventa un’esperienza, chiamiamola avventura, che mi può proprio cambiare. Per me viaggiare è come una rinascita. Poi magari  mi capita  di morire un po’ in molti viaggi, ma in altri è stata proprio una rinascita, un’esplosione di emozioni, di idee. Mio marito, Nicolas, era argentino, di Buenos Aires: mi piacciono molto le persone straniere, che parlano un’altra lingua, perché il linguaggio è poi molto legato al modo di pensare e anche al modo di essere. Diventano sfumature di contenuto, non è solo un modo di dire ma di essere. Ci sono modi diversi di intendere l’amicizia, la solidarietà, il piacere della cultura. È come essere non in un altro paese ma in un altro pianeta.
Quando Nicolas mi ha portato a conoscere i suoi è stato per me come vivere due mesi su Venere; in effetti quando si è così immersi in un’altra realtà si fa un’esperienza globale che colpisce non solo la mente ma tutti i sensi: è diversa la luce, i colori, la temperatura. A livello di esperienza fisica e poi anche culturale “ti rivolta come un calzino”, lì veramente ti senti un’altra persona in un altro mondo e questo è bellissimo. Poi dopo la morte di mio marito, ho vissuto alcuni anni con un ragazzo senegalese e anche quella è stata un’immersione nella cultura africana e in particolare del Senegal, con il loro cibo, la loro lingua, la loro religione. Ecco è come se fossi vissuta per un po’ di anni in un altro pianeta, questa volta su Marte.
Nel viaggiare ho capito che dietro agli atteggiamenti evidenti c’è un retroterra, c’è un certo modo di essere, c’è un diverso rapporto con la natura, con il tempo, con il clima; come ad esempio nel Nord tutto deve essere lavorato perché la natura non ti regala niente. Cambia, quindi, la psicologia umana. Per me è interessantissimo viaggiare anche per questo motivo.
Quando il viaggio finisce rimane tanto perché ci si sente cambiati, ci si sente più ricchi, più aperti,   si hanno molti più modi di pensare davanti, non solo il nostro. Poi c’è anche il rammarico perché è difficile mantenere il contatto. Mese dopo mese ci si ritrova a ritornare un po’ quelli di prima, però un po’ più straniati dal proprio luogo. Bisognerebbe ogni tanto avere la possibilità di partire per un grande viaggio soprattutto mentale. Per questo non mi piacciono i villaggi turistici che, anche se sono dall’altra parte del mondo,  copiano il nostro modello di vita occidentale per cui dal punto di vista culturale è come essere a Rimini.

Vi è un’attenzione presente al turismo accessibile, a rendere il viaggio un’esperienza possibile anche per chi a difficoltà di movimento. Come la leggi questa attenzione?

È fondamentale ma occorre fare qualcosa di più e di diverso. Quello che, secondo me, bisognerebbe favorire è l’accessibilità in senso globale, di tutte le case, gli alberghi, le spiagge e non essere costretti, soltanto perché si è disabili, a fare un turismo su una corsia preferenziale perché questo, a volte, ti impedisce di conoscere gran parte dei luoghi peculiari di quel paese. Non si tratta solo di dire facciamo l’albergo accessibile, ma di avere realmente la possibilità di accedere a ciò che di vero e interessante c’è da conoscere in quella realtà.
Sono d’accordo sul fare dei percorsi che favoriscano l’accesso a certi luoghi (e si sta facendo molto) però non dimentichiamo che sarebbe molto meglio che fosse tutto già facilitato in partenza nella progettazione iniziale delle città, delle strade, delle case. Se no, hai sempre bisogno di avere degli amici disponibili ad aiutarti.
La nuova frontiera è qui: non solo i percorsi per andare in certi posti, ma prevedere nella progettazione urbanistica un piano di accessibilità globale per tutti. Se no c’è il rischio che per poter viaggiare si va solo in certi posti. Se uno vuole essere viaggiatore o viaggiatrice a tutti gli effetti,  questo aspetto si deve tenere presente: non è che il turismo per disabili ti fa veramente andare dappertutto. Questo per dire anche che oggi come oggi è assolutamente impraticabile l’idea  di una persona disabile che viaggia da sola.

L’impatto con le persone che per mestiere si occupano di facilitare la mobilità delle persone disabili: che esperienza ne hai?

Negativa, ma non per colpa dei lavoratori. A un certo livello dirigenziale si trova la massima disponibilità a parole. Ma quando arrivi, ad esempio in una stazione, chi è che ti fa il servizio? Una cooperativa di facchini! Che ti “sbatte” sull’elevatore, ti senti un fenomeno da baraccone, una merce da trasportare. Si tratta di personale non preparato, senza una formazione specifica, che spesso sente come un obbligo in più questo compito e rivendica, fra l’altro, l’assenza di un aumento retributivo ad hoc.
Si delega, si tende a garantire un servizio al più basso costo possibile. È chiaro che questo spesso  vuol dire avere un servizio di qualità scadente dove la persona disabile è assimilata a un pacco da spostare. Non si può dare la colpa al singolo operaio, lui è stato assunto come facchino per trasportare della merce, non è che ha fatto un corso di formazione per trasporto persone disabili. Bisognerebbe curare anche gli aspetti relazionali ed emotivi che un rapporto, anche estemporaneo, con la persona disabile può suscitare. Se questa cura non c’è, il servizio che  si realizza è alla fine asettico e un po’ più disumano, può creare separazione fra le persone piuttosto che integrazione nella vita normale.

Che cosa consiglieresti alle persone che si occupano in modo professionale di mobilità e turismo accessibile?

Da parte di chi offre questi servizi consiglierei di fare molta attenzione a non creare ghetto. Di pensare e proporre occasioni di turismo e vacanza in tutte le situazioni normali e reali senza  considerare che i disabili debbano avere un loro posto speciale, una spiaggia solo per loro ecc. Mi piace andare in una situazione dove il rapporto fra persone, disabili e non, sia reale. Poi se ho degli amici disabili e voglio andare via con loro, bene, ma è una mia scelta e non perché sono costretta a farlo dalla mancanza di alternative.
Anche alle persone disabili direi di non fermarsi solo a queste corsie preferenziali, di considerare se stesse come persone che hanno diritto di provare a fare quello che vogliono veramente fare, senza darsi già dei limiti in anticipo perché come persone disabili non si può “avere delle pretese”. Questo è già sbagliato; è importante, invece, cercare di fare il massimo almeno per quello che riguarda i sogni e i desideri, poi ci pensa la vita reale a metterti dei limiti. Se i limiti ce li diamo già noi nella nostra testa abbiamo finito ogni discorso in partenza.

Trattati da Vip!

Intervista a Cristina Baggia

Muoversi: in due è meglio
Mi sono sempre mossa in treno. Una volta anche in corriera, in Umbria, perché volevamo visitare anche i paesi come Todi dove non arriva il treno.
Sono sempre andata via con Leda, mia amica dai tempi della scuola. Direi che è fondamentale andare via con una persona cara che sia disposta ad aiutarti di fronte alle occasioni impreviste, che abbia forza fisica e capacità e che sia disponibile.
In Italia sono stata a Napoli, Palermo, Perugia, Milano, Venezia, Torino. In Europa: Parigi, Praga, Londra, Madrid, Lisbona, Granada, la prossima sarà, Berlino. L’occasione è vedere qualcosa di bello. Io sono appassionata di pittura, d’arte in generale, e spesso il motivo per muoversi è legato alla voglia  di vedere una mostra, un museo, visitare una città d’arte o un monumento.
Non mi piacciono i viaggi organizzati. Devi muoverti insieme ad altre persone che hanno altri orari, altri interessi. A me piace vedere e avere impressioni mie. Quando viene in mente qualcosa che piace è importante cominciare a organizzarsi, cercare informazioni.
Organizzare una vacanza da sola, però, è ancora molto difficile. Ci sono aree attrezzate per essere visitate ma non ancora per soggiornarvi. Non è facile avere un’informazione adeguata, perché si devono sempre cercare dei percorsi specializzati. Nelle guide turistiche per tutti, quelle che normalmente uso quando viaggio, non c’è un’attenzione di questo tipo.

La disponibilità reciproca
La disponibilità delle persone è sempre stata molto grande. Ho sempre trovato persone molto gentili e disponibili. Certo ci vuole un comportamento educato. Ho visto persone sulla sedia a rotelle con un comportamento arrogante, ma se ti presenti gentile ed educato sarai trattato ugualmente bene. Quando ero a Palermo in un albergo meraviglioso (gli alberghi per le persone disabili sono spesso a quattro stelle!) c’era una scaletta per andare a fare colazione e c’erano sempre due persone che ci aiutavano: ci hanno proprio trattato da vip!  Anche in una città considerata difficile per muoversi siamo riuscite a vedere quasi tutto quello che ci interessava.
Credo comunque che sia importante comportarsi con gentilezza: in questo senso non sei trattato in modo diverso dagli altri. Non bisogna avere pretese assurde solo perché si è disabili.
A me è capitato addirittura che cambiassero il binario di arrivo in modo da farmi salire. Questo va al di là del dovere, è proprio l’atteggiamento che è bello. Questo forse è anche legato al mio modo di essere che cerca l’accordo con gli altri; è fondamentale che uno si comporti bene, il fatto che una persona sia sulla sedia a rotelle non è colpa di nessuno, né sua ma neanche degli altri. Una persona si deve rendere conto che se da un lato ha dei problemi oggettivi, in certi casi può anche crearne.

Affidabilità e fiducia
L’itinerario: ci viene in mente di andare da  qualche parte, spesso c’è un motivo legato alla storia, all’arte. Leggo, mi informo, poi prenoto tramite la mia agenzia, sempre quella da tanti anni. È l’agenzia che fa da filtro, che mi cerca un bell’albergo accessibile. Per me è importante l’affidabilità e la fiducia in chi mi cerca l’alloggio. Ho provato a utilizzare anche  Internet ma non sono certa del grado di accuratezza delle informazioni e soprattutto adesso che non ho più la possibilità di muovere anche solo qualche passo da sola ho bisogno di essere sicura di non trovare brutte sorprese all’arrivo.

Accessibilità
Il livello di accessibilità è abbastanza buono anche se ci sono delle eccezioni. Ad esempio all’Accademia di Venezia, dove pur avevo telefonato per verificare se c’erano problemi di accesso e avevo ricevuto risposta negativa, già all’ingresso c’erano due scalini impraticabili senza un aiuto. Poi ancora due, infine per accedere alle sale della mostra un’altra serie di gradini. Non si può dire: “siamo attrezzati” e poi dover confidare sulla buona disponibilità delle singole persone che trovi là.
Anche Casa dei Carraresi non è di facile accessibilità. Poi, per contrasto, sono riuscita a visitare bene Bergamo alta perché la funicolare ha una piattaforma in cui si riesce a entrare con facilità. Anche all’estero sono riuscita quasi sempre a visitare le cose che mi interessavano, A Parigi, fra l’altro, non è necessario neanche  prenotare prima per il trasporto ferroviario: c’è un “battaglione” di ragazzi in divisa rossa che è a disposizione. È molto comodo perché puoi decidere di spostarti anche sul momento. Ci sono città che per la loro conformazione sono più difficili da girare come Lisbona, tutta un sali e scendi, e città, come Londra, che mi sono sembrate molto attrezzate e dove comunque sono riuscita a vedere ciò che mi interessava. Spesso, comunque, dove non arrivava l’accessibilità tecnica ha compensato la disponibilità delle persone, cosa questa che è un limite e una forza insieme.

Viaggiare: come costruire la propria libertà

Per una persona disabile nelle condizioni fisiche di estrema gravità come le mie, soprattutto per quanto riguarda la comunicazione verbale, viaggiare ha rappresentato una tappa fondamentale; una fonte inesauribile di scoperte e di infinite sensazioni di benessere, di amore e di rispetto per la vita.
Nei miei numerosi viaggi, soprattutto all’estero, ho constatato l’importanza di essere persona in mezzo ad altre persone, non più solo un disabile in mezzo alle persone ma una persona vera e propria in carne e ossa in continuo confronto con me stesso e con gli altri.
Grazie a questo confronto ho potuto assaporare le meraviglie della vita, come quando mi sono trovato di fronte a Parigi, dopo un lungo viaggio su una vecchia Renault 4 con il mio amico Andrea di Modena. Ricordo un episodio molto buffo e divertente: durante il viaggio, mentre stavamo risalendo una strada ripida verso la Francia, ha incominciato a uscire fumo dal motore della macchina. Io e Andrea ci siamo detti: “Vuoi vedere che ci tocca andare a Parigi a piedi?” Per fortuna mancava solo l’acqua nel motore e, una volta messa l’acqua,  abbiamo potuto continuare il nostro avventuroso viaggio verso Parigi.

Parigi, città di straordinaria bellezza e di intenso profumo settecentesco, con i suoi palazzi maestosi ma allo stesso tempo dal clima quasi familiare. Una caratteristica preziosa, secondo me, di Parigi  è di essere città multirazziale e multiculturale, dove possono coesistere diverse identità religiose, sociali e culturali e dove ogni cultura ha una propria dignità, e nessuna cerca di opprimere il pensiero degli altri. Ti accorgi che quello che conta veramente è solo l’identità di ogni singola persona. Sono rimasto entusiasta nel visitare  i suoi stupendi monumenti come la Tour Eiffel, che ho scalato fino all’ultimo gradino raggiungendo la cima, vedendo tutta Parigi ai miei piedi, anzi, alle mie ruote, sentendomi libero; il Museo del Louvre, scendendo sotto alla piramide di vetro e visitando la storia dell’umanità attraverso i suoi preziosi tesori e le stupende opere d’arte. Gli occhi faticavano a trovare spazio sul viso per aprirsi di fronte alla meraviglia delle meraviglie. Con la nostra Renault 4 siamo passati sotto l’Arco di Trionfo; siamo andati a visitare il Globo, il Museo della Scienza e della Tecnica vicino a Parigi. All’uscita dal Globo è successo un evento molto importante: io e Andrea abbiamo incominciato a dialogare nel giardino del Museo; è stato un dialogo profondo come veri amici, mi sentivo veramente partecipe della vita in quel momento, perché ho potuto esprimere, attraverso l’ausilio dell’alfabetiere trasparente (l’Etran), le mie opinioni, le mie sensazioni e il mio stupore di fronte alla  vita che mi stava mostrando tutte le vie d’uscita dalla mia condizione fisica. L’atmosfera di quel dialogo mi ha dato l’impressione di essere considerato, da parte di Andrea, una persona vera e propria, capace di ascoltarlo, di capire le sue problematiche e di sapermi confrontare con lui. Questo ha fatto crescere la mia autostima, facendomi gioire e divertire ancora di più i  restanti giorni di permanenza a Parigi.

Ricordo le incantevoli serate parigine, odoranti di intensi profumi di una tarda primavera, passate a passeggiare lungo la Senna, ammirando lo spettacolo di fusione di luci del tramonto con quelle della città; l’emozione era tanta che mi veniva il nodo in gola di fronte a tanta bellezza della natura e dell’ingegno dell’uomo. Avevo la sensazione che il mio corpo fosse diventato talmente leggero, come una piuma, da permettermi di volare nei cieli della libertà.
Questa sensazione di libertà era resa più palpabile dalla gentilezza dei francesi, a partire dall’albergatore, che ha predisposto una camera a piano terra munita di un bagno abbastanza spazioso; l’unico inconveniente dell’albergo era che per far colazione si doveva scendere una rampa di scale non attrezzata; dovevano portarmi con le braccia l’albergatore, il mio amico e alcune  cameriere, ma senza farmi sentire a disagio. Non mi sono sentito a disagio neanche durante il nostro itinerario tra vari ristoranti francesi per degustare le loro specialità; non mi sentivo addosso gli occhi giudicanti della gente e dei ristoratori, ma venivo considerato come una qualsiasi persona; l’unico disagio che ho provato in questi ristoranti è stata la sensazione di avere ancora la pancia vuota anche dopo essermi abbuffato delle loro specialità, per il semplice fatto che mancava la benedetta pastasciutta italiana. Nei miei viaggi successivi ho constatato, purtroppo, che questa carenza esiste anche nel resto d’Europa.

Ho potuto constatare la gentilezza dei francesi anche durante il viaggio di ritorno da Parigi, quando ci siamo fermati a Lione per dormire. Durante la cena in un piccolo e grazioso ristorante, una cameriera si è accorta della mia difficoltà a masticare la carne e si è offerta di tritarla; è ritornata dalla cucina con la carne tutta tritata, forse anche troppo, ma il suo gesto ha significato molto per me, mi sentivo considerato, rispettato e amato in quel momento.
Purtroppo, quando siamo usciti dal traforo del Monte Bianco, ci siamo accorti di essere in Italia e che il nostro avventuroso viaggio a Parigi stava giungendo al termine. Il mio cuore era colmo di gioia e di  tristezza: di gioia perché avevo vissuto un’esperienza indimenticabile, piena di pathos, di indescrivibili sensazioni interiori e di forte partecipazione alla vita tanto da farmi provare un senso di libertà che andava al di là delle mie gravi condizioni fisiche; mi frullavano tante idee e tanti progetti per il futuro, insomma mi sentivo veramente vivo. Allo stesso tempo provai molta tristezza perché quel meraviglioso viaggio era giunto alla fine e io dovevo ritornare alla mia solita routine quotidiana, cosa che mi metteva un po’ di  amaro in bocca.
Nei giorni successivi al ritorno dal viaggio a Parigi, la mia condizione quotidiana di disabile mi andava stretta, mi sentivo a disagio dentro alle quattro mura di casa e sognavo di viaggiare per assaporare ancora la sublime dolcezza della libertà.

Questo sogno di libertà si è avverato negli anni successivi all’esperienza di Parigi. Infatti, sempre con il mio amico Andrea, sono volato ad Amsterdam più volte dagli aeroporti di Linate (Milano) e di Bologna, dopo una faticosissima ricerca di un parcheggio per disabili. Chissà perché, negli aeroporti italiani, la segnaletica  per i parcheggi disabili è sempre ben nascosta, forse per scoraggiare i disabili a volare?

Un’altra situazione imbarazzante negli aeroporti italiani si verifica quando, ai check in, mi chiedevano di firmare una dichiarazione di non responsabilità e certe volte mi chiedevano  anche di allegare un certificato medico come fossi  un malato e non una persona che vuole solo viaggiare per godersi la vita.

Nonostante questi intoppi negli aeroporti italiani, mi sono ritrovato ad Amsterdam a vivere nuove esperienze che si sarebbero rivelate importanti per la conoscenza di me stesso, ma soprattutto ho scoperto di saper fare delle cose che non mi sarei mai immaginato  di poter fare.
Il clima di assoluta libertà di Amsterdam è stato complice del mio primo bacio sulla bocca di una donna. Una sorpresa straordinamente rivelatrice, non mi aveva mai baciato una donna, ma soprattutto non sapevo se ero capace di farlo, e invece sì, ero stato capace di baciare una donna e questo sconvolse il mio più intimo animo di persona al di là delle mie condizioni fisiche di disabile. La vita avrebbe potuto mettermi infiniti ostacoli di fronte, ma li avrei superati tutti  con un solo battito di ciglia, realizzando il sogno di libertà. È stata una sensazione bellissima quella vissuta sotto il cielo di Amsterdam, sembrava che Van Gogh l’avesse dipinto per me.

I vissuti di queste mie esperienze di viaggi mi hanno insegnato a costruire la mia libertà anche dentro casa, stimolando la grande voglia di autonomia. Infatti, ora so fare delle cose che prima non sapevo fare, come, ad esempio, amare, stare da solo e sapere svolgere tutti quei  piccoli compiti quotidiani che mi fanno sentire vivo anche in condizioni fisiche di estrema gravità. Io, oggi che non viaggio più frequentemente, amo la mia casa e amo stare con i miei familiari perché sto riuscendo a esercitare la mia libertà nelle decisioni essenziali per la mia vita presente e, spero, anche futura.
Attraverso il viaggio ho imparato a conoscere me stesso e cercare di superare i limiti della mia condizioni fisica. Ho trovato, sì, numerosi ostacoli durante i miei viaggi ma li ho tutti superati grazie alla mia volontà, grazie alla voglia di mettere in gioco tutto me stesso e scoprire inimmaginabili capacità di adattamento alle diverse realtà, costruendo la mia libertà attraverso la partecipazione attiva alla vita. Viaggiare ha rappresentato un’iniziazione di questa mia partecipazione attiva, un punto di rottura nella vita di disabile, con tutti i suoi stereopi, per approdare a una vita in cui ero e sono protagonista in tutti i sensi, sia in positivo che in negativo; mai mangiata la “pappa” già pronta, ho tentato di preparamela sempre da solo: è più gustosa!

 

Relazione presentata al Convegno “Dire, fare, viaggiare, quando il turismo… incontra l’handicap”,
2 aprile 2004, Adria (Rovigo) 

Né un eroe, né un vinto

Soggiorno elioterapico, Colonia marina SS. Apostoli Pietro e Paolo, Patronato di…”.
La targa faceva bella mostra di sé su una delle colonne del cancello esterno, una spiaggia qualsiasi della riviera romagnola, giugno (bassa stagione, ovviamente) dei primi anni ’60.
Circolavano le 600D e le 600 multiple, e gli altoparlanti in spiaggia diffondevano Maria Elena dei Marcellos Ferial.
Cappellini da marinaio blu, canottiere bianche, braccia magre, occhiate strabiche, ragazzi, uomini e donne per lo più con gravi disabilità motorie allineati nel cortile tra il blu e cromature delle carrozzelle.
Nell’aria il classico odore di minestrina in brodo che sarebbe arrivata puntualmente alle 19,30.
Passando dal bianco e nero al colore svanisce anche l’immagine dalla memoria. Di acqua ne è passata sotto i ponti e se prendiamo le vacanze come metro di paragone si può ben dire che la situazione si è capovolta, da “tanti in pochi posti” (l’Istituto che si trasferiva al mare) a “pochi in tanti posti”. Persone disabili che vanno in ferie da soli, con moglie e figli, con amici, con gruppi di volontariato, in vacanze organizzate dai Comuni e dalle associazioni per piccoli gruppi: dieci a Rimini, otto sulle Dolomiti, tre in Inghilterra…
Il Centro Fandango si è fatto in cinque anni Londra, Praga, Dublino, Lisbona e Copenaghen, all’estero, lontani da mamma e papà, a letto tutte le sere alle tre, anche un paio di sigarette e una birra di troppo. A sedici anni trasgredire è d’obbligo, dipende se oltre che disabile ti riconoscono anche come adolescente e te lo lasciano fare/vivere/essere.
Cambiano le vacanze sull’asse tanti/pochi, ma cambia anche il senso della vacanza che diventa come per tutti svago, divertimento, cambio di ritmi e si svincola da ogni orpello terapeutico o paraeducativo e soprattutto viene pensata e vissuta nei luoghi di tutti.
Tra luci e ombre
Tralasciamo un attimo la riflessione sulle vacanze, che ci ha permesso di introdurre il tema di questo articolo, e occupiamoci della riflessione che sta alle spalle delle vacanze, del tempo libero, dei viaggi, della vita sociale: la quotidianità.
È importante questo termine, per certi versi paradossalmente rivoluzionario se associato alla dimensione dell’handicap che spesso siamo culturalmente abituati invece a collocare o a veder collocata più nell’alveo della tragicità o della eccezionalità (il disabile come vinto o come eroe), quindi in categorie che in parte faticano a far rima con quotidianità.
Che si ragioni attorno a questo termine, come la birra di troppo a Copenaghen, è un altro segno di tempi che aprono spazi di “normalità” alle persone disabili. E non è un caso che normalità invece che in corsivo lo abbia scritto tra virgolette, appeso tra virgolette, segno che la strutturale ambiguità della dimensione della disabilità, ogni volta che si fa un passo in avanti, apre comunque nuove riflessioni, nuovi interrogativi; una “normalità” non come approdo, ma come per tutti itinerario che non finisce mai.
Disabilità e quotidianità non solo come evoluzione culturale dovuta al trentennale percorso di integrazione tra handicap e società, ma anche come prodotto dell’affacciarsi alla ribalta e nel mercato sociale da una quindicina di anni a questa parte di una nuova figura, il cosiddetto “disabile adulto” che ha terminato il suo ciclo vitale nel mondo dei servizi (la diagnosi, la riabilitazione, l’inserimento a scuola, l’eventuale percorso nella formazione professionale), che perde le tutele dell’essere bambino e le speranze di guarigione e si affaccia all’età adulta.
Una età adulta contrassegnata dalla drastica riduzione della offerta in termini di servizi socio-assistenziali, da una elaborazione culturale avvenuta in larga misura non più nella rete dei servizi pubblici (enti locali, scuola, aziende sanitarie), ma nel mondo associativo, da una famiglia che, paradossalmente, vive insieme una dimensione di nascita e morte al tempo stesso. Una nuova nascita perché, persi la terapista e l’insegnante di appoggio, è di nuovo la famiglia a farsi carico delle esigenze quotidiane di cura e assistenza tipiche dell’età infantile.
Morte perché l’adolescenza dei figli fa percepire ai genitori lo scorrere del tempo, il passare delle generazioni e quindi pone prepotentemente quello che comunemente viene definito il tema del “dopo di noi”. Ovvero cosa sarà di nostro figlio dopo che noi non ci saremo più?
Ricerca di autonomia
All’interno del tema “disabile adulto” e alla costruzione quindi di una dimensione di quotidianità, è necessario poi ricordare che le realtà della disabilità fisica e di quella intellettiva pongono ovviamente prospettive e interrogativi diversi tra loro, là dove la costruzione e la ricerca di quotidianità va di pari passo con la costruzione e ricerca di autonomia, non solo fisica, ma anche relazionale, emotiva, economica. E anche all’interno della disabilità fisica ovviamente alcune tipologie di deficit ad andamento evolutivo e a esito spesso infausto in età giovanile costringono a interrogarsi prepotentemente nel momento in cui si pensa a un progetto di vita, e ancora si può accennare alle disabilità acquisite in età giovanile o adulta come, ad esempio, le lesioni midollari da trauma stradale.
Un ultimo sintetico, e quindi inevitabilmente demagogico, accenno infine alle due grandi porte verso l’età adulta che sono la sessualità e il lavoro con i relativi percorsi che le sostengono. Molta è ancora la strada che in termini culturali deve essere fatta su questi terreni correlati alla disabilità; la cultura delle veline da una parte e i recenti propositi governativi di voler confinare il lavoro delle persone disabili soltanto nelle cooperative sociali dall’altra, ci fanno capire quanto le maniche le si debba tenere sempre rimboccate.
Se trent’anni di integrazione in Italia ci restituiscono anche le difficoltà e le contraddizioni appena citate è anche vero che ci restituiscono un’enorme evoluzione culturale e l’apertura di spazi e opportunità insperati una volta.
Il percorso da handicappato/malato/infermo/paziente/utente a persona disabile/cittadino è ampiamente in corso e non è un caso che i termini che il vocabolario dell’handicap ci restituisce in questi anni parlino di autonomia, vita indipendente, ausili e tecnologie, turismo, sport… e facciano evolvere, pur con alcuni aspetti di ambiguità, anche la stessa terminologia che non ci racconta solo di handicappati o disabili, ma anche di diversamente abili.
Non solo i velocisti
L’handicap come battaglia, come sfida ai limiti imposti da una natura matrigna, come attenzione ai disabili che sanno “scattare”. Il rischio è che, come nel ciclismo, il gruppo si sgrani e che le telecamere della politica e dell’informazione inquadrino solo i velocisti in testa, mentre il gruppo si allunga e rallenta sempre più.
Fondamentale quindi costruire una cultura delle diverse abilità che non finisca per negare il limite e il dolore che lo accompagna, e che privilegi le diverse abilità per una silenziosa quotidianità fatta di banalità ed eccezionalità al tempo stesso.
Non si può poi dimenticare che esistono tante persone con gravi e gravissime disabilità per le quali forse non è possibile individuare “diverse abilità” (… e forse non ha nemmeno senso cercarle) e che comunque hanno diritto di essere incluse come bisognose di cure e attenzioni all’interno di una quotidianità che sia il più possibile vissuta insieme agli altri. Questo non solo per il benessere delle persone a cui stiamo accennando, ma anche come antidoto a una quotidiana normalità in cui sempre più spesso si cerca illusoriamente di cancellare il dolore, la morte, tutto ciò che non è guaribile o vincente.
Tornando all’esempio della gara ciclistica sarebbe bello che le telecamere finissero per aspettare invano e si scoprisse che tutto il gruppo ha cambiato strada per passare il traguardo da un’altra parte, classificandosi tutti, primi e ultimi, come ci dicono i telecronisti, con lo stesso tempo.
Nuove soluzioni
Abbiamo già introdotto prima il tema del lavoro e di una sfera affettiva e sessuale autonoma; il tempo libero è quindi una ennesima categoria che si tinge di paradossale per tanta parte del mondo dell’handicap che parrebbe, al tempo stesso, avere sempre e mai tempo libero. Eppure, nonostante i (… anzi, meglio, grazie ai) paradossi e pur in una cultura delle persone disabili adulte in cui è necessario per larghi tratti navigare a vista, la riflessione su questi temi ci permette di cogliere nuovi aspetti delle realtà di vita delle persone disabili e delle loro famiglie.
Proviamo a enuclearne alcuni. Una prima riflessione salda il tema del tempo libero a quello delle adolescenze delle persone disabili. Un’età segnata dall’inizio di percorsi di separazione, fisica ed emotiva, dalla famiglia di origine e dalla coppia genitoriale e che invece per le persone disabili assume un segno spesso diametralmente opposto. Ne abbiamo già accennato e non ci ripetiamo.
Gli adulti devono essere estremamente attenti e capaci affinché i ragazzi e le ragazze disabili non si ritrovino, generalmente con la fine della scuola, in situazioni di isolamento e di traumatica separazione dal gruppo dei pari. Non possiamo né dobbiamo chiedere questa attenzione e capacità a ragazzini di 14 o 15 anni che vanno per la loro strada “dimenticandosi” del compagno di classe disabile. Peggio ancora sarebbe vincolare la vita di fratelli o parenti a un destino di accudimento.
Il tempo libero quindi come luogo privilegiato per ridefinire legami di amicizia e complicità; in questo le purtroppo poche “agenzie educative” tipiche dell’età (gruppi di volontariato territoriali, gruppi scout, progetti di tempo libero delle associazioni, gruppi parrocchiali) svolgono un ruolo insostituibile operando una mediazione tra le esigenze di chi ha e di chi non ha un deficit, non negando le legittime esigenze di separazione e favorendo le occasioni di incontro e di sviluppo di solidarietà.
Una seconda riflessione non può che sottolineare la positività delle tante iniziative per rendere il turismo e la vacanza accessibile anche alle famiglie con persone disabili. Un contesto, quello della vacanza, in cui sempre più la famiglia può optare tra varie soluzioni e affrontarle senza la mediazione dei servizi e delle associazioni, ma da sola, sperimentando una capacità autonoma di affrontare le eventuali situazioni di difficoltà in un contesto facilitante come quello estivo. Una spinta quindi a cercare soluzioni divertenti e appaganti per tutti, a progettare soprattutto, e non limitarsi a prospettive a corto raggio relative “al solito posto, che ci conoscono e non ci sono barriere”.
Ricordo personalmente di una famiglia che ringraziava per la guida turistica relativa ai sentieri accessibili nella zona di Cortina d’Ampezzo prodotta dal CDH di Bologna nel 1997 (Viviana Bussadori, Dolomiti per tutti, a cura di CDH Bologna e Coloplast, 1997; la guida segnala diversi itinerari accessibili anche in carrozzella) e che ci raccontava come per loro la montagna avesse sempre fatto rima con difficoltà, inaccessibilità e che quindi, automaticamente, avessero sempre escluso le montagne dalle loro mete di vacanza.
Una terza considerazione sottolinea il rapporto tra quotidianità e ausili, ovvero tutti quegli accorgimenti che possono facilitare la vita di tutti i giorni e rendere più indipendente la persona disabile nella cura di sé, nelle attività domestiche e di comunicazione. Dalla legge quadro sull’handicap n. 104 del 1992 molti passi si sono fatti su questo terreno, per favorire le persone disabili all’interno dei loro contesti quotidiani di vita.
Molte leggi regionali prevedono finanziamenti (www.handylex.org) per l’acquisto di tecnologie per il controllo ambientale o per la modifica di mobili o altro all’interno della casa, anche se esiste ancora una scarsa informazione di cosa offra il mercato e quindi l’utenza che accede a queste facilitazioni è ancora limitata.
Un’ultima annotazione infine a un altro evento correlato al tema della quotidianità. È di questi giorni l’iniziativa della Federazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish) di promuovere l’“adozione” di alcune famiglie con un congiunto disabile da parte del presidente della Regione Emilia Romagna e dell’assessore alle politiche sociali. Un’adozione per condividere nel corso dell’anno alcuni momenti di quotidianità e di vita familiare, per “non perdersi di vista”, soprattutto tra persone, e avere un’angolatura diversa da cui guardare l’handicap, i suoi attori e le relazioni che in questo mondo si strutturano.
Si tratta di un altro piccolo segnale, sempre navigando rigorosamente a vista come i tempi ci consentono, per quella quotidianità anonima ed eccezionale al tempo stesso che possiamo ricercare sfuggendo alle sirene dell’eroe o del vinto.

Glossario

Accessibilità
Rappresenta l’insieme delle caratteristiche spaziali, distributive e organizzativo-gestionali dell’ambiente costruito che siano in grado di favorire la fruizione agevole, in condizioni di sicurezza e autonomia, dei luoghi e delle attrezzature della città, anche dalle persone con ridotte o impedite capacità motorie.

Barriera architettonica
Si intende per barriera architettonica:
ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque e in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea;
gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature, componenti, mezzi;
la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l’orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, gli ipovedenti e i non udenti.

Mobilità
Rappresenta la possibilità dei diversi soggetti di spostarsi grazie all’azione coordinata degli organi attivi del corrispondente apparato (camminare), oppure utilizzando mezzi di trasporto (veicolo). La mobilità veicolare, infatti, riguarda il movimento di autoveicoli senza fermate di linea, in genere autoveicoli privati (autobus, filobus, tram urbani ed extraurbani), di autoveicoli collettivi con fermate di linea e la sosta di autoveicoli, in genere relativa alle autovetture private.

Sistema di trasporto
È costituito dall’insieme di mezzi, attrezzature, accorgimenti individuali, provvedimenti organizzativi ed espedienti gestionali che consentono alle persone il collegamento in modo accessibile (senza fonti di pericolo, di affaticamento o disagio e senza barriere architettoniche) tra una serie di segmenti di un determinato percorso, per il raggiungimento di specifiche finalità conseguenti a scelte individuali.

 

 

Glossario elaborato sui contributi apparsi sulla rivista “Paesaggio Urbano” dal gen./feb. 92 al mag/giu 02 e pubblicato sul materiale prodotto in occasione della Settimana Europea della Mobilità nel Forum: “La mobilità delle persone disabili. L’integrazione dei servizi può migliorare la fruibilità della città per le persone disabili?”, 16 settembre 2003.
Comune di Ferrara, Provincia di Ferrara, Agenda 21 Locale, Facoltà di Ingegneria – Università degli Studi di Ferrara.

Siti Web

L’importanza di essere informati e… aggiornati

www.superabile.it 
Il portale INAIL con sezioni dedicate al turismo per tutti

www.disabili.com
Portale con una sezione specifica sul viaggio e le vacanze

www.mobilita.com
Sito della rivista Mobilità

www.coinsociale.it/turismo
servizi per la mobilità delle persone disabili nel settore del turismo

www.milanopertutti.it
Turismo e tempo libero a Milano

www.romapertutti.it
Turismo e tempo libero a Roma

www.italiapertutti.it
Banca dati di strutture ricettive accessibili in Italia

www.touringclub.it/guide/scheda.asp?ID=713
Scheda della Guida “Turismo senza barriere” – Touring Club Italiano

http://cislcomo.ust.it/servizi/sportello%20H/doc/sportellovacanze.htm
Sportello vacanze disabili di Como

www.enjoy.it/aiaspiacenza/servizi.htm#sportellovacanze
Sportello vacanze disabili AIAS Piacenza

www.liberatutti.it
Web agency che realizza servizi per il terzo settore, ha una sezione sul turismo per tutti

www.disanet.org
Cooperativa sociale di Napoli

www.manoamano.it
Associazione pugliesedi genitori e familiari di persone disabili

www.percorsoverde.it
Fondazione del Movimento Apostolico Ciechi (Campania, Basilicata, Calabria)

www.agedi.it
Associazione Genitori di Bambini e Adulti disabili (Calabria)

www.grillohdelbelice.it
Sportello H (Sicilia)

www.futurosemplice.org 
Associazione, Sportello Informativo (Sicilia)
www.cooss.marche.it/turismosociale
Turismo sociale (Marche)

www.bus.it/disabili.htm
L’elenco nazionale delle aziende di noleggio specializzate nel trasporto disabili

www.nolimit.it
Portale con forum, un canale di rassegna stampa sul turismo accessibile e la sezione CercAbile

www.agriturismo.com/holidays_handicap.htm
Una sezione dedicata con motore di ricerca (regione – località) sugli agriturismi accessibili in Italia

www.sardiniapoint.it/77.html
Sezione dedicata all’accessibilità in Sardegna

www.aiascetraro.it/sportelloih/
Informa Handicap (Calabria)

www.handybo.it/Informahandicap/servizi_informahandicap.htm 
Elenco dei Servizi informahandicap dei Comuni italiani
Informazioni sulla accessibilità delle rispettive città

www.trenitalia.com/disabili/hodi.html 
Elenco e informazioni per il servizio viaggiatori disabili

www.superabile.it/Superabile/TempoLibero/Infopoint/Guide
Elenco di guide turistiche accessibili

www.disabili.com/content.asp?Subc=5205&L=1&idMen=289
Sezione dedicata alle agenzie di viaggio specializzate

http://cataloghi.ventaglio.com
Viaggi del ventaglio (catalogo dei villaggi turistici Ventaclub accessibili)

www.esrin.esa.it:8080/handy/om/distr/holidays/it_home.html
Numerose informazioni sul tema turismo nel sito della associazione Orsa Minore

www.accaparlante.it/cdh-bo/documentazione/pubblicazioni/guide/index.htm 
Guide Turismo per tutti (CDH Bologna)

www.getur.com
Cooperativa di Udine

www.laboratoriosipuo.net
Sito della associazione SiPuò, formata da professionisti impegnati nel tema del turismo accessibile

www.larosablu.com
Associazione di Padova, proposte per tempo libero e vacanze accessibili

www.romaccessibile.it
Portale informativo sul territorio del Comune di Roma.

www.comune.torino.it/itidisab
Itinerari accessibili Piemonte

www.hotel.bz.it
Alto Adige per tutti

www.comune.firenze.it/servizi_pubblici/turismo/visite/disabili.htm
Itinerari turistici accessibili Toscana

www.plainair.it
Per un camper accessibile
informazioni  Edizioni Plein Air, Michela Bagatella, tel. 06/663.26.28,
e-mail: m.bagatella@pleinair.it

www.parks.it
Schede sulla fruibilità dei Parchi nazionali

Corsi di vela per persone disabili

www.maldimare.org
www.nonsolovela.ge.it
www.navedicarta.it
www.homerus.it
www.velainsieme.it
www.coopatlante.com
www.mareaperto.org

Turismo all’Estero

www.egyptforall.com/
Proposte di viaggi accessibili – Egitto

www.accessibleurope.com
Proposte di viaggi, turismo accessibile

www.ftia.ch
Canton Ticino

www.ohnehandicap.tirol.at
Tirolo

www.turismforalla.se
Svezia

www.you-too.org
Accessibilità, turismo

L’Europa per le donne disabili

Il 1° maggio di quest’anno sono entrati a far parte dell’Unione Europea dieci nuovi Paesi, ovvero Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia, Repubblica Ceca, Cipro, Ungheria, Malta, Slovacchia e Slovenia. Il trattato di Maastricht, che risale al 1992, è il capostipite della nascita dell’Unione Europea, almeno dal punto di vista dell’integrazione politica ed economica tra gli Stati membri, tra cui c’è anche l’Italia come ben sappiamo.
Nell’Unione Europea, secondo gli ultimi dati a disposizione, vivono 42 milioni di persone in situazione di deficit; sicuramente questo dato è aumentato, considerata l’entrata dei nuovi Paesi. Di questi 42 milioni, il 51% sono donne: questo dato è influenzato da diversi fattori, primo fra tutti la maggior longevità della popolazione femminile rispetto a quella maschile. Non è possibile però delineare un quadro generale della situazione di queste donne, in quanto essa varia molto a seconda degli Stati presi in considerazione: sommariamente è possibile affermare che coloro che abitano nei Paesi del Nord Europa vivono in condizioni migliori rispetto a coloro che vivono nei Paesi del Sud, così come  coloro che vivono negli Stati occidentali vivono meglio rispetto a coloro che vivono in quelli orientali. Infatti ancora oggi, a molte donne colpite da disabilità non vengono riconosciuti molti diritti primari, quali il diritto ad avere una famiglia propria (si pensi che alcuni Stati europei vietano alle donne disabili di avere figli e, se ciò dovesse accadere, glieli tolgono!), il diritto al lavoro, ecc. Proprio a causa di queste gravi mancanze, molte donne vengono abbandonate a se stesse e molte preferiscono la morte alla vita: infatti sono molti i casi riscontrati di eutanasia involontaria!
Ma cosa fa l’Europa per le persone disabili e, in particolare, per le donne con deficit?
Nel 1996/97 è sorto il “Forum europeo sulla disabilità” (EDF): esso è composto da organizzazioni che si occupano quotidianamente di disabilità e ha lo scopo di creare un organo consultivo e rappresentativo affinché anche presso l’Unione Europea venga considerata la situazione delle persone con deficit. Il Forum si propone come priorità quella di promuovere i diritti umani delle persone con disabilità; i suoi attuali obiettivi sono: la non discriminazione, l’integrazione della dichiarazione sul mercato unico, una chiara base giuridica per un programma d’azione sulla disabilità. Tali principi sono alla base del Trattato di Amsterdam: con questo la Comunità si impegna nel perseguire la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane, la lotta contro l’emarginazione. Esso inoltre stabilisce che la Commissione Europea, prima di proporre una qualsiasi legislazione riguardante le persone con deficit, è tenuta a consultare le organizzazioni aderenti al suddetto Forum. 
All’interno del “Forum europeo sulla disabilità” è sorto il “Gruppo di lavoro sulle donne e la disabilità”, sostenuto sin da subito dalla Commissione europea nell’ambito del programma Helios II. Gli antecedenti alla nascita di questo Gruppo sono il “Seminario d’esperti delle Nazioni Unite sulle donne disabili”, tenutosi a Vienna nel 1990, e le “Norme standard delle Nazioni Unite sulle pari opportunità per le persone con disabilità”.  Questi due spunti rappresentano la base della  principale opera di questo gruppo, ovvero il “Manifesto delle donne disabili in Europa”, presentato a Bruxelles il 22 febbraio 1997. Come sostiene Lydia Zijdel, Presidente del Gruppo, “questo manifesto è una raccolta  di tutte le raccomandazioni per migliorare la vita di donne e ragazze con disabilità dell’Unione Europea. Lo scopo del Manifesto è quello di informare e far prendere coscienza le donne e le ragazze con problemi di disabilità circa la loro posizione, i loro diritti e le loro responsabilità. Ma è anche quello di informare e sensibilizzare la Commissione europea, il parlamento europeo, i singoli Stati membri e anche i movimenti europei sulla disabilità e i movimenti delle donne circa l’assenza di sensibilità riguardo le donne e ragazze disabili ma anche verso gli uomini e ragazzi”. Attraverso il Manifesto anche le donne con deficit hanno ottenuto il loro riconoscimento, oltre al potere decisionale; per la prima volta sono stati esaminati i bisogni e le situazioni specifiche, prendendo in considerazione anche le diverse culture, razze, religioni, preferenze sessuali, età e tipo di disabilità. Ovviamente i suoi principi base sono la non discriminazione, il rispetto dei diritti umani e delle pari opportunità.
Esaminiamo ora la struttura di tale Manifesto: innanzitutto, all’interno dell’introduzione, viene data la definizione di “donna disabile”: “Le ragazze e le donne con disabilità comprendono le donne con tutti i tipi di disabilità , donne con menomazioni fisiche, uditive, della vista o di altro tipo, comprese quelle affette da malattie mentali o con problemi di salute mentale, deficit intellettivi e malattie croniche come il diabete, le cardiopatie, malattie renali, epilessia, Hiv/AIDS, malattie che, prevalentemente, riguardano le donne come il tumore al seno, l’artrite, il lupus, la fibromialgia e l’osteoporosi”. Il Manifesto si propone altresì di attuare delle azioni di solidarietà o sostegno sia a favore delle stesse donne con deficit sia nei riguardi delle loro famiglie: questo non solo in Europa, ma in tutto il mondo.  All’interno del Manifesto viene principalmente utilizzato il termine “genere”, ben distinto dalla definizione di “sesso”: mentre il “sesso” si riferisce al fattore biologico, il “genere” fa riferimento alla costruzione sociale; inoltre viene incoraggiato un “modello sociale” della disabilità in contrapposizione al “modello medico”. In questo documento viene anche ribadito il concetto di “doppia emarginazione” che fa appunto riferimento alla situazione di molte donne disabili: “Le donne disabili possono subire discriminazioni rispetto a donne e uomini non disabili e anche rispetto a uomini disabili. La lotta per le pari opportunità va condotta pertanto, in maniera simultanea, a diversi livelli e in differenti settori”.
Dopodiché il Manifesto presenta le raccomandazioni relative alle diverse aree tematiche nelle quali esso viene diviso. Tali aree sono:
1. Diritti umani, etica
2. Legislazione nazionale ed europea
3. Convenzioni e altri strumenti giuridici internazionali
4. Istruzione
5. Occupazione, formazione professionale
6. Matrimonio, relazioni sociali, maternità, vita familiare
7. Violenza, abusi sessuali e sicurezza
8. Conferimento di potere, sviluppo dell’attitudine al comando, partecipazione al processo decisionale
9. Donne disabili con differente estrazione culturale
10. Sensibilizzazione, mezzi di comunicazione, comunicazione e informazione
11. Vita autonoma, assistenza personale, bisogni tecnici e assistenza, consulenza
12. Previdenza sociale, assistenza sanitaria e medica, riabilitazione
13. Edifici pubblici, alloggio, trasporti, ambiente
14. Cultura, attività ricreative, sport
15. Il punto focale nazionale sulle donne con disabilità
16. Punti focali internazionali
17. Attività regionali e infraregionali, finanziamento dei progetti
18. Informazione statistica, ricerca.
Inoltre, sempre in ambito europeo, è stato emanata la pianificazione europea riguardante le persone disabili. Tale trattato, stipulato a Siracusa il 18 aprile 1999, per quanto concerne la situazione delle donne con deficit stabilisce i seguenti punti programmatici:
1. Supportare la Conferenza europea delle donne programmata per l’autunno del 2000
2. Lavorare sul progetto di vita indipendente in modo tale da assicurare alle donne disabili l’assistenza personale e perseguire così una vita indipendente e autonoma
3. Sviluppare strategie per far aumentare la consapevolezza tra le donne disabili in modo tale da aumentare e rafforzare le reti
4.Sviluppare una campagna informativa ed educativa  sui temi della bioetica, sugli effetti discriminanti causati dalla sterilizzazione e dall’aborto selettivo, ma anche sul diritto alla vita
5. Assicurare il coinvolgimento delle donne disabili in tutti i programmi e progetti europei
6. Fare indagini sulle prospettive future del Gruppo delle Donne Disabili in Europa in modo tale da aumentare la sua importanza e attività
7. Definire modelli di buone prassi per attuare progetti con diverse reti
Nel 2000 le rappresentanti di diciassette Paesi Europei e di uno africano si sono incontrate in Calabria: in tale occasione è stata ribadita la situazione particolarmente svantaggiata delle donne con deficit, spesso colpite da maltrattamenti e azioni violente. Sono state individuate anche le cause di tale situazione particolarmente difficile: prima fra tutte le guerre, seguite dai pregiudizi sociali e dall’esclusione alla quale spesso tali persone vengono condannate.
Un altro momento importante è rappresentato dal “Congresso Internazionale delle Donne Disabili” tenutosi a Valencia (Spagna) dal 27 febbraio al 1 marzo 2003: in questa occasione è stata affrontata la situazione delle donne disabili considerata nei suoi diversi punti di vista: integrazione sociale, maternità, sessualità, famiglia, istruzione, lavoro, sport, salute. Grazie alla presentazione dei diversi progetti nazionali ed europei e alla discussione comune è stato accordato il seguente programma d’azione: l’abbattimento delle barriere conoscitive esistenti nei confronti delle donne disabili, il combattimento delle discriminazioni e la partecipazione attiva delle donne disabili nei diversi ambiti sociali, il raggiungimento dell’autonomia e dell’indipendenza. A conclusione di tale Congresso è stata assegnata fondamentale importanza alle Associazioni, le quali sono quotidianamente e direttamente impegnate sul campo e, grazie a ciò, esse devono creare una rete di esperienze che a sua volta rappresenterà un punto di partecipazione diretta per le donne con deficit.

Appunti sul Rapporto di Amnesty International 2004

Sud, est, ovest e nord: coordinate spaziali, fisse e immobili come trattini su una carta di geografia politica agitano la mente di governi intenti a ridisegnare a ogni latitudine il mondo, a propria immagine e somiglianza. I potenti della Terra preferiscono guardare al mondo tutto attraverso i buchi delle serrature delle loro stanze chiuse e ovattate dei loro palazzi, ma fatalmente il mondo è troppo grande per rientrarci, troppo misterioso e sconosciuto ai vari siliconati ormai sempre più impotenti a governarlo, troppo complesso che preferiscono ridurlo alle macerie della guerra, della fame, della precarietà e della paura, condita delle menzogne a cui loro stessi finiscono per credere, allontanandoli inesorabilmente dai miliardi di persone da cui cercano consenso. Dichiarano l’esistenza dell’Europa senza gli europei, s’inventano il “Grande Medio Oriente” dall’Afghanistan al Maghreb dopo aver massacrato qualche centinaia di migliaia di persone…
Est diventa ovest, che a sua volta è sud nel profondo nord: le coordinate saltano e si confondono continuamente, non si fermeranno. L’atlante politico non spiega più niente, la geografia umana di questo pianeta è in costante cambiamento, milioni di persone in questo momento si muovono, scappano, sperano una vita migliore affrontando viaggi interminabili senza la certezza di arrivare, e se arrivano le cose si complicano.
Le società del mondo si scompongono e ricompongono vorticosamente, riguarda tutti e ciascuno gli abitanti del globo terracqueo, in un incrocio senza pari nella nostra storia, tra minacce drammatiche, e apparentemente prevalenti, e promesse confuse che agitano le menti e i cuori delle autentiche maggioranze, che cercano pace. E siamo solo all’inizio. Sto esagerando? Le cose vanno meglio? Speriamo nella sinistra al governo? Proviamo un momento a guardare il pianeta dal punto di vista dei boatpeople, o chiederlo a qualche “extraterrestre” che si è appena trasferito sotto casa. Mi domando perché ci dicono che l’Occidente è un incubo nei loro Paesi, oppure un’illusione speranzosa subito infranta, dovremo rifletterci. Anche il Rapporto di Amnesty International 2004 drammaticamente ci conferma, attraverso ben settecentoquattro pagine, la tremenda disabilità dei Sud, e al tempo stesso ci mostra i Nord come un grave handicap per la ricerca di una vita migliore, o se preferite, sono pressoché tutti i governi e gli Stati a rappresentare un handicap per la crescita di società sempre più disabili: negazione delle libertà di associazione e espressione, negazione dei diritti di rifugiati e immigrati, torture e violenze varie in particolare verso donne e bambini e dulcis in fundo la pena di morte. Certamente dittature e organizzazioni terroriste sono giustamente additate tra i vari responsabili, ma è interessante il riferimento del Rapporto rispetto agli Stati democratici: “Dopo l’11 settembre del 2001, governi di tutto il mondo hanno portato avanti programmi di dichiarata repressione. […] In nome dell’ “antiterrorismo” sono state perpetrate uccisioni illegali”, e non ci possiamo scordare delle guerre guerreggiate in nome della democrazia, o la vicenda delle torture in Iraq. Ma il quadro si complica in relazione all’Africa Subsahariana, in cui i governi e gruppi armati impiegano “bambini-soldato per le guerre, e come schiavi sessuali”, o ancora “la violenza sulle donne ha continuato a essere accettabile e le donne si sono viste negare frequentemente e apertamente i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali”. Un vero e proprio attacco contro l’umanità. Per non parlare dei disastri prodotti dalle mine antiuomo proprio nei paesi africani, che negli ultimi anni hanno visto incrementare fortemente il loro mercato nonostante le ripetute e illustri denunce, e inevitabilmente le mutilazioni a danno delle popolazioni civili crescono a dismisura. La disabilità nei Sud prende forme indicibili ai nostri occhi, di tutt’altra natura rispetto a quelle che comunemente conosciamo, soprattutto perché è una disabilità indotta, che ha nomi e cognomi di responsabili, di istituzioni e di bande armate. Il Mozambico, che è uno dei paesi più colpiti, nel ’97 ha addirittura firmato accordi per impedire il mercato delle mine antiuomo e programmi di bonifica del territorio… invano! Gli stessi governi occidentali, che risultano principali responsabili nel mercato di queste mine, finanziano le Organizzazioni Non-Governative che sono al lavoro per lenire dolori e deformazioni. Un circolo vizioso che non sembra avere fine, nonostante la buona fede nell’impegno di tantissime persone grazie a cui intere cittadine si sono trasformate in veri e propri centri medici, spesso sgangherati e arrangiati, ma dove la creatività per salvare la vita diventa soprattutto una spinta solidale a cercare che la vita migliori. Un impegno sociale che diventa lotta affermativa della vita. La stessa che spinge i milioni a emigrare, a sottrarsi e reagire alle violenze, non smettendo mai di sorridere mentre si raggiunge le nostre terre. La stessa lotta che è l’emozione che ci ha spinto a urlare pace nelle piazze perché ne sentiamo l’esigenza nella nostra vita tutta. Un’umanità irrequieta, non più normalizzabile in ogni senso, che può riconoscere quanti aspetti ha in comune come una premessa indispensabile per valorizzare la propria diversità. Stavolta, siamo disposti noi, “visi pallidi”, a imparare di più e cambiare in prima persona?

Hans sotto la ruota

Hans seguitò a campare per qualche tempo ancora grazie a quello che aveva studiato in precedenza, come una marmotta con le provviste accumulate per l’inverno. Poi cominciò una vita di stenti, penosa, inframmezzata da brevi slanci privi di energia, la cui inanità appariva derisoria a lui stesso. La smise di faticare senza costrutto, lasciò perdere Omero e il Pentateuco, l’algebra e Senofonte  e assistette impassibile al graduale tramonto del suo prestigio agli occhi dei maestri, da ottimo a soddisfacente, da soddisfacente a mediocre e infine a insufficiente. Quando non aveva il mal di testa che costituiva di nuovo la regola, pensava a Hermann Heilner, si perdeva nei suoi sogni a occhi aperti e seguiva per ora il filo di pensieri appena abbozzati. Ai rimproveri sempre più fitti dei maestri rispondeva con un sorriso umile buono. L’istitutore Wiedrich giovane e cordiale era l’unico che provasse pietà di quel sorriso smarrito, l’unico che trattasse il ragazzo fuorviato con affettuosa comprensione. Gli altri insegnanti erano indignati lo punivano trascurandolo, o tentavano sporadicamente di risvegliare la sua ambizione assopita con lo stimolo dell’ironia.
“Se per caso in  questo momento non avesse voglia di dormire, potrei pregarla di leggere questo brano?”.
Il rettore lasciava trasparire una dignitosa  riprovazione. Vanitoso com’era confidava molto nella   potenza del suo sguardo e andava fuori di sé quando Giebenrath opponeva al suo  cipiglio regale e minaccioso il solito sorriso rassegnato pieno d’umanità, che a poco a poco finì con l’innervosirlo. “Non sorrida così stupidamente. Avrebbe di che piangere piuttosto”.
Maggior effetto ottenne una lettera di suo padre che lo supplicava spaventatissimo, di migliorare. Il rettore aveva scritto a Giebenrath padre, e questo era rimasto inorridito. La lettera che Hans ricevette era un compendio di tutte le esortazioni incoraggianti e di tutti gli appelli morali di cui il brav’uomo era capace, ma lasciava trasparire involontariamente un accoramento piagnucoloso che gli fece male.
Tutte queste guide della gioventù votate al dovere, dal rettore ai professori e agl’istitutori fino a Giebenrath padre, vedevano in Hans un ostacolo ai loro desideri, qualcosa  d’inceppato e di pigro ch’era necessario riportare a forza sulla buona strada. Nessuno, tolto forse quell’istitutore compassionevole, comprendeva che il sorriso smarrito dell’affilato volto giovanile celava la sofferenza di un’anima che stava affogando, e che si  guardava intorno con disperata angoscia.  E nessuno  pensava che la scuola e la barbarica vanagloria di un padre e di alcuni insegnanti  avevano spinto a tal punto la fragile creatura. Perché l’avevano costretto a lavorare quotidianamente fino a tarda sera, proprio negli anni così sensibili e pericolosi dell’adolescenza? Perché l’avevano privato dei suoi consigli, perché  l’avevano allontanato di proposito dai compagni di ginnasio, perché gli avevano proibito lo  svago della pesca, perché gli avevano iniettato il vacuo basso ideale d’una meschina, estenuante ambizione. Perché non gli avevano concesso neppure le  sudate vacanze dopo gli esami?
Ora il puledro affiancato dal gran correre si era accasciato al margine della strada, e non c’era più niente da fare per lui.
Verso l’inizio dell’estate il medico dichiarò di nuovo che si trattava d’una debolezza nervosa provocata soprattutto dallo sviluppo. Hans avrebbe dovuto seguire una buona cura durante le ferie estive, nutrirsi  in abbondanza e trascorrere le giornate nei boschi e sarebbe guarito  in breve tempo. Purtroppo non arrivò fino all’estate. Mancavano tre settimane alle vacanze quando Hans durante una lezione pomeridiana, si attirò una severa reprimenda dal professore. Mentre questi continuava a rimproverarlo, Hans si arrovesciò all’indietro nel banco scosso da un tremito d’angoscia, e scoppio in un pianto convulso che non finiva più e che mandò all’aria la lezione, lo fecero restare mezza giornata a letto.
Alcuni  giorni dopo, l’insegnante di matematica lo chiamò alla lavagna perché disegnasse una figura geometrica e dimostrasse un teorema. Uscì dal banco, ma davanti alla lavagna fu colto da una vertigine armeggiò con il gesso e con la squadra, tracciando linee senza senso li  lasciò cadere entrambi e come si chinò per raccattarli finì a terra in  ginocchio, incapace di rialzarsi.
Il medico era piuttosto irritato col paziente che gli giocava tiri simili. Non si pronunciò chiaramente sui sintomi, ordinò un periodo immediato di riposo e caldeggiò il consulto di uno specialista per le malattie nervose.
“C’è il pericolo che gli venga il ballo di san Vito” sussurrò al rettore, che accennò di sì  con la testa e giudicò opportuno di cambiare l’espressione accigliata e irosa del volto in una paternamente addolorata, che gli riusciva facile e gli si addiceva.
Sia lui sia il medico scrissero ciascuno una lettera al padre di Hans, la infilarono in tasca al ragazzo e lo spedirono a casa. La collera del rettore si era trasformata in una grave preoccupazione… che cos’avrebbero pensato le autorità scolastiche, ancora scombussolate per la faccenda di Heilner di questo nuovo guaio? (tratto dal romanzo Sotto la ruota di Hermann Hesse)

 

Siamo a cavallo tra Ottocento e Novecento, Hans Giebenrath è un giovane di belle speranze che abita nella provincia tedesca. Il padre, l’intera comunità in cui vive lo mandano in un famoso collegio per studiare; è il vanto di un’intera comunità, il suo successo è il successo un po’ di tutti. Ma Hans non è solamente un giovane dotato per gli studi; ospita dentro di sé un dissidio, lo stesso che ritroviamo in tanto protagonisti dei romanzi di Hermann Hesse. Cultura e natura, ragione e passione, rispetto dell’autorità e desiderio di libertà cozzano dentro di lui e lui stesso si scontra con il rigido ambiente del sistema scolastico di quei tempi. Il principio che guidava quel sistema (soprattutto di area protestante) era improntato alla Leistungsethik, all’etica del massimo rendimento; così doveva comportarsi ogni alunno, ogni studente pena la fuoriuscita dal sistema stesso con tutto il carico di sensi di colpa e di delusione che questo comporta. Così capita a Hans, viene schiacciato dalla ruota di questo sistema. Da sotto la ruota ne uscirà una persona nuova, “rotta” nello spirito e che non riuscirà più a integrarsi nella vita paesana. Hans Giebenrath morirà gettandosi (cadendo?) in un fiume.
I sistemi scolastici contemporanei non sono certo improntati alla Leistungethik, né gli insegnanti dei nostri giorni, nella maggior parte dei casi, riescono ad avere in aula quel controllo sulla classe come viene descritto in questo e in tanti romanzi simili. È anzi patrimonio culturale condiviso (anche se da qualcuno mal digerito) che un insegnante deve curare oltre all’aspetto didattico anche quello relazionale, educativo con l’allievo. Capitano ancora però, e i mass media sono sempre molto puntuali nel riportare la notizia, i casi di suicidio da scuola; adolescenti che si gettano da finestre o sotto i treni per paura di una bocciatura o di qualche debito formativo. Basterebbe così poco per evitarli, un cambio di scuola, un supporto psicologico o anche la fine del percorso scolastico e l’ingresso nel mondo del lavoro. Basterebbe far passare l’idea che loro sono ben altro che degli studenti scadenti, che la loro personalità, così “fresca”, così in divenire (e perciò ancora così ricca di possibilità) non si ferma in questo momento di crisi scolastica, ma andrà ben oltre. “Tu non sei solo questo – così si dovrebbe dire a questi ragazzi – altre cose ti aspettano: a un periodo di buio e di depressione ne verranno degli altri, più luminosi”. Ce la sentiamo di dire questo ai nostri allievi, ai nostri figli anche se ci deludono e ci irritano?

Serve una “pubblicità sociale” per parlare di sociale?

Si sente sempre dire che viviamo nell’era dell’informazione, che siamo circondati dall’informazione, che è impossibile sfuggire a essa. Si dovrebbe però aggiungere che la vera “realtà” cui non possiamo sottrarci è la pubblicità. In televisione, alla radio, al cinema, nei cartelloni per le vie delle città, sugli autobus, sui sacchetti per la spesa, in internet, sui giornali… ogni giorno riceviamo, anche non volendo e non cercandoli, tantissimi messaggi pubblicitari. Sull’importanza o la non importanza della pubblicità, sulle sue logiche, sul suo potere, sulla sua realizzazione (ormai è una vera e propria gara allo spot più spettacolare, meglio “girato”, più attraente), massmediologi, sociologi, psicologi e marketing managers dibattono costantemente. Non è mia pretesa inserirmi in questo dibattito, ma due pubblicità recenti hanno attirato la mia attenzione, e vale la pena provare a ricavarne qualche considerazione. Un po’ di mesi fa ricevetti il comunicato stampa che annunciava l’avvio di una nuova Pubblicità Progresso, questa volta sul tema della disabilità, cosa che non succedeva da anni (l’ultima Pubblicità Progresso su questa tematica risaliva al 1993). La nuova campagna di “pubblicità sociale”, intitolata “E allora?”, si presentava innanzitutto con un sito internet dedicato, www.eallora.org. Incuriosita, visitai subito il sito web: visi di persone disabili, con deficit intellettivi, apparivano sorridenti e ironici sullo schermo del pc, e una scritta a lato annunciava: “Io mi chiamo Alfonso… Io mi chiamo Ciccio… Io mi chiamo Stefania… E allora?”. Visi che guardavano e in qualche modo “sfidavano” lo spettatore, come a dire: “E allora? Non siamo forse uguali a te? Ti credi tanto diverso?”. Questa campagna si presentava come la più complessa e articolata di tutta la storia di Pubblicità Progresso, in quanto aveva coinvolto diversi media e diverse persone. Il cantautore bolognese Lucio Dalla aveva composto appositamente per la campagna  – e senza profitto – una canzone dal titolo “Per sempre presente”; con questa canzone era stato realizzato un videoclip in cui si mostrava la vita quotidiana e il lavoro delle persone disabili della cooperativa “Solidarietà”; si diceva che il videoclip sarebbe andato in onda nelle reti televisive e nei canali musicali; si prometteva che la pubblicità sarebbe stata diffusa anche in radio, con affissioni stradali, e soprattutto su internet per coinvolgere i più giovani; gli allievi del corso di narrativa del Centro Lab di Roma erano stati invitati a comporre racconti sul tema della disabilità; tutti i racconti erano stati pubblicati on line sul sito della campagna, e lì si poteva votare il racconto preferito e partecipare all’estrazione di premi… Il videoclip (scaricabile gratuitamente, così come anche il file della canzone) peccava un po’ di retorica, come succede spesso quando si vuole fare comunicazione sul sociale, e anche le frasi con cui veniva spiegata la campagna sul sito erano un po’ bordeline tra la ricerca di vera integrazione e il pietismo (sempre rischioso nelle Pubblicità Progresso): “La campagna di comunicazione sociale ‘E allora?’ nasce per sollecitare le persone a tutto ciò che è diverso, anche in senso apparentemente negativo. Scoprire la sensibilità dei disabili e le loro inaspettate capacità, ci insegna che le differenze ci sono, ma che sono i nostri pregiudizi a farle sembrare insormontabili. Comprendere il miracolo e il mistero della vita anche in chi è disabile o disagiato significa cancellare i pregiudizi e imparare a guardare alle persone con tutto il loro bagaglio di dignità e di legittimo desiderio di felicità. Quando capiremo che siamo tutti diversi, nessuno sarà più diverso”. Inaspettate capacità dei disabili? Miracolo e mistero della vita anche in chi è disabile? Non saranno le frasi migliori, ma tutto sommato questa campagna non era affatto male. In qualche modo mostrava la disabilità, ed è giusto mostrarla, perché è inutile continuare a costruire teorizzazioni  sull’integrazione delle persone con deficit senza mai mostrare concretamente ciò di cui si sta parlando. La disabilità nel mondo esiste, tanto vale guardarla, così forse un giorno ci avremo fatto l’abitudine e sapremo cosa fare per essa e come relazionarci con essa, come con qualsiasi altra realtà “normale”. La domanda ora è: vi siete tutti accorti che mesi fa è partita questa campagna di pubblicità sociale? Alcuni amici mi hanno riferito di averla vista al cinema, e personalmente ho visto un giorno un cartellone per le vie della città. Ma in televisione non mi è mai capitato di vederla, per radio non ne ho mai sentito parlare, e anche nei canali musicali non ho mai intravisto il videoclip di Lucio Dalla. Solo qualche portale internet che si occupa di disabilità ha parlato della campagna, o ha pubblicato il link al sito di “E allora?”. Senza tv, che resta comunque il medium di massa per eccellenza, e senza aver coinvolto davvero tutta la rete di internet, ma solo i siti già dedicati all’argomento disabilità, ci si domanda quante persone siano state davvero raggiunte dal messaggio di Pubblicità Progresso. 
Un messaggio che invece, sicuramente, ha raggiunto quasi la totalità degli italiani, è il nuovo spot di Telecom Italia. Per un minuto si vede un ragazzo che “parla” con il linguaggio dei segni delle persone sordo-mute: un minuto di silenzio per lo spettatore, solo le immagini di questo protagonista. Poi, all’improvviso, una voce fuori campo annuncia che il ragazzo sta parlando al telefono! È la nuova tecnologia di Telecom, il videotelefono. Lo spot, progettato dalla nota agenzia Leo Burnett (quella della pubblicità della Breil, tanto per fare un nome), è semplice, pulito, di grande impatto emotivo, bello insomma. In pochi istanti ti ricorda che non tutti riusciamo a comunicare nello stesso modo, che esistono altre forme di comunicazione, che queste forme possono essere integrate e aiutate dalle nuove tecnologie. Non c’è retorica e non si stimola pietà: si mostra solo uno dei casi in cui il videotelefono può essere molto utile. La disabilità, il deficit vengono inseriti in una pubblicità “normale”, non “dedicata a”. Certo, si può obiettare che i canali con cui Telecom può veicolare le sue pubblicità sono più potenti di quelli di Pubblicità Progresso, o sono più “legittimati” ad andare sempre in onda rispetto a un tipo di pubblicità più di nicchia. Si può anche obiettare che Telecom potrebbe aver “sfruttato” la disabilità per vendere di più. Però questo nuovo spot fa riflettere: serve necessariamente una “pubblicità sociale” per parlare di sociale?