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autore: Autore: Claudio Imprudente

Oltre il buio, verso la luce , Il messaggero di Sant’Antonio, Aprile 2013

Alcune volte è difficile rappresentare un sentimento o un momento importante con un’immagine. Ad esempio, se penso alla bontà mi viene in mente una colomba bianca, se penso all’amore immagino un cuore rosso che palpita, quando penso alla solitudine vedo un anziano, seduto da solo nell’angolo di un bar. Potrei continuare all’infinito. A ogni concetto corrisponde un’immagine. In questo periodo pasquale il pensiero è andato spesso a Gesù, alla sua passione e, di conseguenza, alla sua risurrezione. Da qui ho maturato il mio sguardo. Mi sono accorto che, mentre la crocifissione rappresenta un’immagine nota, ben visibile e consolidata, la risurrezione manca quasi totalmente di iconografia. Provate, per esempio, a chiedere a un bambino di rappresentare il momento della crocifissione. Si susseguiranno le consuete simbologie, la croce e la sofferenza. Ora fate lo stesso con la parola «risurrezione». Vedrete che ognuno spenderà una propria visione, una propria riflessione o una propria idea, il più delle volte personalissima e originale. Nel mio immaginario c’è una pietra che rotola via e lascia passare un raggio di luce, come suggerito dal Vangelo di Giovanni (20,11-18). In fondo, ognuno ha le proprie pietre da smuovere, pietre grandi o piccole, lisce o ruvide, più o meno pesanti. Pietre che impediscono di guardare oltre ai semplici colori del nostro buio, come tra l’altro cantava Roberto Vecchioni.

Pochi giorni fa ho ricevuto la lettera di un amico. Mi segnalava la storia semplice di un uomo che sta riscoprendo la luce, dopo aver visto il buio. Il caotico buio del coma, in cui era precipitato a seguito di un incidente. Vi lascio alcune sue significative parole. «Buona vita, è quella che sto cercando adesso. E in parte ho ritrovato, o meglio, sto riscoprendo. Mi sono fermato in un momento della mia vita nel quale andava tutto bene: una bella famiglia, un buon lavoro, una bella casa, una vita piena. Poi all’improvviso mi ha risvegliato una voce che spiegava quello che era successo. La voce di mia moglie, l’unica che ricordo. Io ero nel buio, non vedevo, non parlavo, non sentivo il mio corpo. Solo nero e non capivo. Dopo qualche tempo il buio è diventato grigio, il grigio si è trasformato in ombre, le ombre sono diventate forme sfocate».
In questo caso la pietra è rotolata via e la luce è rientrata. Ma non serve un coma per parlare di pietre. Ognuno di noi, infatti, ha una pietra da smuovere, a volte un vero e proprio macigno. Ognuno prima o poi deve fare i conti col passato o col presente, che finiscono per condizionarci oppure, nell’ipotesi migliore, per rimetterci in gioco e spronarci a nuova vita. Credo che per tutti sia possibile uscire dalle proprie perdite di coscienza, dai propri sonni, recuperare e abbandonarsi a quei sentimenti originari e primigeni come l’amore e la fiducia.

Basta trovare qualcosa o qualcuno per cui valga la pena farlo.
E voi, che cosa ne pensate? Raccontatemi le vostre pietre e le vostre risurrezioni. Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.

 

Il peso specifico della cultura, Superabile, Marzo 2013

Sono sempre felice quando vengo a sapere che, nonostante le difficoltà economiche attuali, c’è ancora chi si impegna a far cultura. Il 22 marzo, con mio grande piacere, sono stato invitato a Sagliano Micca (Biella) per partecipare con un mio contributo all’inaugurazione di una biblioteca specializzata sulla disabilità e sul terzo settore in generale.

La Biblioteca della Cooperativa Domus Laetitiae è un servizio che si prefigge di contribuire alla promozione della crescita culturale e dello sviluppo sociale sul tema della disabilità e del disagio. Dispone di quasi tremila volumi, che toccano diversi ambiti, dalla cooperazione al counseling, dallo sport alla legislazione e all’integrazione scolastica. Un’iniziativa che mi rende entusiasta perché riconosco l’importanza che possono rivestire la documentazione e l’informazione proveniente da poli culturali di livello, che contribuiscono ad una conoscenza reale dell’educazione alla diversità.

Da più di trent’anni a Bologna (precisamente dal 1981) grazie alla biblioteca del nostro Centro Documentazione Handicap garantiamo un servizio ai cittadini e promuoviamo un’ottica "diversa", una prospettiva nuova. Nel nostro territorio i risultati sono tangibili. Un processo lento ma continuo, che, anche grazie al nostro contributo, vede una conoscenza più approfondita e meno stereotipata del mondo della disabilità.

Sfogliare un libro è come aprire una finestra in una stanza chiusa. Cambia l’aria e, soprattutto, cambia il contesto. Buona lettura a tutti! Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.

 

Heidi e Klara, un mondo di storie, Il messaggero di Sant’Antonio, Marzo 2013

Ve la ricordate la piccola Heidi? Sì, proprio lei, la celebre bambina orfana allevata dal nonno tra le montagne svizzere, protagonista del cartone animato degli anni Settanta che ha tormentato la mia adolescenza insieme con l’omonimo romanzo di Johanna Spyri. Qualche mese fa, mentre mi trovavo a Belluno, circondato dalle Dolomiti, mi è tornata in mente proprio lei. Partecipando infatti a un incontro con gli studenti delle scuole cittadine per parlare di relazione e cultura dell’integrazione, ho pensato che Heidi è esempio lampante in tale ambito. Lo si vede bene nel suo rapporto con Klara, la ragazza in carrozzina con la quale la bambina instaura un rapporto d’amicizia affettuoso, ma fin troppo edulcorato.

La vera novità, però, è che quel giorno tra il pubblico, ad ascoltarmi, c’era anche un’altra Klara, anche se poco mitteleuropea. K. è una undicenne marocchina affetta da tetraparesi spastica. Come me comunica, con convinzione ed energia, attraverso la sua tavoletta di plexiglass.
Il nostro incontro, e successivo dialogo, mi hanno subito messo di fronte a una domanda più estesa e complessa, che oggi chiama l’educazione a un confronto sempre più serrato e frequente: se Klara e Heidi fossero nate in Oriente, in Asia o in Africa, che ne sarebbe stato di loro? Che ruolo giocano azione e relazione in contesti in cui la disabilità è più diffusa che in Occidente e meno tutelata, benché, talvolta, paradossalmente più rispettata? I dati emersi nel 2011 dal primo Rapporto mondiale sulla disabilità, condotto da Oms (Organizzazione mondiale della sanità) e Banca Mondiale, parlano piuttosto chiaro. Il benessere delle persone con disabilità è direttamente proporzionale alla stabilità economica e alle condizioni di vita complessive dei Paesi d’origine. Non è certo una novità, ma fa sempre un certo effetto leggere che «i disabili hanno condizioni di vita pessime – dalla carenza di cibo, alle abitazioni povere fino alla mancanza di accesso all’acqua potabile – rispetto alle persone normodotate».

Si dice che il disagio economico non sia mai la causa primaria, che le ragioni siano quasi sempre da imputare ad altri ordini di fattori: culturali, religiosi e via dicendo. Eppure, dietro, c’è sempre un tutto che si tiene, un meccanismo causa-effetto difficile da arginare: la lotta alla sopravvivenza, la guerra dei poveri. Quando le risorse sono poche, come sempre, si tende al risparmio, a procedere, cioè, con l’eliminazione dello scomodo e del superfluo.

Per l’impiego di forze, personale e strutture che richiede intorno a sé, il disabile, si sa, è già per sua natura scomodo. Inoltre, è pure superfluo perché, almeno in apparenza, non può essere inserito nel ciclo produttivo. È come fare un salto indietro di cinquant’anni e ripartire da zero, ricominciare dai diritti senza dimenticare però che, come diceva il drammaturgo Bertolt Brecht, «prima c’è la pancia, poi la morale». In altre parole, e ideologie poco condivisibili a parte, ciò significa che il rispetto della qualità della vita va di pari passo con la vita stessa.
Capisco che il discorso è molto ampio, difficile da affrontare nel piccolo spazio «diversa-mente». Mi piacerebbe approfondire ancora l’argomento, ci torneremo sopra prossimamente. E voi cosa ne pensate? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.

 

Pronto? C’è un dottore? Superabile, Marzo 2013

Lo scorso 7 marzo nella nostra bella capitale il famoso Ospedale Gemelli ha promosso insieme alla Cooperativa Spes contra Spem, un’iniziativa davvero interessante. Sto parlando della Carta dei Diritti delle Persone con Disabilità in Ospedale, su cui, lo avrete letto e sentito, si è già speso un vivace dibattito. Io purtroppo non ho potuto presenziare all’incontro di lancio ma ho detto la mia in una lettera in risposta a uno degli organizzatori, Nicola Panocchia, che mi aveva gentilmente invitato a partecipare. Ve la ripropongo qui:

"Caro Nicola, ho dedicato del tempo alla lettura della Carta dei Diritti delle Persone con Disabilità in ospedale e mi son trovato d’accordo su diversi punti, in particolare l’Articolo 12, che concerne la presenza accanto alla persona con disabilità di un familiare, il diritto di ricevere un trattamento personalizzato che tenga conto di quelle che sono le abitudini della persona in questione. Altro punto essenziale è la formazione del personale medico, paramedico, infermieristico e quello OSS. L’esperienza infatti mi insegna che molto spesso queste persone "addette ai lavori" non hanno mai "toccato con mano" reali situazioni di handicap.

Per capire meglio di cosa sto parlando vorrei raccontarti brevemente qualcosa circa l’intervento che ho subito nel maggio del 2010. Dopo vari accertamenti la specialista mi fece ricoverare presso una struttura, un fiore all’occhiello della medicina bolognese. Fino a quel momento nessuno dell’equipe medica, di cui ci saremmo avvalsi, aveva avuto il piacere di incontrarmi. Non appena mi videro i dottori optarono per rinviare l’intervento, non essendo preparati a gestire "una simile situazione", che non era la malattia in sé, ma il mio deficit motorio e le sue probabili ripercussioni. Da lì un’interminabile serie di richieste, "nuovi" accertamenti, in cui mi chiedevano una valutazione neurologica (come puoi immaginare negli anni Sessanta non c’è stato nessun neurologo alla mia nascita che abbia detto a mia madre di cosa avrei sofferto, ma è stata lei col tempo a farmi, se così si può dire, una diagnosi, intuendo cioè la mia capacità di intendere e volere). Alla visita ha fatto seguito un elettroencefalogramma. Infine ce n’è stata un ulteriore per verificare la mia capacità respiratoria. Un incontro decisivo, quest’ultimo, (a parte la domanda "Lei fuma?" – cosa che io non potrei mai riuscire a fare) per capire se in caso di intubazione, dopo l’intervento, avrei potuto riprendere a respirare autonomamente o se sarei rimasto come si suole dire "attaccato alla macchina". Indubbiamente questa era per tutti la maggiore preoccupazione. Ho dovuto aspettare tre mesi perché l’ospedale mi richiamasse e potessi procedere all’intervento. Devo dire, tuttavia, che il personale medico e infermieristico e quello OSS, è stato sin dal principio molto attento alle mie esigenze, premuroso tanto nei miei confronti che in quelli della persona che in tutti quei giorni mi è stata accanto.

Non è un dato da trascurare. Avere al mio fianco una persona di cui mi fidavo ha permesso infatti che la comunicazione con i dottori fosse stata sempre alla pari, facilitata dalla presenza di un interlocutore che ben conosceva e poteva spiegare con cognizione di causa le possibili posizioni del mio corpo, dalle visite infermieristiche all’igiene personale. Ma non è finita qui. Prima dell’intervento c’è stata anche la trafila burocratica…La firma del mio procuratore, in cui confermavo la mia volontà di procedere all’intervento, nonché quella della persona che ho citato, testimone dei rischi e delle eventuali complicazioni. Torno a ripetere che si trattava di un intervento di routine per l’ospedale, che normalmente si sarebbe concluso in day hospital. Arrivato il fatidico giorno, ecco poi che insieme a me, in sala operatoria ho trovato ad attendermi circa una ventina di persone tra dottori e tirocinanti…. Anche se all’inizio tutta questa folla mi ha fatto un po’ sorridere devo dire che mi ha anche rassicurato, e mi ha fatto piacere che potesse diventare un momento formativo per i futuri E.R.

Insomma, nonostante tutto una bella sensazione, accresciuta dal fatto di permettere alla persona che mi aveva accompagnato fino a quel momento di essere presente e assistermi durante l’intervento, così che la comunicazione fra me e il personale ospedaliero non fosse mai interrotta, a favore della loro e della mia serenità. Questo è quanto ritenevo utile comunicarti, una testimonianza personale e concreta, che spero ti sia d’aiuto circa il bel lavoro che andrete a fare".

Si parla sempre di barriere architettoniche, io con voi parlo spesso di quelle culturali. Eppure l’esperienza ci insegna che ci sono anche quelle sanitarie. Vi è mai capitato di incontrarle?

Scrivete claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook. (Claudio Imprudente)

 

Stelle in polvere, Superabile, Marzo 2013

"Il fatto è che troppo spesso abbiamo dimenticato che erano solo le sue gambe ad essere fatte di titanio, il suo corpo, il suo cuore, la sua anima, non erano fatti di metallo indistruttibile. Tutti abbiamo sempre dimenticato che lui è un ragazzo normale, e purtroppo anche una vicenda così tragica entra nell’ambito della "normalità". Quanti casi purtroppo simili a questo si sentono ogni giorno… Le persone diversamente abili non sono per forza migliori dei normodotati, ed è giusto così."

Questo è solo uno stralcio di una delle decine di mail che mi sono giunte sul "caso Pistorius". Lettere indignate, di rabbia, di tristezza e di sgomento, persone normodotate e con disabilità che avevano "adottato" un mito, ora ridotto completamente in frantumi. Il caso è indubbiamente terribile, e sinceramente fa male a tutti, al mondo dello sport, al mondo della disabilità e in primis, non dimentichiamolo, a Reeva Steenkamp e ai suoi affetti. Non ci soffermeremo sulla tragedia in sé, anche perché ogni giorno escono nuove notizie, sviluppi veri e falsi. Quello che mi interessa sono le conseguenze culturali di tale gesto.

Un mito, dunque. L’uomo che aveva superato il limite della disabilità, che, pur senza gambe, qualche mese fa aveva sfidato gli uomini più veloci del mondo nella vetrina londinese. Mi domando se non sia proprio qui il fulcro. Non intendo fare un’analisi psicologica, non ne sono capace, mi chiedo solo se, dopo aver sfidato e oltrepassato il confine del riscatto della disabilità, non sia stato in grado di gestire e riconoscere a sé stesso che un limite esiste sempre, per tutti, folgorato da quello che mi sembra un delirio di onnipotenza.

Quanto pesa la responsabilità di essere dei leader? L’onere di essere degli esempi, di essere sempre perfetti, è così duro da gestire?

Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook. (Claudio Imprudente)  

La profezia del Signor G. , Superabile, Febbraio 2013

Purtroppo o per fortuna ci risiamo. Il 24 e 25 febbraio siamo chiamati ad esprimere il nostro parere, a contribuire alla nostra democrazia. Decidere chi ci governerà per i prossimi cinque anni (o forse, come la storia recente ci insegna, per qualcosa di meno…). A regnare sovrano più che il popolo oggi è la confusione, e, com’è tipico del made in Italy, ci ritroveremo la scheda elettorale colma di simboli e nomi. Io non sono qui a dare consigli o indicazioni, anzi, ammetto di essere il primo a trovarmi disorientato.

Così ho iniziato a leggere i programmi elettorali dei vari partiti, mettendo a fuoco il termine "disabilità". Chi ne parla e come ne parla? Quali sono i progetti e i programmi per le persone non autonome o, più in generale, con handicap? Chiaramente mi limiterò a citare le proposte delle coalizioni più moderate, di centro, di destra e di sinistra. A ben vedere, qualcosa in comune tra tutti i programmi c’è: la disabilità è quasi sparita. Tanto da ricordarmi la poesia del Signor G., Cos’è la destra, cos’è la sinistra?

Ma entriamo nel dettaglio: nell’ "Agenda Monti" non si trovano riferimenti specifici sulla disabilità, nel sito del PD troviamo un poco dettagliato richiamo all’uguaglianza e ai diritti degli "ultimi". Il Pdl infine proclama "Sostegni straordinari alle famiglie per l’assistenza ai disabili e agli anziani non autosufficienti", senza chiarire dove trovare i fondi e come impiegarli concretamente.

E’ comprensibile la crisi mondiale, così come la "scomodità" intrinseca alla disabilità ma, francamente, qualche idea più concreta dalle grandi coalizioni che si apprestano a governare il paese, me la sarei aspettata.

Nonostante tutto quella domenica sarò in una cabina elettorale, pronto a far valere, per quanto possibile, il mio diritto di voto che, come si dice spesso anche se pare retorico, è anche un dovere verso la democrazia e la nostra bellissima Costituzione. Sperando che, una volta occupate le poltrone, non ignorino il mondo della disabilità e del welfare in generale.

Mentre cerco la mia tessera elettorale mi faccio aiutare ancora dal Signor G. … votare sì, nonostante tutto. Perché la libertà è partecipazione.

Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook. (Claudio Imprudente)

(18 febbraio 2013)

La carrozzina sulla vetta, Superabile, Febbraio 2013

Mi sono sempre chiesto quanto fosse alto il celebre colle bolognese che ospita il santuario di San Luca, con il suo porticato uno degli storici simboli della città, una salita così ripida tanto da far invidia al passo del Pordoi… A darmi i numeri ci ha pensato Carlo Venturelli, programmatore informatico con tetraparesi spastica, che, non per pellegrinaggio ma per sfida, ha affrontato i tornanti del colle fino a toccarne la cima.
Quest’impresa, insieme alle piccole battaglie e conquiste della sua quotidianità, Carlo ce le racconta in un libro “Uno barra ventiquattro”, un’autobiografia leggera e senza pretese sulla vita di una persona disabile qualsiasi, a partire dalle difficoltà di tutti i giorni fino a riflettere su grandi temi d’attualità come l’eutanasia e il rapporto tra Chiesa, Stato e disabilità. E’ un paradosso ma Carlo ama definirsi “un uomo con i piedi ben piantati per terra” e io, che lo conosco dai tempi delle scuole speciali, posso confermarlo.
Carlo ha sempre rifiutato i sensazionalismi, riconoscendosi piuttosto in conquiste semplici e comuni come il conseguimento della Laurea in Scienze Politiche, il matrimonio e la successiva apertura di un’agenzia pubblicitaria insieme agli amici dell’Università.
“Una barra ventiquattro” è la testimonianza di quest’impegno, una vittoria concreta come i 289 metri raggiunti spingendo su quelle impervie pendenze la sua carrozzina.
Nelle settantadue pagine del suo libro Carlo ci mostra tutta la sua ironia e il suo attivismo da provocatore. Provocatore che sfida il buonismo e i cliché sulla disabilità. Uno stimolo a non arrendersi. Perché, per cambiare la prospettiva del mondo, è necessario rischiare.
Un altro nostro illustre concittadino, l’eterno ragazzo, direbbe che solo uno su mille riesce. E’ proprio vero Gianni la salita è dura, ma con coraggio e determinazione tutti possono scalare le montagne. Non solo uno su mille.
E voi, quali “montagne” avete domato?
Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.
Claudio Imprudente

 

Un naso rosso per uscire dalle fogne, Superabile, Febbraio 2013

Questa è la storia di una tartaruga ninja in carne ossa, cominciata in Romania nei primi anni Novanta, quando dopo la caduta del noto dittatore Nicolae Ceau?escu i bambini e i ragazzi rinchiusi negli orfanotrofi si sono riversati nelle strade, cercando riparo nelle fogne e nei sotterranei di Bucarest, dedicandosi a piccoli furti e costretti a prostituirsi per sopravvivere. Una storia triste e controversa che molti di voi conosceranno già, raccontata più volte in diversi contesti nonché in un pluripremiato film, Parada, presentato al Festival del Cinema di Venezia nel 2008. A dare luce alla vicenda un inaspettato lieto fine, complice l’incontro con la personalità energica e indimenticabile del clown franco algerino Miloud Oukili. Grazie all’arte circense Miloud è riuscito a stanare i ragazzi dai loro nascondigli e a portarli di fronte alla città, facendone giocolieri e attori di una vera e propria compagnia, Parada per l’appunto, in nome dell’omonima associazione che lo ha accompagnato nella sua avventura in Romania e successivamente in Italia e in giro per l’Europa.

Parada è attiva tutt’oggi e molti di quei "ragazzini delle fogne" sono diventati artisti di fama internazionale, protagonisti di percorsi a cavallo tra circo teatro e attività di inclusione sociale.

Qualche giorno fa, al Centro Documentazione Handicap, ne ho incontrato uno, Daniel Romila, da noi in visita per prepararci allo spettacolo Casa Dolce Casa, cui abbiamo assistito nell’ambito del progetto "La Quinta Parete-Lo spettatore è uno sguardo che racconta". Dan si è dimostrato un clown, un animatore e un giocoliere, nonostante la sua disabilità a entrambe le mani, di grande rigore e poesia, un volto, il suo, che porta i segni della storia come il candore dei primi attori del muto, uno per tutti Buster Keaton. Una vera e propria tartaruga ninja che grazie alla sua corazza, fatta di dolore e risate, relazione e magia, ha saputo davvero uscire dalle fogne e con il suo straordinario esempio far uscire anche noi.Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook. (Claudio Imprudente)

 

L’atleta e il mendicante, Il messaggero di Sant’Antonio, Febbraio 2013

Il mese scorso dicevo la mia su uno «scandalo» che riempie, in maniera sempre più evidente, le strade e le piazze della mia amata Italia. Non so se lo ricordate, ma avevo citato a tal proposito, così come viene narrato nel Vangelo di Marco, l’episodio che ha per protagonista Bartimeo, a mio parere una delle figure più belle e significative delle Scritture per riflettere su temi come relazione e integrazione.
Riprendo ora la sua storia perché, al di là della vicenda in sé e per sé, ci ha permesso di cominciare in sordina ad affrontare un altro problema a me caro, già sotto gli occhi di tutti e, con la crisi e la crescita dell’immigrazione, in palese aumento. Sto parlando del fenomeno del mercato dell’elemosina, dei mendicanti ai semafori e ai bordi delle nostre strade, dei dormitori pieni fino all’inverosimile. «Storpi», giovani e anziani, che giocano sull’impatto umano creato dalla loro disabilità per elemosinare la vita. Poco tempo fa ho visto su una rete Rai un approfondimento sul racket, in cui veniva sottolineato come a un maggiore deficit fisico corrisponda un maggiore «incasso» giornaliero.Mi chiedo sempre, a questo proposito, quanto il concetto e l’aspetto del corpo incidano nell’immaginario collettivo. Se vi ricordate, con Bartimeo avevamo cominciato a entrare nella questione in termini di «posizione», a partire, cioè, dal luogo fisico da cui si alza la richiesta di aiuto del cieco. Ora dobbiamo fare un salto in più, e co­minciare a guardarlo da vicino non solo come il «corpo-emblema» della sfida relazionale, ma come «corpo-vivo» della mancanza e del desiderio.

Che meccanismo scatta dentro di noi quando vediamo un uomo privo degli arti superiori e inferiori? Ne ho parlato tanto, eppure rimane vivo in me il ricordo delle Paralimpiadi londinesi e delle loro positive conseguenze culturali, figlie, al solito, del contesto. Immaginate un corpo mutilato, senza gambe e con un solo braccio, strisciare per le vie del centro storico della vostra città. Ora immaginate lo stesso corpo, con una pettorina, in rampa di lancio, attendere lo sparo dello starter per cercare di guadagnarsi una medaglia in una competizione sportiva.

Entrambi avranno su di loro numerosi occhi intenti a scrutarli e i riflettori puntati addosso. Il corpo di per sé non cambia, ma il contesto crea nell’osservatore emozioni e sensazioni diametralmente opposte: dal ribrezzo all’ammirazione.
In realtà il corpo è uno solo. Ma come è utilizzato questo corpo e cosa può comunicare? Il punto fondamentale sta proprio qui. Il mendicante con disabilità tende necessariamente a evidenziare al massimo i suoi handicap. Più riuscirà a mettere in mostra le sue diversità, le sue fatiche, più susciterà compassione e più il suo incasso sarà proficuo.
L’atleta, invece, agirà nella maniera opposta. Evidenzierà le sue qualità per mettere l’accento sulle risorse e sulle possibilità del suo fisico. Il corpo dei nostri due esempi, dunque, è il medesimo. Il contesto però cambia la prospettiva. Credo che tutti noi siamo a volte mendicanti, a volte atleti.
E voi come vi sentite? Atleti o mendicanti? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.

 
 

Il mantello di Bartimèo, Il messaggero di Sant’Antonio, Gennaio 2013

Ormai panettoni e pandori sono stati tutti spolverati, inghiottiti nelle nostre sale da pranzo durante le festività natalizie, mentre le stelle e i fuochi d’artificio hanno accompagnato, ancora una volta, i nostri desideri, i bilanci e i buoni propositi per il 2013. «Quest’anno sarà diverso», siamo soliti dirci, mentre, un po’ in disparte, sorseggiamo sognanti un bel calice di spumante, felici e rafforzati dall’atmosfera chiassosa, gioiosa e frizzante che ci circonda. Il Natale, pensavo spiluccando le ultime briciole di panettone, è una festa davvero inclusiva, non solo per chi ha la fortuna di passarlo in un comodo e caldo salotto, ma anche per chi normalmente trascorre la sua vita sotto i portici, ai semafori, nei parchi, insomma sul ciglio della strada. A Natale, si sa, siamo tutti più buoni, le persone cominciano più facilmente a muoversi e a mettersi in gioco, il contesto si fa più accogliente.

Ma una volta finita questa felice parentesi, che cosa accade? Tutto, nella maggior parte dei casi, torna alla normalità, i contesti che si erano aperti a nuove possibilità ricominciano a chiudersi in loro stessi e i «fuggitivi» ad abitare le suddette strade. Qualcosa del genere lo insegna anche una storia di circa 2 mila anni fa, protagonista un certo Bartimeo… «Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”» (Mc 10,46-48).
A mio parere, una delle cose più interessanti di questa scena è, innanzitutto, il luogo da cui si alza la voce di Bartimeo: egli è seduto per terra con il suo solo mantello, in una posizione debole e depressa. Come se non bastasse, anche la gente lo zittisce, andando così a sottolineare e aumentare la precarietà della sua condizione.

Avviene però un fatto. «Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. Chiamarono il cieco, dicendogli: “Coraggio! Alzati, ti chiama!”. Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”. E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada» (Mc 10,49-52).
Mi piacerebbe ora osare un po’ con voi nell’interpretazione di questo passaggio di Marco e riconoscere l’intervento miracoloso di Gesù non tanto nell’annullamento del deficit di Bartimeo e nel suo recupero della vista, quanto piuttosto nel ribaltamento di contesto che il Nazareno opera. Quello che Gesù riesce a fare è, infatti, portare l’interesse della gente su Bartimeo, spostando così la scena da un contesto oppressivo a un contesto di fiducia. È solo in questa mutata situazione che Gesù potrà realmente domandare a Bartimeo un sincero: «Che cosa vuoi?». Dovrebbe succedere sempre. Prima di chiedersi che cosa fare per chi ci domanda aiuto o per chi, ogni giorno, incontriamo per strada, è necessario operare una trasformazione di contesto, proprio come ci insegna a fare la storia di Bartimeo. Solo così potremo smettere di far coincidere i termini «integrazione» ed «eccezionalità».
E voi, vi sentite liberatori o oppressi? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook. 

Amare e essere amati, Superabile, Gennaio 2013

Bisogno di amare, bisogno di essere amati. La tenerezza e l’intimità nel mondo della disabilità fanno sempre discutere, oggi, forse, più di prima. Un bene che se ne parli, visto che siamo partiti praticamente da zero. Fino a trent’anni fa erano impensabili convegni, articoli e film riguardanti questo tema.
Si trattava di un vero e proprio tabù, così come era tabù la disabilità in sé… Figurarsi la sessualità delle persone con disabilità!
Recentemente ho scritto un articolo sul film “The sessions”, in uscita a febbraio nelle sale italiane proprio il giorno di San Valentino e sul documentario “Sesso, amore e disabilità” presentato lo scorso novembre. Mi sono soffermato non tanto sulla qualità di questi prodotti, non essendo un critico cinematografico, ma sul dibattito culturale che, fortunatamente, sono stati capaci di scatenare. Sabato 26 gennaio, inoltre, porterò a Milano il mio contributo, al convegno “Bisogno di amare e di essere amati”, promosso dall’associazione italiana “X-Fragile” e dal “Forum della solidarietà della Lombardia”, con il patrocinio dell’assessorato alle politiche sociali e alla cultura del capoluogo meneghino.
Di che parlerò? Penso che comincerò con lo sfatare un preconcetto diffuso sul connubio disabilità-sessualità: non esiste una sessualità dei disabili e una sessualità dei normodotati. Esiste invece la sessualità, un vocabolo ampio, che spesso viene frainteso e circoscritto al puro atto sessuale. La sessualità invece è molto di più, è comunicazione, empatia, relazione e cura di sé. Poi certo, come ci suggerisce l’etimologia del lemma, c’è anche il sesso in senso stretto e, a volte, la procreazione.
L’immagine che ci ha tormentato per decenni, quella del disabile angelico e immacolato, privo di identità e di conseguenza di sessualità, inizia finalmente a stravolgersi. Non a caso quando si incontra una coppia formata da un disabile e da un normodotato, l’associazione di idee più naturale è pensare automaticamente a un rapporto univoco, al rapporto assistente-assistito, badante-badato, educatore-educato.
Il discorso è delicato e pieno di contraddizioni, potremmo continuare all’infinito…Per ora mi limito a sottolineare quanto sia necessario continuare a insistere sul dibattito, specie nella nostra amata penisola, dove rispetto al resto d’occidente siamo, tanto per cambiare, piuttosto indietro. Altri paesi europei, come per esempio l’Inghilterra, concedono al disabile un rimborso spese qualora questi scelga di rivolgersi a un’assistente sessuale, una figura a metà tra la riabilitazione e il sanitario.
Speriamo che, anche in questo senso, il prossimo convegno di Milano sia l’occasione per scambiarci informazioni, pensieri e perché no qualche utile provocazione per alimentare le braci.
Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.

Claudio Imprudente

 

 

Lo specchio di Luca, Superabile, Gennaio 2013

Ogni mattina quando tutti noi ci alziamo per andare in bagno abbiamo paura di sbattere contro qualcosa…Vi chiederete di che si tratta…No, non è il gabinetto, né la vasca, né la doccia… Sto parlando, ovviamente, dello specchio, il complemento d’arredo più spietato di tutti. Lo specchio infatti, non conosce bugia, ci mostra la nostra immagine così com’è nella realtà, senza trucchi e senza inganni. Chi più chi meno vale per tutti anche se oggi, forse, c’è qualcuno che potrà uscirsene di casa un po’ più soddisfatto, superando a pieni voti l’esame del temuto riflesso…

Tra questi c’è sicuramente Luca Pancalli, pentatleta, nuotatore e presidente del Comitato Italiano Paralimpico nonché candidato alla segreteria generale del Coni. L’atleta, giovane promessa del pentathlon moderno, si trova dal 1981 su carrozzina, a seguito di una caduta da cavallo avvenuta durante una gara internazionale in Austria all’età di diciassette anni. Tutto ciò, tuttavia, come lui stesso ci ha recentemente raccontato in una bella intervista rilasciata al Tg1, non gli ha impedito di aggiudicarsi otto ori, sei argenti e un bronzo nella disciplina del nuoto. Un vero e proprio esempio, quello di Luca, di "sfiga trasformata in sfida" che l’atleta dallo sport ha esteso a tutta la sua vita, oggi felice marito e padre di due figli. Una testimonianza reale che Pancalli, vincitore, tra gli altri del premio "Sport e civiltà" ci rivela anche in un libro edito da Fazi, composto a quattro mani con il giornalista sportivo Giacomo Crosa, dal titolo, per l’appunto, Lo specchio di Luca. Un’autobiografia scritta con semplicità e priva di sensazionalismi che ci presenta di fatto la crescita di un uomo comune, un uomo che ha saputo regalare al suo specchio la sua vera immagine, capace di trasformarsi ogni giorno in un nuovo riflesso. Un invito a non avere più paura di andare a sbattere contro lo specchio, e a guardarci negli occhi, questa volta i nostri occhi. Che dire? Non abbiate più paura di specchiarvi e buona lettura! Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.

 

I maya… Errata corrige. La storia è sempre la stessa, Superabile, Gennaio 2013

I Maya hanno sbagliato tutto… Siamo ancora qui e la storia è sempre la stessa. Vi ricordate di quello che vi raccontavo a novembre a proposito del mio vagabondaggio per la bella città di Balanzone? Proprio così, mi riferisco ancora una volta alle ultime traversie del Centro Documentazione Handicap di Bologna, la mia storica sede di lavoro nonché uno dei principali poli culturali della città a parlare da oltre trent’anni di documentazione, educazione e integrazione in diretta sinergia con scuole, università, centri sportivi e interculturali, musei e teatri. Come sapete da ottobre la nostra sede è inagibile agli utenti della sua Biblioteca e a oltre trenta dipendenti, a seguito di un sopralluogo dei tecnici comunali a causa del sisma. Due mesi fa ci eravamo così lasciati con un po’ di testimonianze, da me raccolte tra i miei colleghi con disabilità che auspicavano, a tal proposito, una risposta celere e diretta delle istituzioni. Beh, ad oggi possiamo dire che la risposta in parte c’è stata, grazie, soprattutto, alla mobilitazione spontanea di studenti, famiglie, educatori, giornalisti e semplici cittadini che hanno costituito il "Comitato Salviamo le Biblioteche del Quartiere Borgo Panigale".

L’Assessore alla Cultura del Comune di Bologna Alberto Ronchi, l’Assessore ai Lavori Pubblici Riccardo Malagoli, l’Assessore alla Sanità Luca Rizzo Nervo e l’Assessore ai Servizi Sociali Amelia Frascaroli, fino alla Presidente della Provincia Beatrice Draghetti sono solo alcune delle personalità che hanno mostrato interesse sulla nostra situazione e a cui abbiamo chiesto e continueremo a chiedere ascolto. Per farlo però non abbiamo scelto semplicemente di reclamare a voce i nostri diritti ma abbiamo preferito rispondere, forse anche per dare l’esempio, con fatti concreti, a partire dall’abbraccio simbolico intorno all’edificio di Borgo Panigale che lo scorso 24 novembre ha coinvolto oltre cento persone tra famiglie, disabili, studenti, educatori, cittadini, simpatizzanti e abitanti del quartiere, così come ampiamente riportato nelle principali pagine locali.

Anche nel 2013, statene certi, non staremo a guardare, il Comitato riparte con grinta, proponendo un calendario di eventi mensili aperti al pubblico, con lo scopo, ancora una volta, di dimostrare come anche "dal basso" della cittadinanza possano partire cambiamenti, rivolgimenti…io e le lotte per l’integrazione degli anni ’70 lo sappiamo bene! Tra le iniziative ipotizzate ci sarà anche una festa di autofinanziamento, il cui ricavato sarà destinato alla ristrutturazione di una piccola parte del Centro, dalla scalinata al giardino circostante. Sperando che alle nostre azioni ne seguano presto delle altre vi invito a seguire le attività del Comitato sulla nostra pagina Facebook. Iscrivetevi al gruppo e state tranquilli…I Maya non sanno scrivere le email!

Dite la vostra a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.

Claudio Imprudente

 

Albeggiando sulle Dolomiti… , Superabile, Dicembre 2012

La giornata internazionale della disabilità è ancora importante, come scrive il mio amico Franco Bomprezzi. "Sono convinto che le parole servono, che i momenti di riflessione aiutano a serrare le fila, e a fare rete… e per la memoria, per ricordarci come eravamo e quanto abbiamo sofferto e combattuto…". Per questo vorrei essere ovunque a comunicare, a promuovere una prospettiva diversa, una cultura della disabilità comprensibile e divulgabile alle nuove generazioni. Così in pochi giorni mi ritrovo prima ad essere Re 33 a Granarolo dell’Emilia, poi a "parlare" alle scuole e alle associazioni della provincia di Belluno, in una giornata, nell’ambito anche della Giornata europea del volontariato, organizzata dalle associazioni del progetto "Tutti in rete per l’accoglienza" (Primavera, Aitsam, Aipd, Assi e Anglat).

L’alzataccia alle sei e mezza della mattina ci ha offerto un panorama mozzafiato, uno sguardo sulle meravigliose montagne, le dolomiti innevate… Così ho pensato ad Heidi. Chissà come se la passa con la pesante pedagogia della signora Rottenmeier? Soprattutto ho pensato a Klara, l’amica in carrozzina e alla loro relazione. Bella, ma forse troppo unilaterale? Heidi aiutava la sua amica? E Klara aiutava lei?

Con queste domande sono salito sul palco aiutando i ragazzi a comprendere come non bastano buonismo e filantropia per fare relazione e integrazione. Serve reale voglia di confronto, guardarsi negli occhi, mettersi in gioco. Cose che spiego spesso, magari con altri esempi meno efficaci…

Tra i ragazzi, ad ascoltarci, c’era un’altra "Klara", anche se poco mitteleuropea e molto mediterranea. Una ragazzina marocchina con disabilità che comunica con una tavoletta trasparente molto simile alla mia. Tra i meno giovani presenti invece, con mio enorme piacere e stupore, ho notato Oscar De Pellegrin, il portabandiera azzurro alle Paralimpiadi londinesi. Scambiando quattro chiacchiere con lui ho visto tutto il suo coraggio e la sua forza. Un uomo tenace. Un esempio per tutti.

Sull’autostrada che ci accompagnava verso casa ho ripensato alla ragazzina maghrebina e al suo ausilio per la comunicazione. Ho pensato al mondo. Ho pensato alle altre culture. E ho iniziato ad immaginare l’handicap fuori dal contesto occidentale che viviamo e di cui parliamo sempre noi. Ma questo è un altro discorso che approfondirò in una prossima rubrica…

Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook. (Claudio Imprudente)

 

La tavoletta sarda, Superabile, Dicembre 2012

E andiamo! Anzi… ajò! Questa folkloristica esclamazione mi fa venire in mente quando per la prima volta (era il secolo scorso!) sono sbarcato in quella bellissima isola ospite dell’ABC Sardegna dell’amico Marco Espa.

Ajò oggi torna splendidamente di moda.

"Con una tesi dal titolo "Trasporti aerei e disabilità" Paolo Puddu, ragazzo con tetraparesi spastica di 27 anni, socio dell’Associazione Bambini Cerebrolesi Sardegna, che comunica con gli occhi attraverso una tavoletta nella quale sono indicate le lettere, oggi raggiunge il suo grande obiettivo: diventare un operatore culturale per il turismo (Laurea in Lettere)". Questo apprendo con gioia dal comunicato stampa.

Tavoletta nella quale sono indicate le lettere? Mhh… mi ricorda qualcosa di familiare! Ho conosciuto Paolo più di dieci anni fa ed io già allora utilizzavo la "tavoletta magica". Prendo atto con orgoglio che quel rendez-vous può avere cambiato il suo percorso accademico e professionale. Capitano momenti/passaggi, casuali o meno, che influiscono sulla qualità della vita, ma sta alla nostra abilità sfruttare queste occasioni, come faceva il mio amato Pippo Inzaghi sul filo del fuorigioco…

Questo riconoscimento accademico, oltre a dimostrare il coraggio, la qualità e la dedizione di Paolo, ci rivela come ancora nel 2012 gli ausili poveri (di cui la tavoletta è un esempio illustre) possano migliorare il nostro quotidiano, la nostre relazioni e le nostre attività professionali.

Ho scritto un messaggio a Paolo su facebook. Oltre ai complimenti di rito, ho parlato del mio amore per le nuove tecnologie, tablet incluso… Ma ho promesso che non abbandonerò mai l’amata tavoletta!

Se non sbaglio, in fondo, tablet significa proprio tavoletta!

Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook. (Claudio Imprudente)